di Ester Moscati
La Razzia del Ghetto di Roma/La voce dei carnefici
Documenti de-secretati di recente rivelano nuove prospettive. Parla Liliana Picciotto
La Razzia degli ebrei romani fu un evento inatteso e imprevedibile? Si era davvero convinti che l’ombra del Vaticano avrebbe protetto la comunità più antica della Diaspora? I documenti ricavati dalle intercettazioni radio dell’Ufficio dei Servizi Strategici Britannici, solo di recente de-secretati, dimostrano il contrario e aprono nuove prospettive di studio agli storici. È appena uscito su Yad Vashem Studies un illuminante saggio di Liliana Picciotto, storica della Fondazione CDEC di Milano, dal titolo The Decision-Making Process of the Roundup of the Jews of Rome (October 1943). A Historiographic Revisitation Based on OSS (Office of Strategic Services) Documents, che contiene alcune importanti novità sul tema.
Ne parliamo con l’autrice.
Nel saggio che hai scritto per Yad Vashem, analizzi alcune fonti relative alla Razzia degli ebrei di Roma, solo di recente a disposizione degli storici. Come ti sei avvicinata, da storica, a documenti che riguardano vicende di cui avevi già una conoscenza approfondita? Nella revisione storica prevale la curiosità, l’ansia di conferme, smentite, approfondimenti… Quale importanza storiografica hanno questi nuovi documenti?
Quando trovi un nuovo documento che, magari conferma una tua ipotesi, ti prende un batticuore e una eccitazione caratteristica che ho verificato con altri storici. In questo caso, si trattava di un gruppo di documenti venuti alla luce nel 2000 di cui qualcuno mi aveva parlato.
Si trattava di documenti prodotti dal britannico SIS, Secret Intelligence Service, e passati all’OSS, Office of Strategic Studies, l’ente statunitense di intelligence diretto da Allen Dulles durante la Seconda guerra mondiale. I radiomessaggi in tedesco che costituiscono tali documenti, captati dai britannici e subito trascritti in inglese, erano stati nel 1997 consegnati dalla CIA (Central Intelligence Agency) l’agenzia che succedette all’OSS, agli Archivi di Stato americani.
Aurelio Ascoli, che avevo appena conosciuto e che si trovava a Washington in visita al figlio, si disse disponibile ad andare a vedere di che cosa si trattava. Mi mandò un resoconto strabiliante: gli Alleati avevano intercettato i messaggi che Kappler, capo della polizia a Roma, aveva scambiato con i suoi capi a Berlino tra il settembre e il dicembre del 1943, tra questi documenti ve ne erano alcuni riguardanti gli ebrei.
Secondo le intercettazioni de-secretate, gli Alleati ebbero notizia della Razzia almeno una settimana prima del 16 ottobre 1943: avrebbero potuto fare qualcosa? Impedirla? O ha prevalso la scelta di non rivelare le proprie capacità di Intelligence?
Gli Alleati scoprirono molto presto i codici tedeschi e c’era, a nord di Londra, tutta una centrale operativa che intercettava e decrittava migliaia di documenti. Lo storico Breitman, specializzato in materia, mi ha assicurato che nessuno di questi documenti giunse sulla scrivania né di Churchill, né di Roosevelt e io tendo a credergli. C’era senz’altro una trafila burocratica militare che faceva sì che una notizia arrivasse alle altre sfere o non arrivasse, e questo non per calcolo di qualcuno, ma perché bisognava pur fare una scelta tra la montagna di comunicazioni che venivano scambiate ogni giorno. Certamente, poi, gli Alleati non avevano nessun desiderio che i tedeschi si accorgessero dei buoni risultati raggiunti dalla loro intelligence. In terzo luogo, c’è sempre da tenere presente che per gli Alleati il salvataggio degli ebrei d’Europa veniva dopo la sconfitta militare della Germania nazista, non prima. L’ordine delle priorità, purtroppo, fu questa.
Dai documenti emerge che la destinazione dei convogli degli ebrei romani doveva essere Mauthausen e non Auschwitz, e questo avrebbe sicuramente cambiato il destino di molti di loro. Scrivi che i nazisti probabilmente avevano scelto quella destinazione per controbilanciare la prevista reazione del Vaticano. Dato che invece questa reazione non ci fu, i nazisti si sentirono liberi di procedere all’eliminazione degli ebrei di Roma. Possiamo dire che fu l’ignavia di Pio XII a condannarli?
Non sono così diretta nell’esporre gli avvenimenti, la mia è soltanto un’ipotesi. I trasporti di ebrei che venivano formati nei Paesi dell’Europa occidentale erano destinati per lo più ad Auschwitz, dove erano situati gli impianti di sterminio. Come mai alcuni documenti parlano inizialmente di Mauthausen riguardo agli ebrei romani? Ho pensato che questo potesse essere stato un elemento di riguardo verso gli “ebrei del Papa” da parte dei nazisti. Riguardo che, vista la mancata reazione del Pontefice rispetto alla retata, non era più il caso di usare.
