Negazionisti: la ricostruzione selettiva del passato per eliminare (di nuovo) gli ebrei

di Claudio Vercelli

Storia e controstorie: Negazionisti…

Una scritta opera di Negazionisti
Una scritta opera di Negazionisti

Negare implica in realtà affermare. Cosa intendiamo, così dicendo? Si tratta forse di un gioco di parole? Non nel caso del negazionismo, quel fenomeno pseudoscientifico, oggi più che mai diffuso, e non solo in ristretti ambienti politicizzati, per il quale lo sterminio di massa delle comunità ebraiche europee, per mano nazista e con il concorso dei fascismi europei, non è mai veramente accaduto.

Se ci fermiamo a questa “dichiarazione di principio”, a ben vedere abbiamo per l’appunto a che fare con una secca negazione. Nessun genocidio, punto e a capo. Ma al cuore di ogni negazionismo c’è qualcosa di più della distruzione del passato. Semmai la tentazione vera è quella di procedere a una sua ricostruzione selettiva. In altre parole, di prendere e trattenere a sé qualcosa di effettivamente successo, ovvero ciò che più e meglio si confà agli interessi del presente, buttando via tutto il resto.

I nazisti perseguitarono gli ebrei? Suvvia, non esageriamo. Si era in guerra, un conflitto scatenato dagli stessi ebrei (tipica falsità propagandistica propalata dai nazisti medesimi), dove la gente moriva un po’ da tutte le parti: che qualche «giudeo» (meglio virgolettare la parola, che assume un connotato fortemente dispregiativo qualora pronunciata da certa feccia umana e politica) se la sia vista male, mica è il caso di nasconderlo! Dopo di che, mai e poi mai i nazisti costruirono luoghi di annientamento di massa. Non erano dei criminali, come invece lo furono gli ebrei.

Al centro del negazionismo, nel suo cuore pulsante, c’è infatti la dichiarazione esasperata, ridondante, enfatica, urlata ai quattro venti, che le camere a gas non sono mai esistite. Così come mai si sarebbe manifestata l’intenzione politica, ideologica e amorale, da parte di Hitler e dei suoi sodali, di assassinare sistematicamente un intero popolo. Fin qui, tuttavia, siamo sul piano della prevedibilità dell’altrui denigrazione. Ma il negazionismo, che non si genera mai per ignoranza bensì per calcolo politico e falsa conoscenza, tanto più tenaci, l’uno e l’altra, poiché basati su una visione del mondo integralmente antisemitica, fa sempre un sorta di “salto di qualità”.

Succede puntualmente quando afferma (è proprio il caso di dirlo) che Auschwitz e i campi di sterminio costituiscono una deliberata menzogna, una finzione costruita ad arte dagli ebrei per criminalizzare il regime nazionalsocialista e ricattare l’intera comunità planetaria. Per il negazionista l’esistenza di Auschwitz è accertata una volta per sempre come esclusiva manipolazione, necessaria alla macchina del «complotto giudaico» per continuare a funzionare. È evidente, pare dire, che se un sistema di sterminio è per davvero esistito, quello ha a che fare con la distruzione della “libertà di pensiero” che verrebbe operata attraverso la diffusione del «dogma dell’Olocausto», ossia l’obbligo di credere a una verità di regime, imposta dalle democrazie vincitrici della Seconda guerra mondiale. Le quali sono asservite agli interessi degli ebrei.

Tutto si tiene, nella sua coerenza paranoica, in questo modo di ridisegnare il mondo e la sua storia in base a un pregiudizio che si fa dottrina implacabile e inconfutabile. A conti fatti, si tratta di un meccanismo di inversione logica, dove gli apologeti dei carnefici ne esaltano l’operato depurandolo di tutti i suoi aspetti più abietti. Ma anche di una prosecuzione della loro “missione”, perché è nell’ideologia stessa dell’antisemitismo sterminazionista affermare che gli ebrei vanno eliminati non solo perché «parassiti», dominatori del mondo, esseri degenerati, ma in quanto depositari di una funzione di trasmissione della coscienza, e della conoscenza, che fa a pugni con il pensiero totalitario. Il quale si basa sempre su una affermazione tanto bieca quanto perentoria: «l’ignoranza rende liberi». Liberi di uccidere (e di morire) al passo dell’oca. Allora come oggi.