Parashat Terumà. Il Tabernacolo era un ricordo della Creazione, e come tale doveva essere costruito in modo preciso

Parashà della settimana

Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
Da qui fino alla fine del libro dell’Esodo, la Torà descrive nei minimi dettagli e con grande accuratezza la costruzione del Mishkan, il primo luogo di culto collettivo del popolo ebraico. Vengono fornite istruzioni precise per ogni elemento: il Tabernacolo stesso, i suoi telai e drappi, e i vari oggetti in esso contenuti, incluse le loro dimensioni.
Così, ad esempio, leggiamo: “Farai il Tabernacolo con dieci teli di lino ritorto e di lana azzurra, porpora e scarlatta, con cherubini lavorati ad arte. Tutti i teli devono essere della stessa misura: ventotto cubiti di lunghezza e quattro cubiti di larghezza… Farai teli di pelo di capra per la tenda sopra il Tabernacolo – in totale undici. Tutti gli undici teli devono essere della stessa misura: trenta cubiti di lunghezza e quattro cubiti di larghezza… Farai assi di legno di acacia, verticali, per il Tabernacolo. Ogni asse sarà lunga dieci cubiti e larga un cubito e mezzo…” (Esodo 26:1-16)

E così via. Ma perché dovremmo conoscere le dimensioni del Tabernacolo? Non aveva una funzione perpetua. Il suo utilizzo principale fu durante gli anni nel deserto. Alla fine venne sostituito dal Tempio, una struttura molto più grande e magnifica. Qual è dunque il significato eterno delle dimensioni di questa costruzione modesta e portatile?

Se vogliamo porre la domanda in modo ancora più netto: non è forse fuorviante l’idea stessa di una misura specifica per la dimora della Shechinà, la Presenza Divina? Un Dio trascendente non può essere contenuto nello spazio. Lo affermò Salomone: “Ma è proprio vero che Dio abiterà sulla terra? Ecco, i cieli, e i cieli dei cieli, non possono contenerti; quanto meno questa casa che io ho costruito!” (1 Re 8:27)

Isaia affermò lo stesso, a nome di Dio stesso: “Il cielo è il Mio trono e la terra è lo sgabello dei Miei piedi. Quale casa potreste costruirmi? Quale potrebbe essere il luogo del Mio riposo (Isaia 66:1)

Dunque, nessuno spazio fisico, per quanto grande, è abbastanza ampio per contenerLo. Eppure, nessuno spazio è troppo piccolo. Un Midrash sorprendente afferma: Quando Dio disse a Mosè: “Costruiscimi un Tabernacolo”, Mosè, stupito, rispose: “La gloria del Santo Benedetto Egli sia riempie il cielo e la terra, eppure Egli comanda: ‘Costruiscimi un Tabernacolo’?”. Dio rispose: “Non penso come pensi tu. Venti assi a nord, venti a sud e otto a ovest sono sufficienti. Anzi, Io discenderò e confinerò la Mia presenza anche in un solo cubito quadrato.” (Shemot Rabbah 34:1)

Quindi, quale differenza potrebbe fare se il Tabernacolo fosse grande o piccolo? In entrambi i casi, era un simbolo, un punto focale della Presenza Divina, che è ovunque, in ogni luogo in cui gli esseri umani aprano il loro cuore a Dio. Le sue dimensioni non dovrebbero avere importanza.

Ho trovato una risposta a questa domanda in modo inaspettato, qualche anno fa. Ero andato all’Università di Cambridge per partecipare a un dibattito su religione e scienza. Dopo l’incontro, un uomo riservato e modesto si avvicinò e mi disse: “Ho scritto un libro che potrebbe interessarti. Te lo manderò.” Non sapevo chi fosse.

Una settimana dopo ricevetti il libro, intitolato Just Six Numbers, con il sottotitolo Le forze profonde che modellano l’universo. Con mia sorpresa, scoprii che l’autore era Sir Martin Rees (1942-…) poi diventato Lord Rees, Astronomo Reale, in seguito Presidente della Royal Society – la più antica e prestigiosa istituzione scientifica del mondo – e Rettore del Trinity College di Cambridge. Nel 2011 vinse il Premio Templeton. Avevo parlato con lo scienziato più illustre della Gran Bretagna.

