Devar Torà / “Fino a che il popolo d’Israele è in sofferenza anche io soffrirò”

26 Gennaio 2013 – 15 Shevàt 5773

Devar Torà
“E le mani di Moshè erano pesanti; Aharòn e Chur presero una pietra, gliela misero sotto e lui vi si sedette sopra. Aharòn e Chur sostennero le sue mani, uno da un lato e uno dall’altro …” (Shemòt 17, 12). Il Grande Admòr Rabbì Israel Alter di Gur, conosciuto come Bet Israel spiega perché Moshè si mise a sedere. La Ghemarà nel trattato di Shabbàt (92a) ci dice che l’altezza di Moshè era di 10 ammòt – 10 cubiti. Se Moshè fosse rimasto in piedi, sarebbe stato impossibile per Aharòn e Chur supportargli le braccia. Quindi lo mettono a sedere su di un masso. La Ghemarà in Taànìt (11a) si domanda perché Moshè sceglie di sedersi su una dura pietra invece che su un morbido cuscino. Moshè disse: “Fino a che il popolo d’Israele è in sofferenza anche io soffrirò”. Da questo impariamo che chiunque assume su se stesso il dolore dello tzibbur – il pubblico, meriterà di vedere la consolazione di questo.

Halakhà
Dal versetto della Torà “non cucinerai il capretto…”, si desume che la Torà vieta il miscuglio di latte e carne di animali domestici (bovini e caprini) ma non di animali selvatici (come il cervo) né di volatili (come il pollo).  Per il fatto tuttavia che le persone non distinguono tra le suddette tipologie, allo scopo di evitare il rischio di incorrere in un divieto della Torà, i Maestri vietano il consumo di tutti i tipi di carne con il latte. È consentito trarre beneficio e anche cucinare (per consumo da parte di non ebrei) pollame e animali selvatici che sono stati mischiati con il latte; in questo caso, che secondo alcuni è valido solo a posteriori o per necessità, bisognerà però fare attenzione a non incorrere nel divieto di “ marìt ‘ain”, ossia accertarsi di rendere noto che la carne – ad esempio – sia di pollo e non di vitello (che possono essere a volte confusi).