4 luglio 1776: il contributo degli ebrei nella dichiarazione d’indipendenza americana

di Pietro Baragiola
La maggior parte degli ebrei americani moderni hanno origini che risalgono ai picchi di immigrazione del XIX e XX secolo, ma non tutti sanno che sin dai tempi della dichiarazione d’indipendenza, firmata il 4 luglio del 1776, la comunità ebraica aveva già una vasta presenza negli Stati Uniti.

Molti di loro erano europei immigrati nel “nuovo mondo” in cerca di diritti uguali e per fuggire dalla discriminazione che impediva loro di laurearsi e svolgere determinate professioni in Europa. Dato che in America avevano la possibilità non solo di mantenere la loro libertà religiosa ma di coprire alte cariche dell’esercito (in Inghilterra riservate solo a cristiani e protestanti), molti ebrei si schierarono nell’esercito patriota nella Guerra d’indipendenza per proteggere il nuovo mondo e i suoi ideali di uguaglianza.

I diritti degli ebrei

Nella sua celebre lettera del 1790 rivolta alla comunità ebraica di Newport, Rhode Island, George Washington scrisse che “il governo degli Stati Uniti, il quale non concede alcuna convalida al bigottismo e nessun supporto alla persecuzione, esige soltanto che coloro che vivono sotto la sua protezione si comportino da buoni cittadini, fornendo il loro effettivo sostegno in ogni occasione”.

Con queste parole il Presidente Washington stava riconoscendo che l’America richiedeva ai suoi ebrei solamente ciò che pretendeva da tutti i suoi cittadini.

In ogni altra parte del mondo, prima della rivoluzione americana, gli ebrei erano stati isolati e politicamente esclusi. Persino in Inghilterra non erano cittadini a tutti gli effetti: non potevano votare, far parte di giurie, servire in parlamento, diventare ufficiali militari, frequentare l’università, possedere beni immobili o imbarcazioni ed erano forzati a pagare tasse speciali per “cittadini stranieri” perché non avevano il permesso di naturalizzarsi.

La situazione era decisamente migliore nelle colonie del Nord America dove, nella seconda metà del 1700, era avvenuto uno slancio verso la piena uguaglianza dei popoli, il che portò molti ebrei ad aderire alla causa patriottica.

Gli eroici ebrei della Guerra d’indipendenza americana

Degli oltre 2000 ebrei presenti in America nel 1770 furono numerosi a prendere parte alla Guerra d’indipendenza, combattendola o finanziandola.

Tutto iniziò quando nel 1765 dieci commercianti ebrei di New York, assistiti da oltre 200 uomini d’affari cristiani, firmarono un accordo di “non importazione” per boicottare il commercio britannico. Questo genere di accordi venne presto supportato anche dai commercianti ebrei di Filadelfia, Newport, Charleston e Savannah dove stava nascendo la Rivoluzione americana, rivendicando l’uguaglianza come un diritto e non come una serie di privilegi da concedere.

Tra gli ebrei più importanti di questo periodo ricordiamo Francis Salvador, il primo ebreo ad essere eletto per una carica pubblica negli Stati Uniti e primo cittadino americano di origine ebraica a morire nella Guerra d’indipendenza.

A differenza dall’Europa dove veniva loro proibito di coprire alte cariche militari, molti ebrei diventarono ufficiali negli eserciti patriottici: Solomon Bush diventò tenente colonnello; Lewis Bush, fratello di Solomon, morì in combattimento con la carica di capitano nella tragica battaglia di Brandywine; David Salisbury Franks fu il primo ebreo a servire come diplomatico americano, prima per Benjamin Franklin a Parigi, poi per John Jay a Madrid, diventando infine vice console nel 1784; Mordecai Sheftall fu l’ufficiale ebreo di grado più alto delle forze coloniali e portò la comunità ebraica di Filadelfia a costruire la sua prima sinagoga nel 1782.

Alcuni ebrei presero parte al conflitto non militarmente, bensì finanziando la rivoluzione e gli spostamenti delle truppe patriottiche come il celebre Haym Salomon, da molti considerato il vero responsabile della vittoria contro l’esercito britannico.

