Gli alunni di una scuola dell'Alliance Israelite Universelle di Beirut, 1934

Mediterraneo ebraico. Il secolo dell’Alliance, scuole leggendarie della storia giudeo-araba, nel romanzo di Colette Shammah

di Fiona Diwan
Quando gli si parla dell’Alliance, oggi brillano loro ancora gli occhi. Sono gli anziani che da ragazzi ebbero modo di frequentarla. Un’emozione improvvisa si impadronisce di loro, una vivacità piena di animazione, ricordi che si affastellano e lasciano spazio a un sorriso che spunta su visi pieni di passato: “noi siamo l’ultima generazione dell’Alliance, noi siamo figli dell’Alliance”, ripetono. Una rete di scuole ebraiche intrise di cultura francese, entrate nel mito dell’ebraismo post-emancipazione, una istituzione avvolta nella leggenda. La storia dell’Alliance Israelite Universelle e della scolarità ebraica di cui fu veicolo (elementari e medie), è inseparabile dall’epopea degli ebrei del Mediterraneo nel secolo che va dal 1860 al 1950.

Quella di questi decenni, non fu solo una stagione irripetibile, un momento-cerniera del tutto formidabile per la storia ebraica del bacino del Mediterraneo. L’Alliance fu capace di traghettare il mondo ebraico che viveva da millenni in terra d’Arabia, nel nord Africa e in Medioriente, ma anche nei Balcani, verso una modernità cosmopolita; e fornire loro strumenti conoscitivi, educativi, i valori della dignità e dei diritti dell’uomo figli dell’Illuminismo. Questo momento unico fu veicolato dagli ideali del secolo dei Lumi e dal processo di emancipazione che, aprendo le menti e le porte di ghetti, dei mellah e dei quartieri-ghetto, sancì per il mondo ebraico la possibilità di poter uscire nel mondo e avvicinarsi a un Occidente percepito come più evoluto e promettente. E così far esplodere energie tenute a bada, compresse per secoli, mettendole in circolazione grazie a quella qualità mercuriale e di intermediazione che è una delle peculiarità del mondo ebraico. Ossia, l’essere un trait d’union in un momento storico di passaggio: quello tra il disfacimento dei grandi imperi centrali (Ottomano, Austro ungarico, russo…) e la modernità,con la sua stagione coloniale, la sua ricerca di nuovi mercati e orizzonti economici, e la conseguente fascinazione per l’esotico e il lontano (non a caso a fine Ottocento scoppiano l’Egittomania, il Giapponismo. La libertà per gli ebrei nel Va pensiero dell’Aida di Giuseppe Verdi, del 1870, non riflette tutto questo?).

Ebraismo e cultura francese. Anzi: mito della Francia nella sua dimensione espanzionistica d’Oltremare. Nel volume In compagnia della tua assenza, primo romanzo di Colette Shammah (Nave di Teseo), sfila il secolo dell’Alliance Israelite Universelle, con la storia della protagonista  Sophie che vi insegna ad Aleppo, in Siria, negli anni Quaranta, e mentre i suoi stessi genitori ne sono i direttori. Uno spaccato di storia sefardita con le sue peregrinazioni e diaspore.

La Storia con la S maiuscola scorre sullo sfondo di questo romanzo con tratto leggero, sfumato, che non appesantisce mai il racconto. La Shammah ricrea un contesto specifico, che è quello della comunità ebraica di Aleppo, un intero mondo giudeo-arabo-francofono scomparso da tempo in terra d’Arabia. Non a caso le citazioni appartengono all’universo di riferimento francese: ci sono il Chateau d’If e il Conte di Montecristo, I Miserabili, la statua di Napoleone morente di Vincenzo Vela…

La letteratura nasce dall’esperienza e qui è l’esperienza interiore della perdita a dare voce e emozione alla narrazione. La storia di Sophie è infatti la vicenda romanzata della madre della stessa autrice.

Ma come si possono trasformare le vite in storie da raccontare? Come accedere alla dimensione simbolica? Come si fa a immergere in un tempo storico credibile la vicenda della propria madre, specie se è dotata di un’anima cangiante ed eroica, come restituire il suo nucleo esistenziale fatto di forza, di volontà di controllo, ma anche di muto silenzio sul passato?

Colette Shammah
Colette Shammah

Il libro è un memoir dall’anima di romanzo, una elaborazione del lutto, una biografia affettiva, una confessione che ancora non aveva trovato modo di fuoriuscire, scrivere per non farsi annientare dal dolore della perdita che ci attraversa nel momento dell’abbandono.

Ma veniamo al libro. Sophie è mon etoile qui brille, la mia stella che brilla. Ogni uomo in fondo non nasce come un desiderio pieno di luce? Ciascuno di noi dovrebbe preservare, proteggere, la propria luce, la scintilla da cui è nato, ci dice la Qabbalà ebraica. Ma nel libro ci sono pochi accenni all’ebraismo della protagonista, vi si accenna nella fuga dalla Francia durante Vichy, nel 1941, e poi nel parallelo con l’uscita dall’Egitto. Un senso profondo di che cosa sia la libertà che la ragazzina di 16 anni Sophie ha già ben chiaro dentro di sè mentre fugge da Versailles e attraversa la Francia in treno o a piedi, fino a Marsiglia. Colette ci fa capire che alla base della vaghezza imprendibile di sua madre c’è un senso di precarietà, un senso di incertezza che la accompagna fin dai tempi della Francia.

Shammah fa una cosa difficile, un lavoro di archeologia emozionale: crea distanza per poter raccontare. Il suo è il tentativo di capire chi era Sophie, al di là della madre che è stata, al di là del personaggio letterario che forse lei stessa voleva essere, per coglierne la verità esistenziale o almeno provarci.

Il ritratto che ne emerge è quello di una  donna volitiva, forte, coraggiosa, colta, animata da un senso di sfida inestinguibile, una sete di brillare, intenta a insegnare alle figlie come si vive da fuori classe (ammesso e non concesso che una figlia voglia vivere da fuori classe e non senta piuttosto questo lascito come una prigione, un IO DEVO forse opprimente, che lascia addosso un senso doloroso di essere NON VISTE).

Colette traccia un personaggio femminile che insegue un modello eroico, bigger than life come si amava dire negli anni Ottanta, un ideale di grandeur. Una donna che visse e attraversò la vita con regalità ma senza conoscere il prezzo che, per questa regalità, avrebbero pagato gli altri. Animata da una volontà di rottura, quella di voler essere controcorrente e di epater le bourgeois, troppo concreta, troppo attiva e vincente, Sophie lascia dietro di sé una nostalgia terribile nella figlia. Che le dedica così il suo primo libro.

(Foto: gli alunni di una scuola dell’Aliante Israelite Universelle di Beirut, 1934. Fonte:sito del Beit Hatfutsot