Il sigaro della vendetta

Spettacolo

Berlino, 1947. Nella Germania appena uscita dalla guerra, tutte le mattine, due uomini si incontrano: Julius Reiter, professore ebreo che vuole partire per fondare lo Stato di Israele, ed Ernst Gruber, il proprietario di una tabaccheria, tipicamente tedesco. “Per tutta la prima parte, il testo gioca a ribaltare il luogo comune che vede nell’ebreo la vittima e nel tedesco il carnefice, cercando la complicità del pubblico con il personaggio di Reiter, che è riuscito a salvarsi dalla Shoà fuggendo in Palestina e ora può finalmente tornare nella sua patria, riottenere i diritti negati dieci anni prima e far pagare al nemico la giusta pena per i torti subiti, umiliandolo. Il tedesco Gruber è continuamente costretto a salire sulla scala, prendere i sigari posti negli scaffali più impervi da raggiungere, portarli al bancone per poi vederseli respingere con scuse ridicole. Ogni mattina, l’ebreo Reiter consuma questo stillicidio con la precisione e la costanza di un carnefice, prima di ripartire per Israele”, spiega Alberto Oliva, regista di Il venditore di sigari, testo del drammaturgo israelo-americano Amos Kamil, in scena al Teatro Litta a Milano. “Nascere tedesco nel 1920 significava essere condannato a diventare un carnefice. Nascere ebreo nello stesso anno era la condanna ad essere una vittima. In entrambi i casi, la ribellione a questo destino non era possibile. A quali compromessi un essere umano, da solo, è disposto a scendere quando si trova sull’orlo dell’abisso?
Poco oltre la metà del testo, un colpo di scena inatteso ribalta i ruoli dei due personaggi, chi subiva ora attacca, chi attaccava subisce incredulo. Qual è il segreto che nasconde Gruber? Con la tensione di un giallo, Kamil costruisce un conflitto tra due personaggi complessi e contraddittori che svelano progressivamente una grande umanità”, risponde il regista Alberto Oliva.

Perché ritiene il testo di grande attualità?
“Perché parla della legittimità dello Stato di Israele. Ma sceglie di farlo ambientando il testo nel 1947-48, alla vigilia della sua fondazione, quando ancora se ne discuteva come di un sogno, un’utopia. Il testo ricalca con brillantezza e ironia un tipico dialogo midrashico, i due personaggi possono addirittura essere visti come due facce di uno stesso Io che si divide per contrapporsi a se stesso. Inoltre ci sono moltissime citazioni attinte dal patrimonio ebraico, da Spinoza a Moses Mendelssohn, da Giobbe a Shifra e Puah. L’ambientazione nel 1947 a Berlino pone il conflitto tra i due personaggi in un momento nevralgico della storia ebraica, tra la fine della Shoà e l’imminente fondazione di Israele, su cui si accende un dibattito nella seconda parte del testo. Un altro aspetto importante del testo è il tipico senso di colpa dei sopravvissuti al nazismo, che sentono di non avere fatto abbastanza per aiutare gli ebrei che sono morti e sentono il peso della vita che continua. Il titolo originale dell’opera, The flame keeper, fa riferimento proprio alla fiamma che i due personaggi cercano di tenere accesa, la fiamma della speranza, la fiamma di una tradizione che qualcuno ha cercato di spegnere, ma che ora può tornare a ardere”.

C’è una sua chiave di lettura personale?
“Da non ebreo, mi avvicino a questo testo sedotto dall’umanità dei due personaggi, che non incarnano ideali o messaggi, ma sono due esseri umani cui la vita ha riservato indicibili sofferenze. Mossi dal desiderio di ridare un senso alla loro vita di sopravvissuti, si aggrappano ai piccoli rituali della vita quotidiana con una metodicità commovente. Nel rinfacciarsi colpe reciproche, tentano di ritrovare la propria dignità, per poi giungere a comprendere che, come diceva Jean Renoir, “il tragico nella vita è che ognuno ha le sue ragioni”. Uno spettacolo che invita alla riflessione sulle etichette che troppo facilmente ognuno di noi cuce sugli altri. E’ invece importante ascoltare l’altro, provare a vedere la vita dal suo punto di vista. Perché nessuno può permettersi di giudicare il comportamento di una persona se non si trova a vivere nelle sue stesse condizioni”.


Amos Kamil,
ll venditore di sigari, regia di Alberto Oliva, Teatro Litta, 11-30 maggio.
(Info e prenotazioni: 02 86454545 – promozione@teatrolitta.it)