Forse non tutti sanno che? “Capro espiatorio” e “stracciarsi le vesti”: due espressioni ebraiche

di Ilaria Myr

Le usiamo comunemente, senza conoscere la loro origine: eppure, nel linguaggio comune italiano sono diverse le espressioni che hanno le loro radici nella ritualità religiosa ebraica.

Una di queste è capro espiatorio, le cui origini risalgono all’antichità. Il Giorno dello Yom Kippur la comunità ebraica offriva due capri, uguali fra loro, da sacrificare nel Tempio di Gerusalemme in espiazione dei propri peccati. Il Cohen Gadol (sommo sacerdote) compiva un’estrazione a sorte tra i due capri. Il primo, che veniva dedicato ‘ad Hashem’ (D-o) era immolato nei pressi dell’altare dei sacrifici, posto all’ingresso dell’edificio del Tempio e il suo sangue era utilizzato per purificare il tempio e l’altare profanati dai peccati. Il sommo sacerdote, poi, poneva le sue mani sulla testa del secondo capro e confessava i peccati del popolo di Israele. Il capro veniva quindi condotto in un’area desertica a circa 12 chilometri da Gerusalemme. Il primo capro era detto “espiatorio” e il secondo “emissario”.

Altra espressione di uso diffuso è stracciarsi le vesti per dire disperarsi: un’azione, questa, che proviene dalla tradizione ebraica, che prevede che chi è in lutto si faccia uno strappo (keriah) nell’abito, prima del funerale o subito dopo. Lo strappo deve essere sulla sinistra per un genitore (sulla parte corrispondente alla posizione del cuore e chiaramente visibile) e sulla destra per fratelli, sorelle (inclusi fratellastri e sorellastre), bambini e coniugi. Nei testi sacri ci sono tante citazioni a riguardo: ad esempio, quando Ruben scoprì che suo fratello Giuseppe era stato venduto come schiavo, e che quindi il suo piano di liberarlo era fallito, “si strappò le vesti”.

Il padre, Giacobbe, “si strappò i mantelli” supponendo che Giuseppe fosse stato sbranato da una bestia feroce (Gen. 37:18-35). Alla notizia che i suoi figli erano tutti morti, Giobbe “si strappò il manto” (Giob. 1:18-20). Al processo di Gesù, il sommo sacerdote Caifa “si strappò le vesti” nell’udire quella che giudicò una bestemmia (Matt. 26:59-66).