La Torà a tavola

di Marina Gersony

Il flagello della fame per alcuni, l’eccesso di cibo per altri. È il paradosso del Terzo Millennio, con una parte di umanità che muore per denutrizione e un’altra perché mangia troppo e male. È il caso del ricco Occidente, dove ogni giorno spunta un regime alimentare nuovo che promette miracoli per la salute. Una babele di diete, spesso strampalate o nocive, che creano confusione a cui si sommano scarsa sicurezza sulla provenienza dei cibi, inquinamento e abuso di sostanze chimiche nell’industria alimentare.

Ma su una cosa sembrano oggi concordare i nutrizionisti: le abitudini tradizionali restano le migliori e rappresentano un campo di indagine sempre più importante e in continuo sviluppo. In breve: nutrirsi in modo frugale, con abbondanza di cereali integrali, frutta, verdura, legumi, pesce, moderate quantità di carne, latticini e vino.

E a proposito di tradizioni (anche religiose), negli Stati Uniti, da diversi anni stanno riscuotendo successo alcune diete che si ispirano alla Torà e alla Bibbia protestante:c’è l’Halleluja Diet, ideata dal reverendo George Malkmus, e The Marker’s Diet, La Dieta del Creatore, messa a punto dal naturopata Jordan Rubin, noto scrittore e “speaker motivazionale” che si dedica con passione alla divulgazione dei precetti alimentari della Torà. Entrambi, reverendo e naturopata, hanno fondato delle aziende di integratori e prodotti bio suscitando le critiche di alcuni («ma allora è solo un business!»), e l’entusiasmo di altri, come accade in questi casi.

Rubin, che si dichiara guarito dal morbo di Crohn, è convinto che una dieta basata su frutta, verdura, cereali e legumi organici può ridurre sensibilmente il dolore artritico, il rischio di tumore e le cardiopatie. Ma fin qui niente di nuovo. Il “plus” della sua dieta, è l’associazione di un digiuno parziale di alcuni giorni, la distinzione tra cibi nella scelta fra animali puri (kashèr) e impuri (tarèf) e, non ultime, le preghiere, fondamentali per la buona riuscita del tutto: il cibo è un dono di Dio all’uomo e l’atto di alimentarsi è sacro. Le autorità sanitarie americane specificano che non ci sono prove sul funzionamento di questa dieta, ma Rubin va diritto per la sua strada.

Al di là del naturopata americano, il rapporto esistente nell’ebraismo tra uomo, preghiera e natura è molto stretto e lo si può rilevare esaminando il racconto nella Parashà della creazione del mondo in Bereshit: «Dio disse: “Ti do tutte le piante che portano seme ovunque sulla Terra e ogni albero da frutto che produce semi, questi saranno il tuo cibo”». E ancora, Deuteronomio: «Il Signore tuo Dio sta per farti entrare in un paese fertile: paese di frumento di orzo, di viti, di fichi e di melograni; paese di ulivi, di olio e miele… mangerai dunque a sazietà».

Osserva Rav Elia Enrico Richetti, presidente dell’Assemblea rabbinica italiana: «Prima del Diluvio, secondo la Torà, il mondo era vegetariano ed è solo dopo il diluvio che verrà consentito anche il consumo di carne. Il versetto citato è la promessa al popolo di ricevere prodotti agricoli ma non ha niente a che fare con il vegetarismo o con la promessa di mangiare carne». È però certo, prosegue Rav Richetti, che Maimonide affermava l’importanza di evitare cibi dannosi per la salute: «Maimonide sosteneva che bisogna mangiare con misura e alzarsi da tavola con un po’ di appetito. Alcune indicazioni ci sono anche a livello di normative e di studi di carattere alimentare. Al di là di queste considerazioni, ci sono molte speculazioni sul valore, anche salutistico, di certe scelte imposte dalle regole della kashrut. Ma le motivazioni di queste regole vanno ben oltre, altrimenti non si capisce perché certi animali consentiti siano decisamente meno digeribili di altri. Per esempio, il montone è consentito ed è più pesante del coniglio che è vietato. Quindi non è questo l’elemento chiave. Però è anche vero che alcune scelte hanno un’utilità dal punto di vista sanitario. Ad esempio, il divieto di mescolare carne e latte fa anche bene alla salute».

E a proposito di carne, la ricerca scientifica ha ormai ampiamente documentato che consumarne in eccesso è dannoso per l’organismo.

Sostiene Luciano Bassani, medico chirurgo, esperto in Medicina riabilitativa e Presidente AME Milano: «Se proprio non si può farne a meno, è sempre consigliabile accertarne la provenienza. In questo senso la carne kasher è più sana rispetto a quella proveniente dagli allevamenti intensivi dove si fa largo uso di antibiotici e gli animali sono costretti a vivere in condizioni di estrema sofferenza. La Torà prescrive norme molto precise in proposito, tra cui un metodo di macellazione mirato a non far soffrire l’animale (quindi non è intossicato dallo stress provocato dalla paura di morire), ma anche a eliminare più sangue possibile. L’inadempienza di uno solo di questi criteri rende la carne non adatta al consumo. Anche molti coloranti e sostanze chimiche utilizzati nell’industria alimentare (tipo merendine) vanno evitati. In breve, la Torà proibisce qualsiasi sostanza che sia nociva all’organismo umano e, dal punto di vista dietetico, può fornire valide indicazioni».

