Festival / “Il mio Shabbat”

Levi Michel

All’inizio della formazione del Mondo il Signore creò il cielo e la terra. Il Signore disse “sia luce! E luce fu”. Il Signore vide che la luce era una cosa buona e fece quindi una separazione tra la luce e l’oscurità. Divenne sera e poi divenne mattina, primo giorno. I giorni consecutivi il Signore creò la terra raggruppando le acque e con questa anche la vegetazione, poi il Sole e la Luna per governare, seguiti dalla creazione degli esseri viventi che guizzano e brulicano le acque, come ogni uccello alato, successivamente furono creati il bestiame, le fiere ed esseri striscianti finendo con la creazione dell’uomo a immagine Sua, creati maschio e femmina.
Ogni nuova forma che D-o intromise in questo spazio finito, il Signore vide che ciò era una cosa buona come anche il settimo giorno, distinti dagli altri già dal nome, perché i giorni feriali della settimana vengono chiamati “primo giorno”, “secondo giorno” e così via a cominciare dalla domenica e come dall’etimologia della parola Shabbath, questa deriva dal verbo “shàvat” che significa cessare, infatti in questo giorno il signore portò a termine la sua opera e lo dichiarò sacro ed Egli si era astenuto da ogni Sua opera. Inoltre lo Shabbath appartiene alla lista dei dieci comandamenti, il quarto e quando D-o ordinò questo comandamento le parole “ricorda” e “osserva” sono state pronunciate sul Monte Sinai con n unica emissione di voce a indicar e che i due precetti hanno la stessa importanza.

Il riposo dello Shabbath non si rivolge solo a quello fisico ma è una dimensione diversa, un modo diverso di vivere un giorno diverso a cui si adempie osservando i precetti correlati a questo giorno e riservandogli gli abiti più belli e i cibi più raffinati imbandendo la tavola come meglio si può.

Lo Shabbath è un giorno speciale dove “ti stacchi” da ogni pensiero e preoccupazione, nel quale trovi finalmente il tempo di stare con la tua famiglia e con i tuoi cari come vorresti nel corso di tutta la settimana nella quale però sei troppo occupato.

Lo Shabbath è come una rigenerazione che ti dura fino al sabato dopo nel quale fai nuovamente rifornimento.
Per chi pensa che lo Shabbath possa essere un giorno in meno per gli affari o una scusa per rilassarsi, garantisco io che è un investimento, il più grande che possiate fare nella vostra vita; provare per credere.

Rachel Relevy

Il mio shabbath. Lo amo, lo considero un dono di Hashem, una dichiarazione d’amore per tutti noi Bnei Israel. Una salvezza dell’animo, corpo e mente, stanchi della corsa. Una corsa agli ostacoli che sono i giorni della settimana, per poter entrare lì, dove niente più non mi può toccare, dove c’è la pace e la serenità, al mio castello, che si ricrea all’entrata di Shabbath, il mio Shabbath, dove c’è una tavola ricoperta da una tovaglia bianca, la più bella, una tavola imbandita dalla benedizione di Hashem, perché tutto quello che abbiamo, lo dobbiamo a Lui. C’è un’atmosfera speciale illuminata in modo particolare dalla nostra anima che gioisce della sacralità dello Shabbath.

Si riunisce la cosa più importante della nostra vita, la base della nostra esistenza, il grande Amore delle nostre vite; la famiglia.
È il momento di stare e gioire insieme, estraiandosi da ogni cosa che ci turba.
Lo Shabbath è il quarto comandamento, è la fonte della benedizione, il riconoscimento e la fede di Bnei Israel in Hashem, mantenedo il patto, quello di riposare il settimo giorno, come ha fatto Lui, che ha creato il cielo e la terra e il settimo giorno Si riposò.
Ci sono momenti nella vita in cui si è deboli, mio figlio Simon riconoscendo questo mio momento, mi raccontò di un venerdì sera: si sente bussare alla porta, il padrone di casa, padre di famiglia, apre la porta e vede degli angeli, dice loro, “entrate”, ma un angelo si sofferma alla porta e si presenta, “io sono l’angelo della ricchezza, con me ci sono gli angeli della pace, della serenità, della fede, della gioia ecc. Solo un angelo a sua scelta può entrare”, il padrone di casa esita e chiede il permesso di consultare la sua famiglia. Si assenta per pochi minuti, poi ritorna dicendo “abbiamo deciso per l’angelo della fede”. Detto questo vede entrare non solo quello scelto ma anche tutti gli altri angeli, chiede il perché e gli viene risposto che se hai la fede hai tutto il resto.

