Channukkà, giorno 2. L’insegnamento di resistere alla cancellazione della specificità ebraica

Ebraismo

di Rav Giuseppe Laras

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In occasione della festa di Channukkà, pubblichiamo otto pensieri scritti da Rav Giuseppe Laras sui significati della festa. Questo il secondo. QUI il primo.

L’esposizione ebraica alla cultura ellenistica, essendo all’epoca dominata Eretz Israel dal regno seleucide, fiaccò lo spirito, l’inventiva, l’originalità e, ancor prima, l’identità e l’osservanza religiosa dei nostri antichi correligionari.

In primo luogo, vi fu la débacle e il tradimento di coloro che avevano maggiori responsabilità verso il nostro Popolo: le halakhoth (norme) riguardanti la vita familiare e l’educazione, le peculiari norme sull’alimentazione e sullo Shabbat, la circoncisione “disturbavano” i nostri leaders benpensanti e progressisti, che le considerarono asfittiche, vecchie, “ghettarole” e persino imbarazzanti.

La fascinazione per la cultura ellenistica era enorme, la seduzione onnipervasiva. Se le élites religiose e culturali gerolosomitane tralignavano, totalmente alienate rispetto al reale e al polso della situazione, narcisisticamente compiaciute di potersi considerare “innovatrici”, la gente comune, delle periferie e delle campagne, più ruvida e meno agiata, meno colta e assai meno sofisticata, iniziò a provare disagio, risentimento e sdegno.

Le cose peggiorarono sensibilmente con il regno di Antioco IV. Gerusalemme divenne una polis, gli ebrei della Città vollero un locale ginnasio e scuole che li istruissero nella cultura e nei valori ellenistici.

Sottolineo “ellenistici” e non “ellenici”, nel senso che, come è noto, vi fu uno scarto fondamentale tra la Grecia classica, di Atene e Sparta e delle loro colonie, e i tardi regni ellenistici, successivi alla disgregazione dell’Impero di Alessandro Magno. La cultura filosofica della Grecia classica era quella elaborata dagli industriosi cittadini di alcune città-stato, gocce in seno a un Mediterraneo e a un Vicino Medio Oriente in cui si fronteggiavano grandi potenze, come l’Egitto, l’Assiria, la Media e la Persia, grandi civiltà, anche molto raffinate e tecnicamente evolute (si pensi all’astronomia, al calcolo e all’ingegneria di egizi e assiro-babilonesi), rispetto alle quali ateniesi e spartani erano una minoranza sparuta, alternativa, orgogliosa e libera. L’unica altra minoranza, oltre agli ebrei. E se l’ebraismo divise il mondo in ebrei e gentili, i greci lo divisero in greci e barbari. Nei due diversi casi, i termini impiegati non sono certamente analoghi e sovrapponibili, e rispondono a idee e universi simbolici profondamente dissimili. Tuttavia, vi è in essi ravvisabile la dichiarazione di uno stato di fatto, ossia la presa di coscienza che si era “minoranze”, a ogni costo determinate a rimanere indipendenti, autonome e originali, in mezzo a masse umane soverchianti territorialmente, economicamente, militarmente, culturalmente e, ovviamente, demograficamente.

Questo non impedì a entrambi di apprezzare, in alcuni loro aspetti, le culture maggioritarie e, ove possibile, di coesistervi -quando questo non significò, però, esserne fagocitati-. Da prospettive diversissime e inconciliabili a livello teologico, l’effetto pratico per greci ed ebrei furono il desiderio e l’angoscia, la necessità e la volontà di creare una separazione. Per converso, questa separazione era già avvertita dagli appartenenti alle maggioranze nel momento stesso in cui consideravano ebrei e greci, nella loro esiguità numerica, esistenti e portatori di culture vive e diverse.

In quest’ottica, è quantomeno curioso che la cultura occidentale scaturisca proprio dall’incontro difficile tra la radice giudaica e quella greca, entrambe esigue minoranze… L’Ellade classica e l’ebraismo furono, infatti, i principali portatori di valori universali. I discepoli di Aristotele Teofrasto (che subentrò come scolarca allo Stagirita nella direzione del Peripato) e Clearco di Soli furono i primi pensatori greci a venire a contatto con gli ebrei. E la piccola sovranità nazionale ebraica in Eretz Israel, con il suo Cohen Gadol, apparve loro come uno Stato “abitato da filosofi” (ricordo ancora che erano entrambi allievi diretti di Aristotele!). Parimenti, ambedue apprezzarono enormemente la qualità intellettuale e morale della liturgia e della preghiera ebraica, pervenendo a un’alta considerazione dell’ebraismo.

