Sacha Baron Cohen, doppio trionfo ai Golden Globe

di Roberto Zadik   

Per l’attore e sceneggiatore Sacha Baron Cohen, c’è stato un doppio trionfo ai Golden Globe 2021: “miglior attore in un film commedia o musicale” per l’esilarante seguito di Borat  (Borat – Seguito di film cinema) e “miglior attore non protagonista” per un film “serio” come Il processo ai Chicago 7

A 15 anni dal primo episodio, il trasformista e vulcanico attore ebreo londinese Sacha Baron Cohen torna alla carica con l’irriverente giornalista kazako Borat, trionfando in questa edizione “virtuale” dei Golden Globe. Ispirandosi costantemente al suo modello Peter Sellers, Cohen non è solo un brillante intrattenitore ma, nella sua carriera, ha inventato vari personaggi. Fra questi uno dei più fortunati è proprio Borat Sadgiyev, personaggio stravagante ed estremamente misogino e antisemita che, protagonista del film Borat il seguito. Consegna di una portentosa bustarella al Regime americano  domenica 28 febbraio ha “stregato” la giuria aggiudicandosi due premi, quello di Miglior Attore e di Miglior Film commedia. Una pellicola decisamente “forte”, satira dell’America di oggi e ritratto amaro e sarcastico del mondo odierno in preda alla pandemia e alle fake news. Ma di cosa parla questo film? La commedia, diretta con lo stesso schema a sketch della prima puntata da Jason Woliner,  racconta di un Borat che, dopo essere uscito dalla detenzione  per aver diffamato la sua nazione, ora è pronto a rifarsi una vita. In che modo?

Coinvolto in una serie di tragicomiche disavventure, il protagonista del lungometraggio – uscito alla vigilia delle elezioni americane del novembre 2020 –  deve restaurare i rapporti assai tesi fra il suo Paese e l’America, cercando di rifilare al Governo Usa  una misteriosa “bustarella”  che alla fine sarà la figlia Tutar (interpretata da Marija Bakalova) che egli tenta di far sposare a un membro della Casa Bianca.

Dalla sua prima volta negli Stati Uniti scopre che il Paese che ricordava  è cambiato, sconvolto dalla pandemia, dalle fake news e dalle paranoie di questa tormentata epoca. Tutto questo fra gag, colpi di scena e irresistibili siparietti demenziali che hanno coinvolto personalità della politica d’oltreoceano come l’ex sindaco di New York, il 77enne Rudolph Giuliani. A questo proposito, l’attore durante il suo discorso in seguito alla premiazione, l’ha ringraziato per la sua partecipazione al film elogiandolo in tono scherzoso per le sue doti “di genio della commedia”. Come ha sottolineato il sito del New York Times la pellicola è una satira dell’America di oggi e di questa epoca, ricca di trovate esilaranti anche se l’umorismo graffiante e spesso volgare di Cohen non è per tutti, che “descrive vari malesseri di questa epoca come la manipolazione dei media e la disinformazione in cui viviamo”.

Premiato sia per la sua verve travolgente e la capacità di passare attraverso vari ruoli, nel film Cohen, 50 anni, ha interpretato non solo il protagonista ma varie “macchiette” minori ma non meno efficaci. Realizzato in piena pandemia, il film ha presentato diverse difficoltà e varie scene pericolose in cui , come ha ricordato il sito www.deadline.com  il protagonista ha dovuto indossare un giubbotto antiproiettile ingaggiando una guardia del corpo che lo accompagnasse sul set. Ancora una volta la comicità graffiante dell’attore e imitatore inglese colpisce nel segno e, nonostante non abbia eguagliato il successo del primo episodio, anche questo film è riuscito ad attirare l’attenzione dei critici dell’accademia dei Golden Globe.

Ma non si tratta dell’unico successo per l’attore ebreo inglese. Infatti sempre la stessa sera è stato premiato come Miglior film drammatico Il processo ai Chicago 7,  diretto dal regista ebreo newyorchese Aaron Sorkin. Cohen qui interpreta l’attivista hippie Abbie Hoffman e ha ricevuto il premio come “miglior attore non protagonista”. Firmato da questo valido cineasta 60enne, che è stato soprattutto grande sceneggiatore (da ricordare The social network sulla rivoluzione facebook e la biografia Steve Jobs) il film riporta il pubblico indietro nel tempo nelle sommosse pacifiste contro la Guerra del Vietnam. La trama, ambientata nel 1968, racconta del ribelle anarchico Hoffman, interpretato da Baron Cohen in uno dei suoi pochi ruoli seri e davvero molto efficace, che – coinvolto con il suo gruppo di rivoltosi i “Chicago 7” – viene processato per istigazione alla rivolta a causa del violento tafferuglio avvenuto nell’agosto di quell’anno fra la polizia e i manifestanti. Una vicenda giudiziaria estremamente ritmata e ricca di tensione che si è aggiudicata il premio di Miglior Film anche grazie all’intensa interpretazione drammatica di Cohen.

Il lato ebraico di Sacha Baron Cohen. La sua famiglia e il suo rapporto con l’ebraismo 

Ben poco si sa dell’identità ebraica di questo attore che, stando ad alcuni aneddoti interessanti,  parla fluentemente l’ebraico (usato spesso nei dialoghi di Borat con la figlia) ed è nipote di sopravvissuti alla Shoah. Il sito Kveller.com approfondisce il suo misterioso passato famigliare. Nato a Londra il 13 ottobre 1971 da padre cresciuto nel Galles da origini ebraiche mitteleuropee e  madre israeliana di origini tedesche, fotografa e istruttrice di ginnastica, da giovane egli è stato volontario in Kibbutz nel nord di Israele a Rosh HaNikra, interessandosi subito alla storia e alla politica dello Stato ebraico e recitando in piccoli spettacoli universitari (copioni decisamente ebraici come Il violinista sul tetto). Sebbene non abbia mai ostentato la propria ebraicità (i suoi vari personaggi sono quasi  tutti non ebrei, dal suo personaggio d’esordio AliG alla fine degli anni ’90 che compare anche nel video di Madonna Music, allo stilista gay austriaco Bruno, al tiranno di The Dictator, parodia ispirata al crudele dittatore Gheddafi) l’attore ha però  accennato parole in ebraico durante le sue interpretazioni. Interprete e imitatore scatenato e corrosivo, diverse volte ha suscitato critiche e polemiche per certe sue battute anche da parte di alcune organizzazioni ebraiche che lo accusarono di fomentare l’antisemitismo proprio a causa di personaggi come Borat.

Riluttante nell’accettare ruoli ebraici e refrattario a qualsiasi etichetta, ha però magistralmente impersonato l’agente del Mossad Eli Cohen nella serie tv The spy in onda nel 2019 su Netflix e candidata ai Golden Globe.

Esuberante e travolgente nei suoi ruoli cinematografici Cohen è invece estremamente riservato sulla sua vita privata. Sposatosi a Parigi nel 2010 con cerimonia  ristretta a pochi intimi con l’attrice australiana Isla Fisher, convertitasi all’ebraismo e decisamente osservante, assieme ai suoi tre figli e alla moglie, celebra lo Shabbat e le feste ebraiche e la consorte ha più volte dichiarato di amare l’ebraismo e i suoi valori.