Il 26 luglio Stanley Kubrick avrebbe compiuto 90 anni. Qui il suo lato ebraico

Taccuino

di Roberto Zadik

Stanley Kubrick a 20 anni dalla morte e a 50 da “2001 Odissea nello Spazio”: un omaggio al geniale regista ebreo americano

Kubrick non è stato semplicemente un bravo regista ma un personaggio geniale e innovativo che, con una decina di film, ha rivoluzionato il mondo del cinema e il linguaggio filmico nella sua epoca e anche oggi. Il prossimo 26 luglio avrebbe compiuto 90 anni; è uno dei miei registi preferiti del mondo ebraico, assieme a Woody Allen, al suo amico fraterno Steven Spielberg e al commediante Mel Brooks. Quasi vent’anni fa, il 7 marzo 1999, è morto a 70 anni. Ricordo di averlo saputo improvvisamente, a pochi mesi di distanza dalla scomparsa di altri due giganti come De Andrè e Battisti. Oggi sembra essere stato dimenticato dalle nuove generazioni e un po’ “passato di moda”.  In questo blog ho deciso di  omaggiare la sua personalità, di tornare alla mia “cinefilia” ricordando questo geniale autore, ma in modo completamente diverso dai diluvi di inchiostro che sono state scritti su di lui.

Che tipo era Stanley Kubrick? Qual è il suo lato ebraico?

Sornione, diffidente, sarcastico, realista e liberale, dichiaratamente ateo, spesso Kubrick si divertiva a sorprendere e a spiazzare la stampa, così come gli amici, i colleghi e l’ambiente circostante. Una volta affermò ironicamente, come si legge in un bell’omaggio del Jewish Chronicle, “non sono ebreo ma mi è successo di avere genitori ebrei”. Molto provocatorio e spesso enigmatico, nella sua arte e nella vita, nelle rare interviste e nella decina di suoi film in 40 anni di carriera (dal 1958 con “Orizzonti di gloria” al 1998 con “Eyes wide shut”, tutti tratti da grandi romanzi), egli con poche mosse ben calibrate cambiò la storia del cinema realizzando ogni volta un film di genere diverso. Dalla fantascienza, con “2001 Odissea nello spazio”, ai film di guerra “Orizzonti di gloria” e “Full Metal Jacket”, dura satira della vita militare, all’horror con “Shining” alla critica sociale con bullismo e teppismo nel suo “Arancia Meccanica”, al genere storico con “Spartacus” e “Barry Lyndon” fino alla commedia, con “Lolita” e “Il dottor Stranamore”.

Nonostante  il celebre regista si dichiarasse scettico sulla religione o sulla vita eterna, nei suoi film vari e sempre indiretti sono i riferimenti ebraici, e molti dei suoi amici erano ebrei; la ricerca di risposte e  una costante indagine psicologica ricorrono spesso nel suo lavoro. Fra le  sue frequentazioni più famose  Kirk Douglas, che lo definì  “un grande talento” criticandolo però aspramente come persona, Peter Sellers, star della “Pantera Rosa” con cui girò “Lolita” e “Il Dottor Stranamore”; il regista Steven Spielberg, suo fraterno amico con cui passava ore al telefono.

Perfezionista e meticoloso, Kubrick nacque il 26 luglio 1928 (Leone ascendente Scorpione) a New York, nel Bronx, e per tutta la sua vita mantenne il massimo riserbo su diversi aspetti della sua esistenza. Compreso il suo “lato ebraico”, nonostante vari pettegolezzi e indiscrezioni che nella sua riservatezza estrema egli sfuggì sempre, definendosi “ateo” e chiudendo così il discorso. Malgrado questo, il suo lato ebraico emerge nel suo cinema, in cui egli trattò temi filosofici e religiosi, come quelli della giustizia, del Male (al centro del controverso e splendido “Arancia Meccanica”), dell’etica… e poi la riflessione su libertà e schiavitù in “Spartacus”, il timore dell’autoritarismo e di un Olocausto nucleare, successivo a quello nazista, ne “Il dottor Stranamore”, la ricerca dell’Infinito e forse di Dio in “2001 Odissea nello Spazio”, la critica sociale.

Fu accusato di essere “un ebreo che odia se stesso” da un certo Dalton Trumbo, suo collaboratore nelle riprese di “Spartacus”: egli ne parlò molto negativamente affermando che il regista accusava “gli ebrei di essersi separati dalla società circostante e per questo odiati”. Ma queste sono solo voci di cortile. Sicuramente non religioso, non si pronunciò né sul suo ebraismo né su Israele, fu un autore esistenziale e intellettuale, come tanti registi statunitensi di origine mitteleuropea, da Woody Allen a Billy Wilder, da Groucho Marx a Mel Brooks. Suo padre era di origini polacco-rumene e la madre austriaca.

