di Ilaria Myr
Storia, mutamenti, protagonisti. Filantropia, vivacità, spirito imprenditoriale.
Un mondo ebraico che diede asilo agli ebrei in fuga e che accolse tutti. Un modello di integrazione nel tessuto sociale e economico di Milano. Ne parla l’economista Rony Hamaui con un libro che è uno tra i primi sull’argomento
«Chi era Sally Mayer? I nostri figli non lo sanno, nonostante frequentino una scuola in una via a lui dedicata. Oppure non conoscono la storia della sinagoga di via della Guastalla, o chi era Alessandro Da Fano, che dà il nome alla scuola. Ma anche i non ebrei milanesi non sono al corrente del fondamentale contributo dato da molti ebrei al tessuto economico e sociale di Milano. Il mio libro vuole colmare queste lacune, offrendo una carrellata di storie per lo più dimenticate o sconosciute».
Così spiega Rony Hamaui, economista e membro della Comunità ebraica di Milano, autore del libro Ebrei a Milano. Due secoli di storia fra integrazione e discriminazione (Il Mulino), in uscita il 26 maggio in occasione della terza edizione del festival Jewish in the city, che si terrà dal 29 al 31 maggio e che sarà dedicato proprio ai 150 anni della Comunità ebraica milanese.
Ebrei a Milano è un libro di circa 300 pagine – uno dei pochissimi esistenti oggi sulla storia della Comunità ebraica milanese -, frutto di un intenso lavoro durato quattro anni che nasce prima di tutto dalla volontà del suo autore di raccontare ai giovani le vicende e i personaggi della Comunità a cui appartengono. Ma l’obiettivo è anche quello di offrire, attraverso questa ricca storia, un insegnamento profondamente attuale.
«Quella di Milano è stata, fin dalla sua nascita, una Comunità ebraica estremamente eterogenea, in cui da sempre convivono persone provenienti da luoghi diversi, con lingue e usi differenti – spiega Hamaui -. Ma questa eterogeneità è sempre stata la forza di questa nostra realtà, che negli anni ha saputo integrarsi sia al suo interno sia nel tessuto civile della città, a cui ha dato moltissimo e da cui ha ricevuto tanto. Certo, non sempre è stato facile, e anche oggi non mancano le criticità di questa convivenza. Ma la storia ci dice che ci siamo riusciti per 150 anni con risultati straordinariamente alti. Ne emerge un grande messaggio di tolleranza, un esempio positivo utile per le altre culture e comunità che abbiano la capacità e la volontà di integrarsi nel tessuto cittadino».
Il testo prende in considerazione 200 anni di storia circa, seguendo un filo cronologico che si dipana però in modo fluido attraverso tante storie che si sovrappongono, dando vita a un ricco mosaico fatto di donne, politici, banchieri, associazioni, filantropi, e tanti altri soggetti quanti furono gli ebrei che contribuirono fortemente alla crescita della Comunità e della città di Milano. Il tutto inserito nel più ampio contesto nazionale e mondiale, ricordato da numerose digressioni, che completano il quadro storico.
Un excursus veloce, che occupa il primo capitolo, rivela come, nei primi 18 secoli, la vita ebraica a Milano sia stata molto esigua. Certo, c’è qualche traccia sparsa qui e là nella città che ne testimonia la presenza – ad esempio, due lapidi nel cortile della basilica di Sant’Ambrogio – ma di fatto fino al XIX secolo la nascita di una vera e propria comunità ebraica non fu resa possibile dalle politiche dei vari governi. Si ricordi solo che nel 1597, sotto il regime spagnolo, vi fu la cacciata dei pochi ebrei che risiedevano a Milano.
Solo dal 1791, con l’estensione agli ebrei dei diritti fondamentali riconosciuti dopo la Rivoluzione francese, e poi con la caduta di Napoleone si comincia a parlare di ebrei a Milano. La città in quegli anni è un centro economico fiorente e gli ebrei cominciano a stabilirvisi per lavorare.
«Molto interessante è quello che rivela il documento, consultabile all’Archivio di Stato, intitolato Rubrica degli israeliti – prosegue l’autore -. Tra il 1800 e il 1866 a Milano la Comunità ebraica è così composta: il 29 per cento sono mantovani, il 20 per cento da Veneto e Friuli; 11 per cento dalla Romagna, Parma, Piacenza, Modena e Reggio; il 17 per cento sono stranieri (askenaziti e tedeschi) e il 14 per cento viene da altre località. Quindi, una comunità molto cosmopolita, composta da persone che non parlano la stessa lingua – allora non esisteva ancora l’Italia -, ma che, nonostante queste profonde differenze e nonostante non offra ancora molti servizi, riesce a esistere e sopravvivere».
