Vicini e Lontani

Opinioni

 

Ortona risponde a Jarach.

Caro Andrea, concordo con te che non può essere una lettera, e io aggiungo neppure un dibattito, se pur interessante e al quale ha partecipato un vasto pubblico, a risolvere alcune delle problematiche che sono all’oggetto del tuo scritto. Nello specifico, come chiarito in apertura di serata, il dibattito in questione non aveva la presunzione di trovare la ricetta/e al problema dell’allontanamento degli iscritti, sia essi vicini che lontani dalle Istituzioni comunitarie, bensì la finalità di individuare innanzitutto il fenomeno, e cercare di comprenderne alcune delle ragioni, attraverso gli interventi di autorevoli oratori e in parte anche del pubblico presente. Il fatto significativo, a mio avviso, dopo alcuni anni di silenzio, è che sia stata presa l’iniziativa di organizzare un incontro su un tema così ampio, affrontando se pur con una visuale a largo raggio un argomento delicato, e cercando per quanto possibile di registrare alcune opinioni sul presente e sul futuro comunitario.
Inoltre la serata del 14 settembre scorso è stata l’inizio di una serie di “format” che verranno organizzati dall’Assessorato alla Comunicazione interna nei prossimi mesi, al fine di confrontare le varie realtà presenti nella nostra Comunità e interrogarle sul futuro. All’inizio della tua lettera, hai sostenuto la tesi secondo la quale in ambito europeo sono principalmente i gruppi religiosi ad allontanarsi dalle strutture centrali. Ciò forse è vero, ma l’importante è capire i motivi di questa tendenza nella realtà specifica milanese, dove al contrario di certi contesti europei i numeri degli ebrei sono molto più esigui, fattore da tenere molto ben presente.
Forse una delle ragioni, consiste nel fatto, che è venuta meno negli ultimi trent’anni la capacità e forse una scarsa sensibilità nell’operato di quello che tu definisci l’establishment, di integrare e di fare interagire i vari gruppi di ebrei provenienti dal bacino del mediterraneo, dall’Europa dell’est, dal Libano, dall’Iran. È mancata la curiosità di apprendere la storia di queste differenti culture di provenienza, di conoscere i vari riti, usanze, consuetudini, e di far fronte conseguentemente alle esigenze personali dei vari nuclei famigliari, facendoli sentire parte importante della Comunità. Non ti pare?
A proposito di offerta pratica, non è forse venuta a mancare un’offerta da parte delle Istituzioni in grado di far fronte a tutta un serie di istanze e di domande che venivano da queste realtà, (la presenza dei riformati nella realtà milanese è un fenomeno piuttosto recente)? E non è stata forse tale offerta carente alla base delle spinte che hanno indotto le realtà di cui parliamo a creare autonomamente le proprie micro-strutture al di fuori delle istituzioni comunitarie, vedi le varie scuole o sinagoghe?
Se questa può essere una delle ragioni, non la sola, allora bisogna ammettere che è stato un grave errore politico di cui oggi paghiamo tutti le conseguenze con la frammentazione che è in atto e al quale prima o poi bisognerà porre rimedio!
In alcuni casi, se vogliamo poi davvero essere anche onesti intellettualmente, si può affermare, senza remora alcuna, che si sia manifestata una sorta di “snobismo culturale” e di presunzione istituzionale. In particolare la presunzione di assumere che il retaggio culturale ebraico italiano, di cui siamo, chi più chi meno, orgogliosamente rappresentanti, dovesse essere quasi esclusivo nei confronti di quelle che noi oggi definiamo con un termine particolare e originale: “edot”. Battersi per l’integrazione degli immigrati nella società italiana nella quale viviamo è un sacrosanto principio. Ma mi domando, e ti domando, perché non si è stati capaci di farlo all’interno della nostra Comunità? (vedi esempio della Comunità di Roma dove ebrei romani e tripolini sono bene integrati). Io penso, come tutte le persone di buon senso, che tutte le culture vadano rispettate e comprese nei propri sentimenti e nelle molteplici sensibilità, e sono sicuro che anche questo sia il tuo pensiero. Ma ciò dovrebbe farci riflettere al modo più idoneo per costruire un approccio più innovativo dal punto di vista culturale, da tenere in futuro, se vogliamo che la Comunità metta in atto quel processo di recupero delle sue varie anime! Sarà necessario ricucire unitariamente questo ricco panorama “etnico” al fine di rafforzare la struttura centrale comunitaria e di conseguenza ricreare quel senso di appartenenza alla Comunità, pena l’esaurimento della stessa.
Rispetto a situazioni del passato, da questo punto di vista fa piacere per esempio che il rappresentante del Bet Shalom, David Ross, amico del Keren Hayesod, abbia espresso il suo punto di vista durante il dibattito. Mi pare che sia la prima volta che accada nella nostra Comunità. È un semplice diritto che appartiene a tutti. Non necessariamente si devono condividere i punti di vista, ma in democrazia si devono poter ascoltare e rispettare le diverse opinioni.
D’altra parte, sempre per stare nell’ambito delle tue sollecitazioni pro-reform, pur stimando la presenza sul territorio dell’hinterland milanese di circa 4/5000 ebrei cosiddetti “lontani”, non mi risulta – e lo dico col massimo rispetto – che essi per questa loro condizione siano tutti iscritti a Lev Chadash o al Bet Shalom. O sbaglio? Evidentemente le ragioni dell’allontanamento sono molto più profonde e non legate o da circoscrivere necessariamente a un proprio modo di intendere e sentire l’ebraismo. Esiste una crisi di valori, delle istituzioni in senso lato, dei modi di intendere la religiosità, di essere ebrei, e andrà probabilmente, forse per queste stesse ragioni, ridisegnata una nuova strategia comunitaria. Per fare questo ci vuole molta pazienza, saggezza, metodo, e perché no anche una dose di creatività.

Per quanto riguarda gli aspetti strettamente religiosi e halachici, non mi addentro in essi, perché non ne ho la sufficiente competenza, e da modesto ebreo tradizionalista quale sono, mi attengo a ciò che i maestri dell’ebraismo italiano enunciano. Auspico naturalmente che i maestri del nostro tempo abbiano la capacità di comprendere i mutamenti in atto. A questo riguardo mi ha colpito una frase molto profonda che Rav Roberto Della Rocca ha pronunciato quella sera: “nove ebrei ultraortodossi non fanno minian, dieci ebrei non religiosi fanno minian”. Se è vero questo principio, si può capire quanto sia complessa l’interpretazione dell’Halachà!
Concludendo ti ringrazio per i complimenti sia sul dibattito che sul nuovo Bollettino. Per questo ultimo li trasferisco, di dovere e con molto piacere al direttore Fiona Diwan, e alla Redazione tutta, con Ester Moscati in primis.
Un caro Shalom
Yoram Ortona, Milano