Parashat Shemot

Parashat Shemot 

Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
Quando si inizia a leggere il drammatico cambio sociale e storico che ha portato alla schiavitù degli ebrei in Egitto, la Torà sintetizza il tutto in una sola frase: “A suo tempo sorse sull’Egitto un nuovo re che non aveva conosciuto Giuseppe. E diceva al suo popolo: “Ecco, il popolo dei figli d’Israele è più numeroso e più potente di noi.” (Esodo 1, 8). Un nuovo re. Tutto il dramma di un destino che ha portato gli ebrei da essere la famiglia del Viceré ad essere un popolo di schiavi è racchiuso in questo “nuovo re” che non aveva conosciuto Giuseppe. I maestri si dividono tra coloro che credono che si trattasse di un re realmente nuovo e coloro che affermano che il re non fosse nuovo, bensì avesse solo rinnovato decreti antiebraici. Ammessa anche l’ipotesi che questo nuovo Faraone non avesse conosciuto Giuseppe, dovremmo porci la domanda del come sia possibile vivere in una società attraversata da un cambiamento sociale così profondo e non rendersene conto.
In realtà se leggiamo il capitolo 50 della Genesi, precisamente dal versetto 4 in poi, quando viene descritto il momento nel quale Giuseppe comunica la morte di Yaakov al Faraone chiedendo il permesso di poter andare a seppellirlo, notiamo un dialogo ed un tono che non è propriamente quello di un Viceré verso il re che lo ha posto in quella posizione di potere e rispetto.“ Infine i giorni di piangerlo passarono, e Giuseppe parlò alla casa di Faraone, dicendo: “Se, ora, ho trovato favore ai vostri occhi, parlate, vi prego, agli orecchi di Faraone, dicendo: “Mio padre mi fece giurare, dicendo: “Ecco, sto per morire. Mi dovrai seppellire nel mio luogo di sepoltura che mi sono scavato nel paese di Canaan”. E ora, ti prego, lasciami salire a seppellire mio padre, dopo di che sono disposto a tornare’”. Pertanto il Faraone disse: “Sali a seppellire tuo padre proprio come egli ti fece giurare”.(Genesi 50, 4)
Giuseppe non si reca alla corte del Faraone, non parla con il Faraone, bensì parla alla “sua casa” e chiede loro di intervenire per lui e di parlare alle sue “orecchie”. Giuseppe non sembra più essere un membro della casa del Faraone, non sembra essere più parte del suo entourage: il clima politico intorno a lui è cambiato, esiste una distanza tra lui ed il Faraone e questa distanza è forse il segno dell’inizio di quel tragico cambiamento che porterà alla schiavitù degli ebrei in Egitto.
Altro segno di questo nuovo clima politico, che alla Torà non sfugge, lo troviamo al versetto 7 del capitolo 50 della Genesi: “Giuseppe salì dunque a seppellire suo padre, e con lui salirono tutti i servitori del Faraone, gli anziani della sua casa e tutti gli anziani del paese d’Egitto e tutta la casa di Giuseppe e i suoi fratelli e la casa di suo padre. Nel paese di Goshen lasciarono solo i loro fanciulli e i loro greggi e le loro mandrie.”
Il Faraone, infatti, permette la sepoltura di Yaakov e l’accompagnamento da parte di Giuseppe e dei dignitari di corte, ma per accompagnare Yaakov gli ebrei devono lasciare a Goshen i loro figli ed i loro armenti. E’ vero che Giuseppe assicura al Faraone il loro ritorno, ma è vero anche che esso è assicurato dai figli e dall’armento lasciato a Goshen come pegno e come tremenda garanzia di ritorno nei confini dell’Egitto, un paese che stava indubbiamente cambiando e che non guardava più la famiglia del Viceré come un elemento positivo, come una parte benvoluta della propria società.
Attraverso questi versetti dell’ultima parashà della Genesi riusciamo meglio a comprendere i versetti che in Esodo ci descrivono il tragico inizio della schiavitù, dimostrandoci come ad una analisi attenta non sarebbe sfuggito il clima ostile che ormai circondava gli ebrei e con loro la stessa figura di Giuseppe.
Nel Ritratto di un periodo (1943) Hannah Arendt, analizzando con disincanto l’atteggiamento della borghesia tedesca tra i primi del 1900 e l’avvento del nazi-fascismo, afferma che l’incapacità degli ebrei occidentali di comprendere la reale portata degli avvenimenti intorno a loro derivava dallo sviluppo di un disinteresse verso il potere, sia anche quello economico, in un contesto dove, al contrario, la borghesia non ebraica cominciava ad interessarsene.
Questo fu un primo grande limite alla possibilità di comprendere il proprio tempo, secondo l’Arendt, poiché se la borghesia avesse manifestato un seppur minimo interesse per il potere politico o economico avrebbe avuto sufficienti elementi per valutare l’Europa prima della Grande Guerra e del periodo post-bellico come una posto assolutamente insicuro: basti pensare che i primi partiti antisemiti tedeschi videro la luce negli anni immediatamente dopo il 1880 e che in Austria un antisemita come Luger era sindaco di Vienna e che l’affaire Dreyfus non era stato un momento storico da poco.
Saper leggere la Torà, a volte, significa anche saper comprendere il senso degli avvenimenti storici e sociali che ci circondano.
Di Rav Pinhas Punturello
Shabat Roma 16.35-17.39
Shabat Milano 16.38-17.44
Shabat Jerushalaim 16.13-17.29
Shabat Tel Aviv 16.32-17.30