Sotto gli Asburgo, Milano dipende dalla più ampia comunità ebraica di Mantova, come vuole il Codice austriaco. Negli anni del Risorgimento sono molti gli ebrei di Milano che partecipano in prima persona alle vicende politiche: uno su tutti Enrico Guastalla, grande patriota, fra gli ideatori del Museo del Risorgimento di Milano. E come dimenticare il Nabucco, l’opera in cui Giuseppe Verdi sceglie il popolo ebraico come portavoce dei valori patriottici che animano quegli anni? Come scrive Hamaui nel libro: “Il Nabucco, ambientato fra Gerusalemme e i giardini pensili di Babilonia, era ovviamente il prodotto di un nuovo sentimento che la società milanese di allora aveva verso gli ebrei e la loro storia. In questa circostanza il popolo ebraico si esprimeva in forma corale, e costituiva il vero protagonista del racconto”.
È solo, però, nel 1866 (il giorno esatto non è noto) che la Milano ebraica diventa indipendente da Mantova da un punto di vista giuridico. Nasce quindi ufficialmente la Comunità ebraica di Milano. Gli ebrei diventano sempre più attivi nel tessuto economico e politico della città: molti dei grandi banchieri dell’epoca sono ebrei – il libro ricorda le famiglie Pisa, Weil-Schott, Luigi Luzzatti, fondatore della banca Popolare di Milano -, e così molti consiglieri comunali. Nel 1892, poi, viene inaugurata la nuova sinagoga della città in via della Guastalla, realizzata dall’ “archistar” dell’epoca, Luigi Beltrami, e di cui i media dell’epoca parlarono molto: segno, questo, di come la Comunità ebraica milanese fosse parte integrante, viva, della realtà cittadina.
Da un punto di vista comunitario, però, si tratta di una realtà fragile, che si basa su poche contribuzioni volontarie, e che fa fatica a essere davvero coesa, data la sua eterogeneità. Fa eccezione l’Adei Wizo, che nasce proprio a Milano nel 1927, e che fin da subito si pone come centro ebraico di aggregazione delle donne ebree. Ma poi vengono emanate le Leggi razziali, l’Italia entra in guerra e, dal ’43, anche da Milano si hanno le deportazioni. Soprattutto all’inizio della guerra, Milano diventa rifugio per molti ebrei provenienti dai paesi sotto dominio nazista e tante sono le organizzazioni ebraiche che vengono in loro aiuto. E poi la Liberazione e la ricostruzione della Comunità, in cui continuano ad arrivare sopravvissuti di tutta Europa.
È nell’immediato dopoguerra, nel giugno del 1945, che nasce il Bollettino della Comunità Ebraica di Milano, che fin dall’inizio funge da organo informativo per la rinata comunità ebraica. «Il Bollettino è stato una fonte primaria per questa mia opera – commenta Hamaui -, che mi ha dato notizie e soprattutto uno spaccato reale della Comunità dal dopoguerra a oggi».
Nel 1960 viene posata la prima pietra della nuova Scuola ebraica in via Sally Mayer: presenti, oltre alle autorità cittadine, il presidente della Comunità, Astorre Mayer, il rabbino capo Ermanno Friedenthal e il Preside della scuola, David Schaumann. Ma già dagli anni ’50 arrivano a Milano molti ebrei dall’Africa orientale e dal Medioriente.
L’integrazione però non è sempre riuscita, con il risultato che si creano delle piccole comunità all’interno di quella più grande. A questo si aggiunge un altro problema, quello demografico. «Negli ultimi vent’anni – scrive Hamaui – gli iscritti sono calati del 15% a causa del basso tasso di natalità, del continuo processo d’invecchiamento e dell’alta percentuale di matrimoni misti e conseguente processo di assimilazione». Ma dall’altro lato è cresciuta fra i milanesi la consapevolezza dell’identità ebraica, oltre alla voglia di partecipare alla vita della Comunità, come rivela un’indagine del 2013 commissionata dall’Ucei.
Quale futuro dunque per questa Comunità? «Non so dire quello che succederà – ammette Hamaui -. So però, grazie agli studi che ho fatto, che la Comunità ha sempre superato le proprie divisioni e difficoltà. E se ce l’abbiamo fatta per 150 anni, perché non dovremmo riuscirci anche oggi?».
INFO: CHI È RONY HAMAUI
Laureato all’Università Bocconi e Master alla London School of Economics, Rony Hamaui è direttore generale di Mediocredito Italiano e professore a contratto presso l’Università Cattolica di Milano. È stato responsabile del Servizio studi della Banca Commerciale Italiana, professore a contratto all’Università di Bergamo e all’Università Bocconi. È autore di numerosi articoli scientifici e ha scritto e curato diversi libri riguardanti gli intermediari, i mercati finanziari internazionali e lo sviluppo economico finanziario nei paesi arabi. Ebrei a Milano è il suo primo libro sulla storia ebraica.