Coco Chanel

L’altra faccia di Coco Chanel, l’amante di un nazista che volle usurpare un’azienda ebraica

di Ilaria Myr
Di Coco Chanel spia nazista si è già detto molto. Se la sua relazione con un alto ufficiale della Gestapo, il barone Hans Gunther von Dincklage, che la introdusse nelle alte sfere naziste, era cosa ormai risaputa e accertata già da tempo, negli ultimi due anni molti particolari sono venuti a galla. E ora un nuovo film, intitolato The No. 5 War, del regista francese Stéphane Benhamou, presentato al Jerusalem Jewish Film Festival il 18 dicembre, accusa la stilista di avere sfruttato le leggi antiebraiche per appropriarsi di un’azienda di profumi appartenente a due fratelli ebrei.

“Sapevamo che Coco Chanel aveva un amante tedesco quando viveva all’hotel Ritz, che era arruolato con i nazisti, ma non era ancora stato stabilito alcun legame fra questi due elementi e quello che fece durante la guerra – dichiara il regista al Times of Israel -. Volevo raccontare la storia delle sue attività durante la guerra per mettere in contrasto la sua immagine, universalmente riconosciuta, di donna elegante e il suo comportamento durante il conflitto”.

Come raccontato nel film, nel 1924 Chanel entra in business con i fratelli ebrei Pierre e Paul Wertheimer, direttori della nota azienda di profumi Bourjois, che accetta di distribuire il profumo Chanel No. 5, dando alla stilista il 10% della proprietà della linea. Ma Coco non è soddisfatta da questo accordo, e quando nel 1927 il profumo diventa il più venduto al mondo, il suo risentimento nei confronti dei fratelli ebrei cresce.

Anno 1941: Coco Chanel conduce una vita di lusso come ospite fissa dell’Hotel Ritz nella Parigi occupata dai nazisti e vive una intensa storia d’amore con un affascinante ufficiale nazista, il barone Hans Günther von Dincklage, più giovane della stilista di 13 anni. Quando vengono annunciate le leggi che privano gli ebrei delle loro proprietà, Chanel progetta un piano per sottrarre l’azienda di profumi ai fratelli Wertheimer e insediarsi alla guida come ‘erede ariana’. A sua insaputa, però, i Wertheimer fuggono in America nel 1940, affidando la proprietà della compagnia all’amico cristiano Felix Amiot, che durante la guerra fornisce ai tedeschi degli aerei militari. Così i tedeschi accettano la ‘proprietà ariana’ di Amiot, e il piano di Coco salta.

1945: la guerra finisce, la Francia viene liberata e i due fratelli possono tornare in Francia trionfanti. Allo spettatore del film – e a chi legge questa storia -, però, rimane l’amara certezza che contro Coco Chanel e il suo piano la giustizia non mosse un dito, lasciandone intonsa l’immagine di donna elegante, oltre a un patrimonio di milioni di guadagni trasferitele dai due partner, in rispetto dell’accordo di una volta, che solo qualche anno prima lei stessa aveva cercato di distruggere.

Forse, però, in tutta questa storia c’è anche una morale positiva. Così la pensa il regista Benhamou, che dichiara al Times of Israel: “le andò tutto bene, ma alla fine perse grazie ai ‘cattivi’”, cioè ai nazisti che accettarono Amiot come legittimo capo ariano dell’azienda”.

Ma come mai questa pagina di storia viene fuori solo oggi? Sicuramente complice di questo silenzio è stato il potere economico dell’azienda: un nome troppo forte su cui esporsi. Addirittura, un esperto di profumi ha rifiutato di essere intervistato per il film dopo averne letto la sinossi, e al regista è stato negato l’accesso al fornitore di gelsomino per Chanel a Grasse per il possibile danno che il documentario porterebbe al brand.

“Vestiti male e ricorderanno il vestito; vestiti impeccabile e ricorderanno la donna”, diceva Coco Chanel. Forse ora, con la verità sulle sue frequentazioni naziste e sulla sua attività contro i due fratelli ebrei, lei stessa non sarà più ricordata solo per la sua moda e i suoi profumi.