Roman Polanski

Polanski, a Venezia, il suo “J’accuse”: il caso Dreyfus secondo il controverso e geniale regista

Spettacolo

di Roberto Zadik
Nonostante i suoi 83 anni, appena compiuti lo scorso 18 agosto, il versatile regista francese di origini ebraiche polacco-russe Roman Polanski Liebling  è sempre attivo e sta per arrivare al Festival di Venezia, venerdì 30 agosto, col suo nuovo e intenso “J’accuse” (Io accuso), nei cinema italiani dal 21 novembre col titolo “L’Ufficiale e la spia”. Celebre e tragico esempio di antisemitismo, questo presunto errore giudiziario sconvolse la Francia e divise il Paese fra difensori e detrattori del militare alsaziano  per dodici anni dal 1894 al 1906.

L’affaire Dreyfus e il film

Ma cosa accadde? Protagonista  della vicenda era un mite caporale dell’esercito ebreo francese alsaziano, Alfred Dreyfus, accusato ingiustamente di essere una spia della Germania e completamente innocente. Infatti tempo dopo  si scoprì che il vero responsabile era il colonnello Esterhazy. Umiliato, condannato per presunta “cospirazione” (tipico stereotipo antisemita) e esiliato su una sperduta isola tropicale nella Guyana Francese, a difenderlo con un famoso articolo  “J’accuse” (Io accuso) che dà il titolo alla pellicola, l’avvocato e scrittore Emilie Zola che denunciò l’antisemitismo di quell’epoca. Curiosamente molte sono le analogie  con “Il processo” capolavoro del grande scrittore Franz Kafka realizzato nel 1920, che sembra essersi ispirato a questo episodio. Ebbene Polanski ha fedelmente rappresentato  l’accaduto adattando sul grande schermo l’omonimo romanzo di Robert Harris e riproducendone  il contesto storico e gli avvenimenti. Questo anche grazie a bravi attori come Louis Garrell, figlio del regista Philip nella parte di Dreyfus e Jean Dujardin, che a soli 47 anni ha già lavorato con maestri come Lelouch e Scorsese nella parte del suo antagonista l’ufficiale Georges Picquart. Un film storico di grande precisione ma anche emozionante e dal ritmo serrato per un regista, la cui vita sembra un poema epico.

Chi è Roman Polanski? Una carriera fra successi, tragedie e scandali

Una vita burrascosa, tragica  ma anche stimolante quella del regista, nato a Parigi nel 1933 da padre pittore polacco di religione ebraica e da una casalinga correligionaria russa convertitasi al cattolicesimo ma morta in campo di concentramento.  Malgrado questi drammi, egli fra gli anni ’60 e gli anni ’90 divenne molto famoso grazie a capolavori appartenenti a vari generi cinematografici. Da Chinatown, poliziesco con Jack Nicholson, a Il Pianista il suo unico film “ebraico”, a lungometraggi d’azione come Frantic con Harrison Ford. Nel 1968 girò un inquietante film dal titolo Rosemary’s baby, sua prima opera americana dopo aver cominciato la sua carriera in Polonia la cui trama racconta di una giovane coppia vittima di stregonerie e incubi. Questa pellicola fu una strana premonizione e l’inizio di due grandi tragedie che colpirono Polanski.

L’8 agosto 1969 il criminale e tossicodipendente Charles Manson e la sua “Family” composta da lui e da tre ragazze squilibrate, entrarono nella villa del regista che era a Londra, e uccisero barbaramente l’ex moglie, l’attrice e modella americana Sharon Tate che era incinta di 8 mesi, e i suoi amici che erano con lei. Proprio a questa vicenda è dedicato C’era una volta a Hollywood, nuova opera di Quentin Tarantino, nelle sale italiane dal 18 settembre, con un cast di grandi attori, da Brad Pitt a Di Caprio, a Luke Perry (star della serie tv anni ’90 “Beverly Hills” scomparso a marzo a soli 53 anni).

Roman Polanski con l'ex moglie Sharon Tate, uccisa dalla 'famiglia' di Charles Manson
Roman Polanski con l’ex moglie Sharon Tate, uccisa dalla ‘famiglia’ di Charles Manson

 

Pochi anni dopo, nel 1977 Polanski venne denunciato per molestie sessuali da una 13enne e questa vicenda giudiziaria si trascina fino ad oggi, diventando oggetto di polemica anche in questi giorni al Festival di Venezia (Polanski è infatti da anni ricercato dalla polizia statunitense). È infatti delle ultime ore la notizia della polemica nata intorno alle dichiarazioni del presidente di giuria, l’argentina Lucrecia Martel, che ha dichiarato: “Io non separo l’uomo dall’opera. Quando ho saputo della presenza di Polanski, ho voluto indagare e consultare scrittori per farmi un’idea e ho visto che la vittima ha considerato il caso chiuso non negando i fatti, ma dicendo che in qualche modo il regista aveva pagato a sufficienza per il suo crimine. Se lei ritiene che in qualche modo la cosa sia chiusa, io non posso occuparmi della questione giudiziale ma posso semplicemente solidarizzare con la vittima. Non mi sarà facile affrontare il film e non voglio partecipare al gala perché rappresento donne nel mio Paese che sono vittime di questo tipo di abusi, per cui non mi sento di alzarmi e applaudire ma il film c’è. Su questo tema c’è un dibattito e quale miglior luogo che questo, il festival, per il confronto? Non intendo essere il giudice di una persona, occorre affrontare il tema attraverso il dialogo”. Di parere diverso è Alberto Barbera, direttore della Mostra, che ha dichiarato: “Al di là della considerazione che si tratta di un tema complesso e non si possono avere risposte univoche, io sono convinto che si debba fare distinzione tra uomo e artista. La storia dell’arte è piena di uomini che hanno commesso crimini e non per questo abbiamo smesso di prendere in considerazione e ammirare le loro opere. Questo vale per Polanski, uno dei più grandi maestri del ‘900”.