Molto cambiò, invece, con l’ellenismo maturo, che corrispose a una cultura maggioritaria, inclusiva e pervasiva, conquistatrice e sincretica, volta a tutto omologare e ibridare per pacificare e governare. Fu l’ellenismo a proporre in nuce, per la prima volta, proprio a tal fine, l’idea di un’umanità unificata entro i suoi confini, idea ripresa poi religiosamente dal Cristianesimo e, ancora successivamente, con declinazioni diverse, dall’Islam. Per l’ellenismo fu anzitutto un problema politico (e, solo in seconda battuta, culturale e religioso), per Cristianesimo e Islam, ancorché con sensibili differenze tra loro, l’universalizzazione era in primo luogo un’istanza di natura religiosa. Fu proprio con il maturare e diffondersi della cultura ellenistica che, inevitabilmente, quattro realtà specifiche ebraiche divennero ridicolizzate, diffamate, disprezzate e avversate: la circoncisione; l’osservanza dello Shabbat; l’astensione alimentare da alcuni cibi -tra cui in primo luogo il maiale-; l’adorazione di un Dio unico e sovrano, provvidente Creatore del cielo e della terra, non raffigurabile.

Antioco IV a Gerusalemme (!) si scatenò esattamente su questi quattro fronti: la circoncisione fu proibita al pari dello studio della Torah, pena la morte; la formazione dei giovani appaltata ai ginnasi; l’ebraismo dovette essere “riformato” e “universalizzato”; nel Santuario vennero introdotti culti a divinità idolatriche, sacrifici di maiali, prostituzione sacra e perfino una statua di zeus per il culto locale!

Come risposero le nostre élites? Con entusiasmo scellerato, sfiduciati dall’ebraismo e sedotti dalla cultura omologante ellenista! E alcuni si sottoposero persino a pratiche dolorose per ricoprire la propria circoncisione. Che dire, poi, del Cohen Gadol? Prima Giasone e, dopo, Menelao, nomi greci, addirittura epici, non certo ebraici!

Noi a Hanukkhah ricordiamo anche questo: una pressione esterna fortissima, dapprima “soft” e poi sempre più invasiva e persecutoria, e una devastante bancarotta interna.

Chiunque conosca un po’ la storia ebraica può ben comprendere come Hanukkhah sia, per eccellenza, la festa della resistenza a fronte di una disfatta, e, quindi, della conquistata sopravvivenza, con le sue strategie e i suoi miracoli. Possiamo forse dimenticare che, molti secoli dopo, la cosiddetta “riforma ebraica”, nata nella prima metà dell’Ottocento, rispondendo alla pressione antisemita da un lato e alle raffinate seduzioni della cultura omologante moderna dall’altro, nelle sue forme più radicali abolì la circoncisione e le norme rituali alimentari, arrivando persino a spostare lo Shabbat a domenica, per compiacere la buona, colta ed emancipata borghesia ebraica berlinese? Sappiamo tutti a cosa è servito e dove si è drammaticamente comunque arrivati!

E oggi, forse che non ci venga chiesto, spesso proprio dall’interno del nostro piccolo e litigioso mondo, di “purgare” l’ebraismo delle sue spigolose particolarità, esaltandone unicamente i caldi aspetti universalistici? Forse che l’osservanza ebraica non sia contraddittoria con questa ossessiva tentazione carsica che, perniciosamente, di tanto in tanto, riaffiora con nuova forza? Forse che lo Stato di Israele, con la sua resistente esistenza, non sia “in contraddizione” con queste stesse richieste, pur su un piano analogo, a livello politico?

Fortunatamente la Torah e il Talmùd  hanno creato delle strutture mentali specifiche, imprimendo in tutti noi impronte così profonde da forse diventare transgenerazionali, resistenti cioè ai molti tentativi di cancellazione, esercitati spesso dagli stessi ebrei, quando si intestardiscono, senza riserva alcuna, a inserirsi in qualche altro universo mentale.