Appassionato di jazz, scacchi, pare fosse bravissimo, letteratura, adorava la musica classica presente nelle colonne sonore di vari suoi film da “Arancia Meccanica”, dove mostrò chiara passione per Beethoven chiamato dal protagonista “Ludovico Van”, a “2001 Odissea nello spazio”, con i Valzer di Strauss. Dominato da introspezione, spiccata vena psicologica, adorava Freud e Schnitzler e scrittori come Kafka e Zweig, leggeva sempre e per molti versi egli fu un tipico autore ebreo laico ashkenazita che a modo suo mostrava sprazzi di ebraicità e di identità a prescindere dalla religione.

Autoritario, molto ironico, ipocondriaco, come lo descrissero amici e collaboratori, da Malcolm McDowell, protagonista del suo capolavoro “Arancia Meccanica” dove echeggiano varie parole di slang yiddish, fino a Tom Cruise o a Jack Nicholson, che lo conobbe a fondo mentre girava “Shining”, nel 1968 realizzò uno dei suoi film più famosi “2001 Odissea nello Spazio” che ispirò nientemeno che David Bowie che l’anno dopo iniziò la sua folgorante carriera con la canzone “Space Oddity”. Innovatore, anticipatore, anticonformista, amante della pace e della quiete famigliare, sposato tre volte, la prima con una ragazza ebrea Toba Metz sua fidanzata a scuola, solo per due anni; poi con la ballerina austriaca Ruth Sobotka e per ultima la sua compagna a vita, Christiane Harlan, pittrice tedesca con cui ebbe tre figli, il geniale Kubrick visse una vita dedicata al lavoro e alla vita privata ed era noto per la sua riluttanza  nel rilasciare interviste, nel ritirare premi e nel parlare di sé e della sua privacy.

Fotografo di prima qualità, studente svogliato a scuola, appassionato di fantascienza, goloso e trasandato, osservatore e intuitivo, era un tipo decisamente fuori dal comune.  Un articolo apparso sul Jewish Chronicles racconta che era un personaggio schivo che evitava le mondanità e che fu vittima di antisemitismo nei suoi esordi nel mondo del cinema, anche da parte di suoi diversi collaboratori, come il produttore e suocero Jan Harlan che disse “Sapeva di sembrare un ebreo e la sua grande barba enfatizzava questo elemento”; e l’autore di “2001 Odissea nello Spazio”,  Arthur Clarke, che lavorò alla sceneggiatura della pellicola con lui disse che “sembrava uno studioso di Talmud, un rabbino dall’aria cinica”. Insomma commenti e dicerie si sprecano e il mito di Kubrick a 20 anni dalla sua morte continua a suscitare attenzione e a emanare magnetismo. Una delle sue figlie, Anya, lo descrive come un “tipico padre ebreo, amorevole e probabilmente iperprotettivo”. A quanto sembra, secondo un’altra figlia Katharina, “non praticava nessuna religione e avevamo un albero di Natale a casa, ma voleva realizzare un film sulla Shoah e fece delle ricerche che durarono anni”.

Il suo film sulla Shoah? Mai realizzato, ma a quanto pare avrebbe dovuto chiamarsi “Aryan Papers” (Carte ariane). Molto lento e perfezionista in ogni suo lavoro, Kubrick si dedicò per 20 anni a questa storia ambientata a quei tempi, ma esigente com’era non trovò un ambiente o una sceneggiatura soddisfacente. Voleva ambientare la trama nell’industria cinematografica tedesca, parlare di due personaggi inquietanti come Joseph Goebbels, spietato artefice e promotore della propaganda nazista, e Veit Harlan, zio della sua terza moglie e regista e zelante collaboratore e amico di Goebbels. Forse una riflessione famigliare, una storia amara personale e dolente, ma la pellicola non venne mai realizzata e l’adattamento del romanzo di Louis Begley “Wartime lies” (Bugie del tempo di guerra) rimase pura utopia. Secondo il sito del New Yorker, Kubrick, nonostante fosse amico di Spielberg, rispose sarcasticamente al successo di “Schindler’s list” dicendo allo sceneggiatore Frederic Raphael: “Pensi che sia una storia sull’Olocausto? Esso ha ucciso 6 milioni di ebrei, nel film si parla dei 600 ebrei che si sono salvati”.