Anna Jenek

Anna Jenek ha ricevuto di recente un Disco d’Oro. Il suo percorso artistico è costellato di successi e, come accade spesso ai migliori, più di stima e di conforto critico che di popolarità.
Lei, con la particolarità della sua bella voce, ha sempre scelto di dedicarsi ai suoi autori amici e di elaborare una ricerca musicale molto personale, di cui essere fiera.
Dopo anni destinati al mai dimenticato – soprattutto grazie a lei! -Herbert Pagani, ecco uscire cose nuove, e tante.
Prossimo capitolo nel gran libro della canzone d’autore, si fanno ascoltare con sublime piacere queste Danze, volteggi della sua inimitabile voce costruiti come una coreografia di suoni, una tessitura musicale tutta intrecciata, come in un bozzolo luminescente, attorno alle parole della poetessa Marc de’ Pasquali, scritte proprio perché fossero da Anna musicate.
Sono dodici momenti poetici (dodici come le ore, i mesi dell’anno, come le costellazioni del cielo e le tribù d’Israele), raggrumati dalla Jenek in colta invenzione musicale, con l’orchestrazione sapiente e ricchissima di rimandi fantasiosi di Dario Toffolon e con l’eccellente esecuzione de I Solisti dell’Orchestra Mozart di Milano, accuratamente ambientati dalla tecnica sonora di Cristiano Cavallin.
L’impegno della cantautrice è stato generoso, e lei ha idealmente dedicato questo risultato a colei che ha danzato sovente nei suoi spettacoli, a quella delicata, invincibile creatura che è Stefania Ciabò, scomparsa troppo presto dalle scene e dall’abbraccio affettuoso dei suoi amici.

Percorriamoli, dunque, questi dodici incanti. Si va da Blues, invenzione musicalmente ammaliatrice, una sorta di concentrato armonico del Novecento francese, in cui Anna rincorre un’altra Anna, raddoppiando I’ eco della sua voce, per arrivare a Bolero, motivo immerso in un’atmosfera onirica, con rimandi all’opera di Ravel, magistralmente reinventata dalla fantasia musicale di Toffolon, e la Jenek che diventa fine diseuse da concerto parigino. Burlesca invita alle suggestioni di una suite all’antica dove, sullo sfondo sonoro, le parole di Marc intensificano il loro senso iniziatico. In Charleston è tempo di riecheggiare, giustamente, l’atmosfera dei musicals americani colti, il Kurt Weill fra le due guerre, mentre in Fox-trot la composizione si incrosta di rimandi preziosi come su un paravento decò, con omaggi a Debussy, autore carissimo all’orchestratore. Quindi è la volta di Mambo, e qui la Jenek diventa l’imperiosa e folle maestra di una scuola di danza che sta andando a rotoli, per riacquistare subito dopo la ragione nel delicatissimo Minuetto, dove la maliosa lentezza di un carillon permette di ripetere più volte che “la danza-angelo-è altezza”. Passepied è la maestosità tutta francese di una corte evocata da antiche ed esperte mani in un arazzo; ma ecco un subitaneo Rock’n’roll, lamento di una Janis Joplin sotto LSD, volgere il registro al dramma. La sognante Sarabanda subisce volutamente l’influenza delle avanguardie musicali della metà del secolo scorso (ben note al Toffolon compositore), per poi sfociare nel Tango piazzollesco in cui la nostra cantante insegue accenti alla Strehier e rievoca nostalgie color arancio. Infine giunge il complesso, evocativo Valzer, a chiudere in bellezza questo viaggio di motivi e movimenti, ricordando a me ascoltatore l’inebriante, intossicante Valzer scritto da Miklos Rosza per il film Madame Bovary; ma con Anna il tono drammatico si stempera in piccoli vortici di grande effetto.
Queste Danze sembrano dire – lungo i mesi di un anno, o degli anni – che la vita è un ricciolo, che continua sempre e non finisce mai. Gli spiriti aleggiano in eterno dentro e fuori di noi, alludendo alla vita dell’arte, quella alta, che non conosce confini di Tempo e di Spazio, capace sempre di consolarci, dono immenso oggi più che mai.