di Pietro Baragiola
Lunedì 9 settembre al Toronto Film Festival (TIFF) la regista Alexis Bloom e il produttore premio Oscar Alex Gibney hanno presentato l’anteprima mondiale di The Bibi Files, il documentario che fa luce sulle accuse rivolte al primo ministro israeliano Benjamin “Bibi” Netanyahu che avrebbe concesso favori politici in cambio di copertura mediatica e regali per un valore di circa 250.000 dollari.
Nel 2019, dopo anni di indagini di polizia, Netanyahu è stato accusato di corruzione, frode e violazione della fiducia. Ciononostante, il primo ministro si è sempre rifiutato di presentare le dimissioni, insistendo pubblicamente di essere vittima di “una caccia alle streghe politica e mediatica”.
Oggi il suo caso non ha ancora trovato una conclusione per via dei ritardi dovuti alla pandemia del Covid-19 e alla guerra a Gaza.
The Bibi Files nei suoi 113 minuti di girato mette in risalto la colpevolezza del primo ministro, dimostrata da numerose testimonianze che i produttori hanno diviso in due categorie distinte: gli interrogatori della polizia tra il 2016 e il 2018 rivolti a Netanyahu, alla moglie Sara, al figlio Yair e a diversi benefattori come il produttore hollywoodiano Arnon Milchan e il magnate delle telecomunicazioni Shaul Elovitch; le interviste recenti a personalità israeliane di spicco come l’ex primo ministro Ehud Olmert, l’ex consigliere di Netanyahu Nir Hefetz e l’amico d’infanzia Uzi Beller.
“Tutte le vicende raccontate nel documentario sono abbastanza note in Israele ma non nel resto del mondo” ha affermato Gibney durante l’anteprima.
Il produttore spera che la presenza del documentario al TIFF sia riuscita ad attirare potenziali acquirenti in modo da distribuire il progetto nel mercato internazionale.
L’anteprima di lunedì ha visto la partecipazione di più di 200 spettatori, spingendo gli organizzatori del festival a dedicare al documentario una seconda proiezione, che si è tenuta il 10 settembre.
L’ispirazione del documentario
Il progetto è nato nel 2023 quando una fonte anonima ha avvicinato Gibney, offrendogli i nastri degli interrogatori al primo ministro.
“Questa fonte è venuta da me dicendo: ‘ho delle videocassette e penso che potrebbero interessarti. Forse potresti farci un film.’ Le ho prese, le ho guardate e sono rimasto molto colpito dal loro contenuto” ha raccontato il produttore al pubblico in sala.
Con l’idea di unire queste registrazioni in un documentario, Gibney ha contattato l’amica regista Alexis Bloom con cui in precedenza aveva collaborato ai film Divide and Conquer: The Story of Roger Ailes (2018) e We Steal Secrets (2013).
Bloom ha affermato che, nonostante il documentario abbia guadagnato notevole interesse dopo gli eventi del 7 ottobre, sono i piani di Netanyahu per la riforma del sistema giudiziario israeliano che l’hanno convinta a partecipare al progetto.
“Avevo trascorso diverso tempo in Israele e mi sono sentita coinvolta” ha spiegato la regista.
Il 2 settembre The Bibi Files è stato aggiunto al programma “Docs” del TIFF 2024. Pur essendo ancora un “work in progress”, il responsabile della programmazione del festival, Thom Powers, lo ha considerato completo, definendolo “un film che ha qualcosa di importante da raccontare sulla crisi in Medio Oriente”.
Pochi giorni prima del festival, il documentario è stato promosso da un articolo sulla rivista americana Variety dove Gibney e Bloom non hanno nascosto il loro astio per il primo ministro, affermando che le registrazioni da loro raccolte “fanno luce sul carattere di Netanyahu in un modo che senza precedenti. Queste testimonianze sono una prova schiacciante del suo carattere venale e corrotto e di come ci abbia portato al punto in ci troviamo ora.”