Gli allevamenti intensivi, la sofferenza degli animali e la crudeltà con cui vengono uccisi, è un tema da sempre molto sentito nell’ebraismo. «Se un essere soffre non esiste alcuna giustificazione morale per rifiutare di prendere in considerazione tale sofferenza»: parole di Peter Singer, pioniere del movimento per i diritti degli animali e tra i pensatori contemporanei più importanti nel campo dell’etica. E molti avranno letto il libro di Jonathan Safran Foer, Se niente importa (Guanda), un’indagine rigorosa sulla carne animale, la sua produzione e consumo. Si chiede Safran Foer: «Come sono trattati gli animali e in che misura questo è importante? Quali effetti ha mangiare gli animali sul piano economico, sociale e ambientale?».

«Ci sono delle correnti nell’ebraismo ortodosso moderno che sono contrarie agli allevamenti intensivi e al modo di far soffrire gli animali. Quindi esiste, soprattutto in America, il marchio Eco-kosher», spiega Rav Richetti, a conferma che l’opinione pubblica, anche se lentamente, si sta sensibilizzando sulla questione.

A questo punto non resta che chiedersi come si deve regolare l’ebreo celiaco, vegetariano o vegano nel rispetto delle regole della kasherut: «Diciamo che a volte non basta seguire le indicazioni della religione perché alcuni hanno problemi di carattere alimentare come appunto i celiaci o gli intolleranti al lattosio – osserva Rav Richetti -. Oppure per chi ha fatto scelte o ha assunto diversi stili di vita come i vegetariani o vegani. È chiaro che il celiaco deve mangiare solo ciò che non gli fa male e, ringraziando Dio, le possibilità ci sono. Il problema si può porre in particolare nel periodo di Pesach per il celiaco. Però da qualche anno si riescono anche a trovare le matzòth per celiaci. Costano quanto un appartamento, ma insomma… Purtroppo è un effetto negativo dal fatto che la richiesta è limitata. Riguardo alle diete vegetariane e vegane, non c’è chiaramente nulla in contrario nell’ebraismo. Anzi, secondo il pensiero di un grande Maestro, rav Zvi Yehuda Kook, nell’era messianica l’umanità tornerà a essere vegetariana, come ai tempi prima del Mabul, il Diluvio».

Infine, riguardo al digiuno parziale consigliato da Rubin, c’è da chiedersi se sia davvero terapeutico. Per Rav Richetti «ci sono alcuni digiuni nel corso dell’anno. Il loro valore terapeutico è tuttavia molto discusso. Certamente il motivo non è quello che sta alla base del diritto di mangiare e di bere in certi giorni. Il digiuno è uno strumento che invita al pentimento. È solo questo. Ci sono medici che sostengono il beneficio di un digiuno occasionale, in cui però è necessario assumere liquidi; mentre nell’ebraismo c’è il divieto di bere nei giorni di digiuno. Vorrei comunque precisare che la tradizione ebraica è molto “moderna”, nel senso che in pratica permette di mangiare senza particolari limitazioni, esclusi i cibi non consentiti. Quindi, si può mangiare di tutto ma con misura». Possiamo quindi affermare che la “Dieta della Torà”, come qualcuno l’ha chiamata, sia un orientamento valido per la nostra salute?

«Non conosco la Marker’s Diet – conclude Bassani – quindi non posso esprimermi in merito. Indubbiamente i precetti della Torà, al di là del loro valore religioso e spirituale, sono sempre validi anche per la salute. Uno fra tutti è l’astensione assoluta dal consumo di carne di maiale e suoi derivati. Oltre a un principio legato all’impurità del suino, è stato dimostrato che la similitudine biologica della carne di maiale con quella umana può provocare reazioni cellulari complesse e dannose per l’organismo. La quasi totale inefficacia dei sistemi di detossificazione del maiale, fa sì che i suoi tessuti e quindi le sue proteine, siano particolarmente tossiche in quanto imbevute di tossine. Il suo consumo può dunque contribuire allo sviluppo di malattie di tipo allergico o autoimmune. Meglio non lasciarsi tentare».

Salmi: “non mangerai il pane dei nervi”

Così come Maimonide affermava che il cibo è “medicina”, la Cabalà sostiene che la guarigione del corpo può essere raggiunta accedendo all’energia pura degli alimenti. Ritroviamo tale idea anche nel versetto biblico: Benedirò il tuo pane e la tua acqua, rimuoverò da te ogni malattia. Tuttavia, perché il cibo sia terapeutico, insegna Re David nei Tehillim, nei Salmi, l’alimentazione deve essere equilibrata e non frutto di nevrosi; il versetto che segue ci mette in guardia rispetto al circolo vizioso di fame nervosa-depressione-insonnia: «È inutile che vi alziate presto, che andiate a dormire tardi, che mangiate il pane dei nervi, tanto è solo Dio che dà il sonno ristoratore a colui che ama». Queste parole toccano, in modo sintetico, i vari livelli di disagio associati a una alimentazione squilibrata. A livello emotivo: il pane dei nervi è il cibo che mangiamo in maniera nevrotica quando siamo stressati e nervosi. A livello fisico: più tardi ci si corica, meno facilmente si riesce a prendere sonno. A sua volta, la stanchezza accresce lo stimolo della fame. Mangiando a notte inoltrata, il cibo non può essere assimilato perfettamente a causa della limitata funzionalità dello stomaco nelle ore notturne e quindi l’apparato digerente viene danneggiato.

A livello spirituale: se si dorme poco e si mangia troppo tardi la sera, impegnando l’organismo nella digestione invece che nell’attività onirica ristoratrice, non si può accedere al sonno ristoratore. Nel Sèfer Yetzirà, non a caso, il senso del sonno è associato all’organo della digestione. Per evitare gli incubi e per accedere al sonno e al sogno trasformatore e guaritore è quindi importante cenare in modo leggero e non a tarda sera.

Il brano è tratto dal libro “La Cabalà e i quattro mondi della guarigione”, di Daniela Abravanel, courtesy Mamash edizioni.