Letteratura israeliana e memoria della Shoah: un legame inscindibile

di Roberto Zadik (video di Orazio Di Gregorio)

In occasione dei 70 anni dalla nascita dello Stato ebraico e dei 43 anni dalla fine degli orrori della Shoah tanti sono gli spunti di riflessione e le tematiche. Fra queste molto interessante è il rapporto fra gli scrittori israeliani alcuni nati in Europa, come lo scrittore ebreo romeno Aaron Appelfeld nato in Bucovina, oggi Ucraina nell’importante città cosmopolita e ebraica di Czernowicz, che diede i natali a altri grandi come il poeta Paul Celan, scomparso a gennaio 85enne o in Israele come David Grossman e lo sterminio perpetrato nei lager nazisti.

Su questo argomento si è tenuta l’interessante serata di Kesher  “La Memoria della Shoah negli scrittori israeliani” tenutasi lo scorso 17 aprile presso la Residenza Arzaga. Introdotta da Rav Della Rocca, dopo la solenne cerimonia dello Yom Hazikaron, giorno di ricordo dei soldati israeliani caduti nelle varie guerre, la serata ha coinvolto tre relatori d’eccezione. Sono intervenuti il professor Cyril Aslanov, Docente all’Università Ebraica di Gerusalemme, Fiona Diwan Direttrice del Bollettino e “esperta di letteratura israeliana” come l’ha definita il Direttore di Kesher, e la traduttrice Raffaella Scardi, che ha cominciato la serata raccontando la sua esperienza. Un appuntamento che sospeso fra “un giorno triste come Yom Hazikaron, una delle ricorrenze più tristi in Israele, dove per un minuto tutto si ferma e la gioiosa festività di Yom Hazmaut” come ha ricordato Rav Della Rocca “intende riflettere sulla complessità e la ricchezza dell’attuale scenario letterario israeliano.

Ma come hanno interpretato gli scrittori dello Stato ebraico il dramma della Shoah? E quali le differenze con gli autori europei nel trattare questo argomento così delicato? “Nella mia esperienza” ha ricordato la Scardi “faccio prima a contare gli autori israeliani dove non si parli, anche indirettamente di Shoah; difatti c’è una continua relazione fra la letteratura e la storia ebraica”. Citando celebri autori, da Amos Oz col suo “Storia d’amore e di tenebra” fino a Grossman con “Vedi alla voce amore” la traduttrice ha sottolineato come spesso anche in autori che appaiono molto lontani da questo tema, la Shoah nei loro scritti riaffiori improvvisamente”. Ad esempio in Applefeld e nel suo libro “Racconto di vita” la Memoria ha un valore molto forte e si parla direttamente della sua esperienza, mentre in “Neuland” di Eskol Nevo “tutto viene filtrato dalle storie dei due protagonisti”.

Successivamente è stata la volta di due efficaci relazioni sul tema, prima di Fiona Diwan e poi del professor Aslanov. La giornalista ha sottolineato alcune importanti considerazioni. “Ci sono due filoni in Israele sul tema, chi mostra orrore della Shoah  e chi si interroga ponendo domande su quanto accaduto senza restituirci il proprio trauma”. La giornalista ha poi suddiviso in due epoche il ricordo della Shoah nello Stato ebraico dove “all’inizio nessuno voleva parlarne si voleva pensare a un ebreo forte, nuovo puntando alla quotidianità e ci vorrà del tempo prima di affrontare questo tabù. Inizialmente in Israele nessuno ascoltava sopravvissuti, testimoni, si voleva sostituire l’ebraico allo yiddish”.

“La vera svolta” ha continuato “arriva col processo al gerarca Adolf Eichmann condannato in Israele che ha aperto la strada a un nuovo percorso”. Diversi scrittori, come ha fatto sapere la Diwan, anche israeliani di seconda generazione hanno trattato del tema della Shoah, come Lizzie Doron, figlia di sopravvissuti ma nata in Israele che dopo gli anni ’60 organizzarono eventi, dibattiti e iniziarono a affrontare apertamente questo argomento. “Scrivere di Shoah – ha puntualizzato citando Applefeld e il suo bellissimo saggio “Oltre la disperazione” che raccoglieva una serie di lezioni tenute da lui assieme a Philip Roth alla Columbia University – era considerato sconcio, la gente non voleva parlare di sentimenti o emozioni individuali ma voleva socializzare buttarsi nella collettività”. Da un lato dunque la voglia di raccontare e dall’altra il timore del ricordo, la volontà di oblio e di oscuramento o la Memoria che diventa fiabesca rievocazione, ricordo indiretto come in David Grossman e in “Vedi alla voce amore”. Citando autori di grande spessore, la Diwan ha messo in luce sia il sarcasmo a volte macabro di Lizzie Doron che l’ironia raffinata e pungente del grande Yoram Kaniuk, autore molto particolare e a volte spiazzante, che nel suo “Adamo risorto” ambientato in un manicomio nella cittadina di Arad e dove uno degli internati – sopravvissuti che dopo la Shoah hanno perso la ragione – il protagonista Adam Stein, si è salvato perché nei lager era un clown che faceva ridere sia gli ebrei che i nazisti. “Si tratta di un libro rivoluzionario” ha detto la Diwan “che inaugura il genere grottesco in tema di Shoah”.

Molto interessante anche la relazione di Aslanov che ha concluso la serata. Egli si è soffermato sugli autori che non parlarono direttamente di Shoah ma in maniera simbolica e indiretta, non solo israeliani ma soprattutto mitteleuropei, non solo uno dei capolavori di Applefeld e il suo “Il ragazzo che voleva dormire” ma anche autori precedenti alla Shoah come Franz Kafka che nel suo “Nella colonia penale” anticipò l’incubo dei lager con la disumanizzazione del lavoro oppure nel racconto di AgnonUn ospite per la notte” dove si racconta del passaggio dal mondo dell’Impero a una futura decadenza. Soffermandosi sul primo libro de “Il ragazzo” di Applefeld , Aslanov ne ha analizzato trama e tematiche con acume.  Il protagonista secondo il docente, rappresenta la volontà di fuggire di molti ebrei o israeliani dopo la Shoah, di nascondersi nel sonno del protagonista che passa la sua vita dormendo finchè viene portato di peso dagli amici in Palestina e che ci racconta con allegorie e giochi di parole il suo mondo interiore. Anche Grossman, con le emozioni del ragazzo Momick e l’incontro con suo nonno Wasserman che gli racconta delle sue sofferenze ne il suo “Vedi alla voce amore” e Yehoshua in uno dei racconti del suo “Il signor Mani” parlano fra le righe di Shoah e “non sono capaci di gestire il disagio della Shoah e dei suoi tabù”. Secondo i relatori, gli scrittori israeliani, si dividono fra chi apertura e tabù, fra racconto storico e complessa elaborazione del passato trattando le ferite e i traumi della Shoah sia direttamente che allegoricamente.