Kesher, grande serata su Ebraismo e Giustizia per Tu Bishvat al Noam

di Roberto Zadik
Molto prima delle società europee, il popolo ebraico è stato segnato dal suo stretto rapporto non solo con la Legge Divina ma anche con il Diritto e le norme giuridiche. Ma quali sono le caratteristiche del Diritto ebraico e le sue peculiarità in confronto alle altre tradizioni e società? Come funzionano le sue disposizioni e i suoi statuti? Questi gli argomenti dell’interessante serata di Kesher Ebraismo e giustizia penale: da Caino ad oggi la risposta ebraica al problema della giustizia, che si è tenuta il 9 febbraio al Noam, seguita dai festeggiamenti per la festa di Tu Bishvat e da un ricco buffet a base di frutta. Protagonisti dell’incontro l’avvocato penalista Renzo Ventura che ha approfondito le caratteristiche del Diritto Ebraico Penale e il Rabbino Capo di Milano, Rav Alfonso Arbib che ha riflettuto sul complesso e affascinante tema della Giustizia nell’ebraismo.

“Gli ebrei sono il popolo della Legge ma che la conoscano o la mantengano è più che altro un auspicio”, ha così esordito Ventura evidenziando le peculiarità del diritto di un popolo “dalla dura cervice  rispetto ad altre civiltà del tempo particolarmente elevate”.  Sottolineando, fra lucida ironia e serietà, il binomio di rigore e misericordia tipico del diritto ebraico e la modernità del diritto penale ebraico, il giurista ha messo in luce che esso è “il più moderno di tutti quelli del mondo antico e per certi versi di quello delle società attuali, di una raffinatezza stupenda del quale gli ebrei dovrebbero vantarsi”; una Legge con principi etici e normativi contenuti in varie parashot bibliche. Fra le fonti principali del Diritto ebraico quelle di Mishpatim e Kedoshim e la completezza di disposizioni che riguardano tutti i campi “dal furto, alla falsa testimonianza, ai rapporti proibiti” e che la Legge ebraica “era qualcosa di particolarmente sofisticato, con istituti che erano molto elevati”. Riflettendo sul titolo della serata e sottolineando che “Caino non era ebreo” e il principio “guai a chi tocca Caino”, l’avvocato ha ribadito la necessità di giudicare con “giustizia” e con obiettività anche chi compie il Male, elencando le varie fattispecie di reati e di trasgressioni previste nella Torà: omicidio volontario e omicidio colposo, le “città rifugio”, le percosse a padre e madre e allo schiavo, il sequestro di persona, la lesione con danni, il furto con scasso, la stregoneria, l’usura, la falsa testimonianza. “I nostri giuristi antichi erano estremamente sofisticati – ha poi affermato riassumendo alcune importanti prescrizioni come l’aver riguardo del misero e non onorare il grande, evidenziando l’importanza di “punire i malvagi e premiare i giusti”, citando Rabbi Aqiva.

Chi decideva le sentenze e le pene e come funzionava la Giustizia? “C’erano – ha raccontato il legale – il Sinedrio e i tribunali competenti e vi era una Corte Suprema con un Tribunale di 71 membri, poi c’era un Tribunale di 23 persone e uno di tre persone. La terra di Israele era divisa in vari Tribunali e i membri venivano messi a semicerchio con in mezzo un presidente. Nel campo penale, per assolvere era sufficiente la maggioranza con solo un voto. Per le cause civili i giudici potevano essere scelti tra tutti gli ebrei, mentre per quelle penali solo tra i Sacerdoti e i Leviti. I Giudici non dovevano avere imperfezioni né fisiche né caratteriali, dovevano essere sani e con figli. I testimoni invece dovevano essere almeno due, un testimone non confermato non veniva creduto; lo spergiuro veniva punito come la colpevolezza. La pena era esemplare, con poche sanzioni robuste. “C’erano criteri e regole ben precise che stabilivano principi certi e solidi: le sentenze non dovevano uscire la sera, a causa della stanchezza dei giudici; per primo parla il più giovane; mai un solo testimone”. In Israele oggi vige il sistema angloamericano.

È intervenuto poi il Rabbino Capo Rav Arbib che si è interrogato su principi generali di grande importanza. Partendo dalla  frase “Chi sono io per giudicare?” egli ha sottolineato che “Il Giudizio spetta a Dio” ma esiste anche il  principio contrario, nella parashà di Noach “L’uomo è fatto a immagine di Dio” e che quindi può giudicare. Come e quando si ricorrere alla giustizia e in che modo bisogna farlo? Il limite dell’essere umano “è che solo Hashem può dare un giudizio giusto mentre noi uomini non possiamo fare giustizia in maniera completa. La soluzione è che “dobbiamo giudicare ma attraverso i Tribunali e coscienti della nostra imperfezione e di quella di chi abbiamo davanti, stando molto attenti a come si giudica”. Nel Talmud viene detto che il Giudizio è soggettivo, secondo quello che noi vediamo perché esso passa per “quello che gli occhi vedono”. Nonostante questo, secondo il Rav, dobbiamo cercare in ogni modo di “giudicare secondo verità” e da qui dipendono le limitazioni dei giudici e, citando i Pirqé Avot, “moltiplicando le indagini sui testimoni” che devono essere nominati con estrema cura e attenzione vista la centralità del loro ruolo e il celebre “divieto di falsa testimonianza” stabilito anche dai Dieci Comandamenti. Rav Arbib ha poi affrontato gli oneri dei testimoni, sottolineando che la testimonianza per il Diritto ebraico è fondamentale ma “può essere ingannevole”. È necessario allontanarsi dalla falsità, dalle ingiustizie, mantenersi sobri e obiettivi. Rav Arbib ha ricordato anche che “i testimoni venivano trattati malissimo, perché dalla testimonianza dipendeva la vita del prossimo. Meglio mille colpevoli fuori che un innocente condannato. Bisogna giudicare secondo le regole sforzandosi di essere completamente imparziali anche se è molto complicato quando si conoscono le persone”. Si è trattato di una serata estremamente interessante e attuale seguita dai festeggiamenti per Tu Bishvat e da un breve ed efficace discorso di Rav Simantov che in tema del “Capodanno degli Alberi” ha paragonato l’uomo all’albero evidenziando l’importanza e la positività di questa festività e dell’educazione e della tradizione ebraica.