Salomon agì come infiltrato segreto nella New York occupata dagli inglesi, supportando i soldati americani e pagando le truppe francesi che assistevano i patrioti. Tra i suoi gesti più importanti vi fu la grande donazione al palazzo della Congregazione Mikveh Israel a Filadelfia. Nel 1784 Salomon affermò: “Io sono un ebreo; non ho dubbi che un giorno otterremo tutti i privilegi a cui aspiriamo insieme ai nostri concittadini.”

È importante ricordare che non tutti gli ebrei combatterono dalla parte dei patrioti, altri erano soldati dell’esercito lealista come Alexander Zuntz, che però rimase talmente colpito dalla libertà religiosa americana da decidere di restare a New York dopo il conflitto, diventando poi presidente della sinagoga della città.

La nuova costituzione degli Stati Uniti d’America

George Washington (centrale) con il finanziere ebreo Haym Salomon (sulla sua sinistra) e Robert Morris (sulla sua destra) a Chicago

Nonostante negli Stati Uniti gli ebrei avessero diritto di voto, alcuni stati americani riservavano cariche e benefici statati solo ad alcune fedi, imponendo test religiosi tra i criteri di selezione.

Queste disposizioni statali, pur non negando la libertà religiosa o i diritti legali, rendevano gli ebrei (e i cittadini di altre fedi “scomode”) meno uguali da un punto di vista politico. Fu così che nel 1783 i leader ebraici di Filadelfia fecero pubblicare su diversi giornali tutti i modi in cui gli ebrei erano stati discriminati dalle nuove costituzioni statali, richiamando l’attenzione su queste discutibili legislazioni.

Di conseguenza, sette anni dopo, la nuova costituzione della Pennsylvania eliminò il test religioso per l’accesso alle cariche e nel 1787 il Congresso decise di approvare ufficialmente l’ordinanza che prevedeva di “estendere i principi fondamentali della libertà civile e religiosa nei territori nazionali”: la prima garanzia nazionale di libertà religiosa.

Il veterano della guerra d’indipendenza Jonas Phillips scrisse a George Washington, a nome della Congregazione Mikveh Israel, chiedendo che la nuova convenzione tutelasse anche i diritti politici degli ebrei. Nonostante la suddetta Convenzione avesse già deciso di proibire i test religiosi per l’accesso alle cariche, la volontà mostrata dagli ebrei di Filadelfia di fare pressione per i loro diritti è un’ulteriore prova dell’audacia dell’ebraismo americano.

Il 4 luglio 1788 Filadelfia organizzò una grande parata in onore della ratifica della nuova costituzione e persino lo chazan della sinagoga vi prese parte, marciando sotto braccio con un gruppo di ecclesiastici. Quando Washington prestò il primo giuramento presidenziale nel 1789 a Manhattan, il leader ebraico Gershom Mendes Seixas, chazan della congregazione ebraica di New York e leader spirituale della prima sinagoga degli Stati Uniti, fu uno dei 14 capi religiosi a presenziare alla cerimonia.

Quest’accettazione senza precedenti degli ebrei da parte dell’America, culminata con il Primo Emendamento del 1791, contribuì a indurre altre nazioni occidentali a concedere diritti analoghi alle proprie comunità ebraiche, anche se il processo sarà incompleto per molti anni. In Gran Bretagna ad esempio Lionel Rothschild vinse diverse elezioni per il parlamento ma non ottenne la carica fino al 1859 dopo l’approvazione del Jews Relief Act, mentre la piena uguaglianza politica degli ebrei verrà dichiarata solo nel 1871.

Con l’avvicinarsi del 250° anniversario della Rivoluzione americana (4 luglio 2026) è importante ricordare come il patriottismo degli ebrei abbia portato alla nascita di un paese dove, per tornare alle parole della storica lettera di Washington, l’uguaglianza politica e la libertà religiosa vengono riconosciute alle minoranze su un’ampia scala nazionale, non perché sia stata estesa loro una semplice tolleranza ma perché “tutti possiedono allo stesso modo libertà di coscienza e immunità di cittadinanza”.