David Meghnagi e gli ebrei libici

Un esodo doloroso.

David Meghnagi, docente di Psicologia all’Università di Roma e autore di svariati libri ad argomento ebraico, è stato uno dei protagonisti della serata dedicata ai quarant’anni dal definitivo esodo da Tripoli. Le sue parole così puntuali, profonde e significative hanno contribuito ad aprire lo scrigno dei ricordi per chi ha vissuto quell’epoca e fatto percepire al numeroso pubblico la ricchezza delle tradizioni culturali, religiose e musicali e gli usi e costumi degli ebrei di Libia.
Abbiamo posto alcune domande a David Meghnagi a margine della conferenza:

Come è il suo giudizio sulla serata dedicata al quarantennale dell’esodo degli ebrei tripolini e di Libia, anche considerando il grande evento organizzato a Roma sullo stesso tema?


Io penso sia stata una serata di grande successo, era presente quasi tutta la Comunità ebraica di Libia a Milano e molti altri (250/300 persone). Penso che il livello della serata fosse molto alto dal punto di vista culturale e storico e questo grazie all’ottimo lavoro di presentazione e di documentazione da parte dell’organizzazione. Credo che le Comunità ebraiche dovrebbero sempre pensare in grande quando ospitano o organizzano eventi culturali, questo avvicina la gente. Manca talvolta questo spirito alle nostre Comunità, riflesso però della situazione culturale attuale del nostro Paese.

Qual è stato l’effetto psicologico dell’esodo sulla popolazione ebraica?

In una parola lo “sradicamento“, la perdita di punti di riferimento, una sofferenza purtroppo analoga provata da tutti gli ebrei fuggiti dal mondo arabo. Una parte consistente della Comunità tripolina fugge soprattutto in Israele dopo i pogrom del ’45 e del ’48( passando per i campi profughi italiani di Latina e Capua). Struggente la circostanza della gente ammassata per le strade o al porto che festeggiava la salita sulla nave cantando il Canto dell’Esodo.
Accadde di nuovo e definitivamente nel ’67, quando la maggioranza delle persone rappresentavano la parte se vogliamo più europeizzata della Comunità.

E una volta arrivati in Italia cosa fecero gli ebrei tripolini?

I più giovani si dedicarono alacremente al lavoro per ricostruire un’esistenza materiale, i più anziani furono quelli che soffrirono di più, sia per tutto quello che lasciarono, sia per il fatto che non erano più in grado di essere il sostegno e il fulcro della famiglia; fu una ferita che colpì l’amor proprio di tante brave persone legate alle tradizioni di Tripoli. I giovani invece si buttarono nella vita sociale ed economica italiana per emanciparsi ed emergere. E poi non c’era il tempo e le ferite erano troppo recenti per parlare dell’esodo, io stesso elaborai il primo scritto in assoluto sui pogrom solo nel 1982.

Oggi assistiamo ad una riscoperta da parte dei più giovani delle tradizioni tripoline; perché?

La generazione più giovane dell’esodo si dedicò necessariamente a ricostruirsi una vita in Italia e ad integrarsi e in molti casi ad eccellere. La comunità tripolina è laboriosa e non ha mai creato problemi né alle Comunità italiane né all’Italia. Adesso c’è quindi più possibilità e tempo per riscoprire gli usi e costumi, la musica, la lingua della tradizione e i più giovani le vogliono conoscere.

A questo proposito, non è forse giunto il momento per gli ebrei libici di Milano, seppur pochi rispetto a Roma, di avere un piccolo Tempio o uno spazio culturale come le altre Edòt?

Penso di sì, sarebbe positivo. Non c’è mai stato perché gli ebrei tripolini che giunsero a Milano, meno numerosi, furono generalmente quelli più aperti al mondo e la città stessa ha una tradizione internazionale, inoltre i tripolini sono di cultura italiana e quindi ebbero meno problemi di integrazione. Detto ciò troverei positivo recuperare e diffondere la tradizione e la musica liturgica ebraico-tripolina a Milano ed in generale quella ebraica di tutto il Nord Africa fino alla Persia.
Più in generale sono convinto che la grandezza del Giudaismo sta nel sapersi confrontare con il mondo esterno arricchendo la nostra cultura e la nostra tradizione.