di Roberto Zadik
Il cinema israeliano in questi anni ha raggiunto vette artistiche notevoli, ma lunedì sera si è superato, vincendo un Oscar con il documentario Skin di un regista solido e esistenziale come il 46enne Guy Nattiv (nella foto con Jaime Ray Newman, produttrice del film nonché moglie del regista).
La pellicola, non è la sola realizzata da autori ebrei, in lista d’attesa per le ambite statuette nell’edizione di quest’anno. Infatti pluripremiato anche Bohemian Rhapsody del regista ebreo americano Bryan Singer, che ha ottenuto grande successo di pubblico in questi mesi grazie anche al favoloso protagonista Rami Malek nel complesso ruolo di Freddie Mercury (Oscar come Migliore Attore).
Vincitore anche il nuovo film di Spike Lee The BlacKkKlansman per la Migliore sceneggiatura non originale, è firmata da due sceneggiatori ebrei, David Rabinowitz e Charlie Wachtel, e che ha fra i protagonisti un detective ebreo incaricato di indagare sul Ku Klux Klan.
Molti anche gli ebrei candidati all’Oscar ma non usciti vincitori: Rachel Weisz, candidata a Migliore attrice protagonista per La favorita, lo sceneggiatore ebreo americano Eric Roth per il suo A star is born, remake del successo anni 70’, e i Fratelli Cohen con The ballad of Buster Scruggs, entrambi in competizione per la Migliore sceneggiatura non originale.
Skin, Migliore Cortometraggio
Ma di cosa parla il documentario israeliano? La pellicola, elogiata da vari siti, da “Haaretz” fino a Times of Israel e della quale ha parlato anche “La Stampa” affronta il duro tema dei naziskin americani, già ottimamente trattato da due lungometraggi di alto spessore come “The Believer” esordio di Ryan Gosling e “American History X” con Edward Norton.
Nattiv invece che una pellicola nel vero senso della parola ha girato un “corto” da 20 minuti denunciando l’antisemitismo Usa americano, descritto attraverso le scorribande di un gruppo di naziskin e del suo leader Bryon Widner, interpretato dal bravo attore inglese Andrew James Bell che coinvolgeranno anche due bambini, uno bianco e l’altro di colore. Un attacco al razzismo e una denuncia della violenza e del pregiudizio statunitensi di questi ultimi tempi proveniente da un autore israeliano.
A questo proposito in una intervista Nattiv ha sottolineato, su “Haaretz” che “oggi in America non mi sento sicuro come una volta”. Autore impegnato in temi spesso e volentieri difficili come l’autismo trattato nel suo “Mabul” (Diluvio) e diretto con grande talento e sensibilità ora, il cineasta, 46 anni il prossimo 24 maggio e sposato con l’attrice ebrea americana Jamie Ray Newman e padre di una figlia di 5 mesi, ora egli arriva sugli schermi con questo lavoro che ha ricevuto una serie di elogi istituzionali importanti. Come quello del presidente Rivlin, riportato su “La Stampa” che ha detto “Tutto il merito per Skin, il film è un regalo per i nostri figli, nipoti e il futuro che desideriamo per loro”. Finora il film è stato premiato a diversi festival internazionali, da Toronto al Festival di Berlino dove sarà in gara fra le pellicole. Sempre attivo, il regista, stando a quanto afferma “Times of Israel” citando un articolo apparso su Ynet, starebbe già preparando “Harmony” un altro documentario. La sua trama racconta le vicende di sua nonna sopravvissuta alla “Shoah”. Nel nuovo lavoro egli si sofferma non solo su sua nonna, morta a 70 anni in Virginia ma sui suoi sforzi di portare le sue spoglie in Israele per il funerale e trasferitasi, come suo nipote, negli Stati Uniti per diversi anni. Una storia decisamente personale e emotiva che dimostra il talento introspettivo di questo autore.