Tentativo di blocco
The Bibi Files non può essere proiettato in Israele a causa della legge sul diritto alla privacy per chiunque venga registrato durante un procedimento ufficiale.
Nonostante questa legge si applichi solo ad Israele, gli avvocati di Netanyahu hanno presentato un’istanza chiedendo al giudice della corte distrettuale di Gerusalemme di bloccare l’anteprima in Canada.
I rappresentanti del primo ministro hanno inoltre accusato il giornalista investigativo Raviv Drucker, intervistato nel documentario (di cui è anche uno dei produttori esecutivi), di essere la fonte di Gibney e di aver rilasciato queste registrazioni senza avere alcuna autorizzazione, violando così la legge israeliana sulla privacy.
“Drucker si è più volte dichiarato avversario politico del primo ministro ed ha espresso pubblicamente il desiderio di porre fine al suo mandato” hanno affermato gli avvocati di Netanyahu nell’istanza.
Tuttavia, oggi non esistono prove sufficienti che ritengano Drucker il responsabile della fuga di notizie. Il giudice Oded Shaham ha inoltre respinto la richiesta di boicottaggio del documentario affermando che, poiché la mozione è stata presentata lo stesso giorno dell’anteprima mondiale, non c’era abbastanza tempo per un’udienza.
Le testimonianze dirette
“Non ricordo.” Sono queste le parole pronunciate più volte dal primo ministro nelle registrazioni in cui risponde alle domande della polizia in merito al fatto se avesse mai spinto i suoi contribuenti a pagarlo con champagne e sigari di prima qualità in cambio di favori o se sapesse che sua moglie aveva ricevuto in regalo da Arnon Milchan un braccialetto del valore di 42.000 dollari.
Le sue parole sono in netto contrasto con la “prodigiosa memoria” a lui attribuita dalle testimonianze di ex amici e colleghi nel corso del documentario.
Molte di queste interviste lasciano intendere come la grande paura di Netanyahu di finire in prigione lo abbia spinto a fare tutto il necessario per rimandare il processo, restando al potere: formare una coalizione con gli estremisti di destra, nominare i capi del National Religious Party e del Otzma come ministri di gabinetto e lanciare la revisione del sistema giudiziario.
Secondo i testimoni, sono proprio le proteste pubbliche in risposta alla riforma giudiziaria ad aver distratto Israele durante il 7 ottobre, rendendo il Paese vulnerabile all’attacco di Hamas.
“Prolungare questa guerra è nel suo interesse” afferma uno degli intervistati nel documentario, spiegando che più il conflitto in Medio Oriente prosegue, più Netanyahu sarà in grado di rimandare il suo processo. “Per questo ha rinunciato agli ostaggi ancora detenuti da Hamas, dando la priorità agli attacchi piuttosto che ai negoziati di cessate il fuoco.”
“Ho parlato con molte persone vicine a Netanyahu: suoi ex ministri di gabinetto ed ex capi dello Shin Bet” ha raccontato Bloom. “Tutti erano talmente contrari alla disonestà del primo ministro, da accettare ben volentieri l’invito di sedersi con me all’Hotel King David di Gerusalemme e parlarmene per tre ore consecutive.”
Dopo l’anteprima
Durante i titoli di coda metà del pubblico in sala ha dedicato una standing ovation al documentario.
“Dovete trovare il modo di farlo uscire in Israele” ha urlato uno spettatore tra gli applausi, mentre gli altri tenevano in mano cartelli con slogan in ebraico che chiedevano nuove elezioni parlamentari.
C’è anche chi, dopo la visione, si è dimostrato contrario al messaggio accusatorio del progetto affermando che il primo ministro “non è ancora stato dichiarato colpevole.”
Il processo a Netanyahu è ufficialmente in programma per il 2025 ma tutt’ora il suo team legale sta cercando nuovi escamotage per rimandarne ulteriormente la data.