Rama Burshtein: «Io non racconto gli ultraortodossi, vi narro le emozioni umane»

di David Zebuloni

Intervista alla regista di La sposa promessa e Un appuntamento per la sposa, film distribuiti in più di trentacinque paesi. Nessuno osa più mettere in dubbio la sua straordinaria capacità di emozionare con le sue opere

Quando Rama Burshtein entra in una stanza, non passa mai inosservata. A distinguerla dagli altri è un voluminoso turbante colorato, che le copre i capelli, e una lunga tunica, che le nasconde ogni parte del corpo. Quando un uomo si rivolge a lei, Rama sorride, fa un leggero inchino, ma non gli porge la mano. «Come avrai intuito, sono molto religiosa -, afferma ironica e secca, senza perdersi in giri di parole. – Religiosa sia nella vita privata, sia sul set». Il mondo dello show business in effetti non l’ha cambiata. Rama non si fa sconti e non fa sconti nemmeno ai suoi personaggi, che sul grande schermo appaiono sempre più complessi di quanto essi possano sembrarci nella realtà. Quando nel 2012 debuttò con La sposa promessa, l’immagine proiettata dell’ebreo ultraortodosso con la barba folta e le lunghe basette arrotolate, fece un certo effetto agli spettatori. Una finestra su un mondo allora sconosciuto era stata aperta per la prima volta. Nessuno all’epoca poteva immaginare che in pochi anni quel genere cinematografico avrebbe riscosso tanto successo e tanto interesse in tutto il mondo. Dopo La sposa promessa infatti, altri colossi quali Shtisel e Unorthodox hanno spalancato le porte delle città di Bnei Barak e Meah Shearim, nonché i quartieri ortodossi di Brooklyn, al grande pubblico di Netflix. «Il mio obiettivo, il mio lavoro, consiste nel raccontare la bellezza che si cela dentro gli esseri umani. Dentro ognuno di noi-, spiega Rama. – Bisogna fare attenzione però a non confondere la bellezza con la semplicità. La bellezza non è mai piatta, la bellezza può essere molto complessa, fatta di infinite sfumature. Nei miei film per esempio non troverai mai un personaggio buono e un personaggio cattivo. In ogni personaggio potrai sempre trovare delle qualità positive e delle qualità negative, perché così siamo fatti noi esseri umani». Rama parla anche del ruolo dello spettatore, che di fronte all’opera non può rimanere passivo. «Il compito di chi guarda non è quello di giudicare o di categorizzare i personaggi, al contrario. Il suo compito è quello di emozionarsi insieme ai personaggi, di immedesimarsi in loro, di scoprire attraverso di loro dei nuovi mondi».

IO RAPPRESENTO SOLO ME STESSA

A differenza degli altri registi che trattano il mondo ebraico ultraortodosso, Rama non lo fa da giocatore esterno, ma da membro interno e attivo della stessa comunità che racconta. «Non penso di rappresentare nessuno, se non me stessa – puntualizza Rama. – I miei racconti sono sempre piccoli piccoli. Famigliari. Non ho l’ambizione o l’autorità di raccontare la storia di un’intera comunità. Posso ritenermi soddisfatta del mio lavoro solo se lo spettatore, dopo aver visto un mio film, sente di aver ricevuto qualcosa e non sente che gli è stato sottratto qualcosa». Rama prende un grosso respiro, cambia leggermente tono. «Non voglio fare della filosofia spicciola o parlare in modo eccessivamente pomposo, ma senza lo ‘spirito’ non esisterebbe il mio lavoro. È molto facile perdersi sul set. Lo spirito e la fede mi aiutano a fare un passo indietro e godermi le piccole e grandi gioie del mio impegno, senza vivere con il timore costante che tutto il mondo pesi sulle mie spalle, perché non è così. Ho delle grosse responsabilità in quanto ortodossa che ha scelto di fare questo mestiere, ne sono consapevole, ma sono anche consapevole del fatto che, in fin dei conti, è tutto nelle mani di Dio». Le domando se la comunità ultraortodossa nutra il desiderio di essere raccontata. Non preferirebbe forse rimanere nell’anonimato, il silenzio rispetto ai riflettori? «Ma figurati, certo che preferisce rimanere anonima. Ma non mi interessa. Non le chiedo mica il permesso. Come ti ho già detto, io non rappresento loro ma solo me stessa, quindi non credo di dover rendere conto a nessuno della mia arte».