Il suo libro era affascinante. Spiegava che l’universo è modellato da sei costanti matematiche, le quali, se fossero variate anche solo di un milionesimo o trilionesimo di grado, avrebbero reso impossibile l’esistenza dell’universo o, perlomeno, della vita. Se la forza di gravità fosse stata leggermente diversa, l’universo si sarebbe espanso o contratto in modo tale da impedire la formazione di stelle e pianeti. Se l’efficienza nucleare fosse stata leggermente inferiore, il cosmo sarebbe stato composto solo da idrogeno, e la vita non sarebbe emersa. Se fosse stata leggermente superiore, l’evoluzione stellare sarebbe stata troppo rapida e non ci sarebbe stato il tempo per lo sviluppo della vita. L’insieme delle improbabilità era immenso.

I commentatori della Torà, in particolare la compianta Nechama Leibowitz (biblista israeliana 1905-1997) hanno notato che il linguaggio usato per descrivere la costruzione del Tabernacolo è lo stesso di quello impiegato per la creazione del mondo da parte di Dio. In altre parole, il Tabernacolo era un microcosmo, un promemoria simbolico del mondo creato da Dio. La Presenza Divina al suo interno non significava che Dio fosse “qui” e non “lì”, in un posto e non in un altro. Al contrario, serviva a trasmettere, in modo potente e tangibile, che Dio esiste in tutto il cosmo. Il Tabernacolo era una costruzione umana per rispecchiare e focalizzare l’attenzione sul mondo creato da Dio. Era nello spazio ciò che lo Shabbat è nel tempo: un ricordo della Creazione.

Le dimensioni dell’universo sono precise, matematicamente esatte. Se fossero state anche solo leggermente diverse, l’universo – o la vita – non esisterebbero. Solo oggi gli scienziati stanno cominciando a comprendere quanto siano precise, e persino questa conoscenza apparirà rudimentale alle generazioni future. Siamo sulla soglia di un salto quantico nella comprensione della profondità delle parole: “Quante sono le Tue opere, Signore! Le hai fatte tutte con saggezza.” (Salmi 104:24)

La parola saggezza qui – così come appare spesso nella descrizione della costruzione del Tabernacolo – significa artigianato preciso ed esatto.

Vi è un altro passo nella Torà in cui si enfatizzano le dimensioni precise: l’Arca di Noè: “Fatti un’Arca di legno di cipresso. Fai delle stanze nell’Arca e spalmala di bitume dentro e fuori. Ecco come dovrai costruirla: l’Arca avrà trecento cubiti di lunghezza, cinquanta cubiti di larghezza e trenta cubiti di altezza. Farai un tetto per l’Arca, con un’apertura di un cubito tutto intorno.” (Genesi 6:14-16)

La ragione è simile a quella del Tabernacolo. L’Arca di Noè simboleggiava il mondo con il suo ordine divinamente stabilito, l’ordine che gli esseri umani avevano distrutto con la loro violenza e corruzione. Dio stava per distruggere quel mondo, lasciando solo Noè, l’Arca e il suo contenuto come simboli dell’ordine residuo su cui avrebbe costruito un nuovo mondo.

La precisione è importante. L’ordine è importante. Anche solo un piccolo errore nella sequenza dei 3,1 miliardi di lettere del genoma umano può causare gravi malattie genetiche. Il famoso “Effetto Farfalla” ci insegna che piccole azioni possono avere grandi conseguenze. Questo era il messaggio del Tabernacolo.

Dio crea ordine nell’universo naturale. Noi siamo chiamati a creare ordine nell’universo umano. Ciò richiede estrema attenzione a ciò che diciamo, facciamo e a ciò da cui dobbiamo astenerci. La vita morale e spirituale ha una coreografia precisa, così come il Tabernacolo aveva una struttura architettonica precisa. Essere buoni – ed essere santi – non significa semplicemente seguire le emozioni, ma allinearsi alla Volontà che ha creato il mondo. Legge, struttura, precisione: di questi elementi è fatto il cosmo, e senza di essi cesserebbe di esistere. Per questo la Torà registra con tanta esattezza le misure del Tabernacolo e dell’Arca di Noè.

Redazione Rabbi Jonathan Sacks zzl