Shabbath resta il punto di riferimento della nostra esistenza, l’essenza della nostra vita da cui traiamo delle energie che ci permettono di superare ogni difficoltà.
Guardo il cielo e memore di quanto diceva mia madre z.l. cito le sue stesse parole “benedetto shabbath!”
Ognuno di noi ha un vuoto dentro di sé  che va colmato spiritualmente, con amore.

Andrea Finzi

Non mi nascondo dietro a un dito : non sono shomer Shabat , sono di famiglia (ramo italiano) non osservante ma “tradizionale”,e solo in età adulta mi ci sono avvicinato in modo incostante e “claudicante”, come dice uno dei miei Maestri. E anche per questo, quando vi partecipo (con tutto ciò che questo “quando” implica) Shabat mi investe e mi avvolge con tutti i suoi momenti, quello pubblico al Bet ha Keneset, quello familiare  ,quello dello studio. I sentimenti sono diversi: la Kabbalat Shabat  mi lascia attonito con il liquefarsi improvviso della quotidianità nel momento stesso in cui ci si volge ad accogliere la “kallà” che avanza con le ombre della sera. Ecco lo zimzun del mondo…  . E poi  il calore domestico dell’accensione dei lumi,del kidush, dell’amozi sulle hallot ,la cena del venerdì sera nelle famiglie amiche o in Israele dai parenti, che genera  dolcezze dimenticate o forse mai vissute: ecco lo shalom. Mi piacciono poi le ore “vuote” del pomeriggio quando mi capita di riflettere su ciò che si è letto e ascoltato al Beth ha Keneset e insieme pensare alle cose di ogni giorno e così mi ritrovo a cercare  un senso e immaginare altre vie. Infine la seudat sclichit con l’ultima lezione ed i canti prima di Minchà, la riconferma del dono e della potenza  di questa giornata che si avvia al termine; quando le candele intrecciate dell’ Avdalà si spengono sfrigolando nel vino non mi stupisco più di avvertire un piccolo dolore, un attimo di smarrimento: ecco, ci risiamo…il mondo è là che mi aspetta…ma ci rientrerò sicuramente   più sereno e sicuro. Fino al prossimo Shabat – anche  se per me  non sarà proprio il successivo…

Adriana Goldstaub

Per me Shabbat “comincia” con il kiddush – che recita mio marito – e la cena, insieme ai parenti e agli amici. Shabbat è un momento di festa e di ri-unione, e infatti raramente accade che io e mio marito lo passiamo da soli. E poi mi piace cucinare, in abbondanza. Avere la tavola imbandita di tante cose mi fa allegria… Ma non è sola la festa. Il sabato per me rappresenta un momento di libertà: è il giorno in cui nessuno mi può chiedere niente – comunque niente di quello che mi si chiede durante la settimana. E’ come uno spazio fuori dal tempo. Anche il fatto di andare a piedi mi da un senso di libertà: in fondo ci libera dai “tempi” stabiliti da altri; è un modo per recuperare una dimensione più umana del vivere, se si vuole; sicuramente una dimensione che si distingue da quella del resto della settimana. E poi l’andare a piedi è anche un modo per recuperare il rapporto con la città, per “toccarla”, per guardarla da vicino – e non attraversarla in corsa magari pensando alle cose ancora da fare, ai ritardi…
Un momento di sospensione e di liberazione dal quotidiano… questo è per me shabbat. Ci sono arrivata gradualmente, e quando ero già adulta. L’osservanza, anche dello shabbat oltre che della kasheruth, ha rinforzato, e profondamente, la mia ebraicità, il mio essere dentro l’ebraismo.