L’ORTDOSSIA DIVENTA MAINSTREAM

Nel 2012 La sposa promessa venne presentato alla 69ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Rama sfilò sul tappeto rosso e destò un grande interesse da parte dei media nazionali e internazionali. Quello che doveva essere un racconto lontano, appartenente a un genere di nicchia, si rivelò da subito un successo planetario e venne accolto con grande entusiasmo dal pubblico e dalla critica. Lo stesso entusiasmo caratterizzò lo sbarco di alcuni film, documentari e serie tv su Netflix, i cui protagonisti sono rigorosamente ebrei ultraortodossi. Il genere cinematografico di Rama si è presto evoluto: da nicchia a mainstream. «Quando ci penso mi sembra un miracolo». È sincera quando lo dice, la voce cambia d’un tratto colore. «Non tanto il fatto che questo genere stia riscuotendo un successo simile, quanto il fatto che io sia parte di tutto ciò. Però non mi trovo d’accordo con te sul fatto che il mio lavoro faccia parte di un genere cinematografico. Io non racconto gli ortodossi, io racconto gli essere umani. Per questo le persone riescono ad affezionarsi ai miei personaggi. Cosa importa se si mettono il cappello nero e si fanno crescere la barba? Alla fine condividono tutti le stesse emozioni». In un mondo in cui ortodossi e laici sembrano allontanarsi sempre di più, Rama ci insegna che in realtà questi “gruppi umani” sono molto più simili di quanto credano. Il cinema oltre l’intrattenimento, può anche avvicinare lo spettatore al personaggio rappresentato? Il laico può davvero affezionarsi all’ortodosso guardandolo attraverso lo schermo?, le domando. «Certo che il cinema può avvicinare! – risponde Rama senza esitare – Ma dipende tutto dalle intenzioni di chi sta dietro la telecamera. Io lavoro con il cuore, tutto ciò che faccio viene dal cuore e credo che, per questo motivo, le mie opere riescano a unire chi guarda e chi racconta». Poi allude a una serie tv, uscita recentemente, e intuisco che si stia riferendo a Unorthodox, la miniserie lanciata da Netflix che racconta la storia di una giovane ragazza scappata dalla sua comunità Satmar in cerca di una vita migliore. «Ad esempio, è uscita da poco una serie televisiva che racconta il mondo ortodosso da una prospettiva che io non condivido assolutamente. Un’opera sulla quale io non avrei mai messo la mia firma. Ma va bene così, ognuno ha la sua opinione ed è giusto che sia così. D’altronde non esiste una verità assoluta e non esiste un solo modo di raccontare».

QUESTA SONO IO, QUESTO È IL MIO LAVORO

Il dono di Rama ha raggiunto un consenso planetario negli ultimi anni. I suoi due film, La sposa promessa e Un appuntamento per la sposa, sono stati distribuiti in più di trentacinque paesi e nessuno osa mettere più in dubbio la sua straordinaria capacità di emozionare attraverso le sue opere. Eppure i laici talvolta la definiscono troppo fedele al mondo ortodosso e gli ortodossi la accusano di essere troppo poco fedele al loro mondo. Cosa la spinge dunque a continuare? «A volte mi dico che è già stato detto troppo, che è già stato detto tutto. Che senso ha continuare a raccontare? A creare? Poi mi rendo conto che come Rama non c’è nessuno. Ma anche come David non c’è nessuno. Capisci? Ognuno di noi porta con sé un mondo unico e diverso. La domanda è cosa fai con il tuo mondo, qual è il contributo che intendi dare. Io continuerò a lavorare finché avrò la sensazione di raccontare una storia che nessun altro potrebbe raccontare al posto mio». Accenna al suo nuovo progetto: una miniserie di sette episodi dal nome La danza del fuoco, che verrà distribuita in Israele nel 2021. Parla di quest’ultima opera con entusiasmo, con passione. Poi torna a Dio, torna alla fede. Il suo porto sicuro. «Io so di non poter respirare senza l’aiuto di Dio, figuriamoci gestire un set di cento persone composto principalmente da uomini con i quali non posso avere alcun tipo di contatto. No no, figuriamoci. È lui il vero regista, Dio, io faccio solo il suo volere. Nient’altro che il suo volere». Rama non teme di sembrare fanatica o ingenua. Non fa alcuno sforzo per nascondere o mascherare la sua fede. «Tutto ciò che voglio è fare il volere di Dio, glorificare il suo nome nel mondo. – Si accorge di parlare con eccessiva enfasi, ma non le importa. – So che ti sembrerà un po’ infantile ciò che dico, ma questa è la verità. La mia verità. Io desidero solo questo. Glorificare il nome di Dio. Non desidero altro».