Quali novità emergono in queste intercettazioni relativamente alle responsabilità e ai comportamenti delle autorità italiane?
I preparativi per l’azione antiebraica a Roma furono lunghi e laboriosi, vi collaborarono gli uomini di Kappler, gli uomini di Dannecker, ma anche le autorità italiane, che fornirono le liste degli ebrei residenti a Roma e i loro indirizzi. Una ventina di uomini della questura collaborarono a creare i foglietti per ogni quartiere di Roma con le liste degli ebrei ivi residenti e a battere a macchina migliaia dei fogli con i sei punti d’istruzioni da lasciare nelle case colpite dalla retata. In questi fogli di istruzione, battuti frettolosamente a macchina da mani diverse, compaiono infatti errori di ortografia e sono talvolta leggermente diversi l’uno dall’altro. Occorreva poi a Dannecker e Kappler, sempre con la collaborazione delle autorità italiane, ispezionare vari luoghi adatti dove concentrare temporaneamente le migliaia di vittime previste; non potevano sapere a priori che il posto adatto fosse l’edificio del Collegio Militare in Via della Lungara. Anche la fornitura di cibo per il convoglio di deportazione fu richiesta al Prefetto di Roma, responsabile del vettovagliamento della Città. Il treno partì poi dalla Stazione Tiburtina, uno scalo secondario di Roma, con vagoni forniti dalle ferrovie dello Stato italiane e con macchinisti e fuochisti italiani che si diedero il cambio fino alla frontiera dell’Italia con l’Austria.
La figura di Kappler è centrale in questa vicenda. Nelle sue deposizioni post-belliche cercò di alleggerire la propria posizione. Che cosa ci dicono invece le nuove ricerche?
Kappler era il più alto ufficiale delle SS presente a Roma. Tutto passava attraverso di lui. Era anche colui che gestiva la radiotrasmittente tra Roma e Berlino. Egli fu preavvertito da Himmler fin dal 24 settembre che ci sarebbe stata una retata di ebrei. Ciò nonostante, il 26, richiese la taglia dell’oro agli ebrei romani contro un’inesistente promessa di salvare 200 giovani della comunità. Confrontando, in maniera critica, i documenti intercettati dall’OSS con le dichiarazioni di Kappler del 1947 e del 1961, durante il processo a suo carico, deduciamo che Kappler estorse l’oro agli ebrei non per cercare di distogliere le autorità superiori dalla retata, come cercò di far credere lui, ma proprio perché era al corrente della prossima retata. Non era usuale, del resto, che i tedeschi, nei paesi occupati, promettessero la vita contro il pagamento di un riscatto, di solito il meccanismo era, appunto, inverso: arrestare gli ebrei, toglierli di mezzo mandandoli a morte o comunque per lo meno deportandoli, e poi impadronirsi dei loro beni.
Quali sono le “vulgate” che vengono confutate dai nuovi documenti?
La prima, che ha sorpreso anche noi storici, è che la retata non era inizialmente stata decisa per Roma, come pensavamo: una retata eclatante ed esemplare nella capitale. Era stata, invece, pensata come una retata degli ebrei di Napoli, poi sospesa perché le truppe tedesche, a fine settembre, erano in ritirata e in città era scoppiata la rivolta, le famose “4 giornate di Napoli” (27 settembre-1 ottobre 1943). L’idea nazista è sempre stata, infatti, di rastrellare gli ebrei cominciando dall’estremo territorio da loro occupato.
La seconda vulgata che qui viene demolita è che Dannecker, responsabile organizzativo della retata di Roma, abbia lasciato la città con il suo manipolo di uomini perché gliel’aveva richiesto il Vaticano. La cessazione dei rastrellamenti a Roma dopo il 16 ottobre 1943 in realtà era già stata decisa dal capo della Gestapo Mueller a Berlino. La partenza del distaccamento di SS di Dannecker da Roma fu la prosecuzione di un programma prestabilito e non l’effetto di alcun intervento esterno.
L’ordine era quello di eliminare gli 8.000 ebrei di Roma, quasi 7.000 scamparono invece alla deportazione. A chi si deve la loro salvezza?
Alla capacità dei capofamiglia di trovare una soluzione rapida ed efficace per nascondersi e sottrarsi agli arresti, ma soprattutto all’atteggiamento della popolazione romana che compì gesti di amicizia e solidarietà essendo anch’essa impreparata, quanto le vittime stesse, all’improvvisa retata.
La reazione fu immediata e spontanea. Inoltre, non va dimenticato che Roma era la città d’Italia con più case religiose di tutto il territorio, con capacità di ospitare e dare rifugio a molte persone.
Prima ancora che agli ebrei le case religiose affrontarono l’emergenza degli sfollati a Roma e delle persone rese povere dalla perdita del lavoro e delle case.
Quando anche gli ebrei bussarono alle loro porte, la carità cristiana fu estesa ad essi, procurandone così la salvezza.