Storie di bambini nascosti durante la Shoah e diventati scrittori: i due casi di Georges Perec e Saul Friedländer

Libri

di Cyril Aslanov

[Ebraica. Letteratura come vita] La ri-attualizzazione dell’interesse per il Caso Mortara dopo l’uscita del film Rapito mi ha fatto pensare alle situazioni in cui orfani ebrei, nascosti da istituzioni cattoliche, sono stati battezzati per scappare dalle grinfie della Gestapo.

Quando nell’immediato dopoguerra nessuno tra i loro familiari era sopravvissuto per cercare di ritrovarli, questi bambini nascosti sono spesso rimasti cattolici e talvolta sono diventati sacerdoti o suore, non avendo altra alternativa che rimanere in una struttura clericale. In altri casi, i bambini nascosti sono stati recuperati in extremis da un parente. Qui vorrei parlare di due casi di orfani ebrei nascosti che hanno entrambi scritto racconti autobiografici, in cui cercano di raccogliere alcuni frammenti di una memoria che per un certo periodo avevano voluto dimenticare.

Georges Perec

Il primo è W ou le souvenir d’enfance (W o il ricordo d’infanzia), pubblicato nel 1975 (1991 in traduzione italiana). In questo libro si alternano un racconto immaginario su un campo sportivo organizzato con metodi nazisti e le memorie confuse dello scrittore Georges Perec bambino, costretto a dimenticare il proprio nome per potere sopravvivere da orfano in una casa per bambini nella Francia di Vichy. Il racconto finzionale sul campo sportivo è scritto in corsivo a differenza dei frammenti dei ricordi d’infanzia. Al momento della liberazione, una zia riuscì a ritrovare il piccolo Georges Perec e fargli recuperare il suo nome e la sua identità.

Tre anni dopo la pubblicazione di questi due racconti intrecciati (il finzionale e il frammentario), lo storico della Shoah Saul Friedländer pubblicò in francese un libro commovente in cui si alternano i suoi ricordi di orfano ebreo, nascosto in un’istituzione cattolica francese, con una riflessione sulla sua vita di docente universitario nell’Israele degli Anni Settanta (Quand vient le souvenir, 1978; pubblicato nel 1990 nella traduzione italiana di Natalia Ginzburg con il titolo A poco a poco il ricordo).

 

In questo libro scritto in francese da un ebreo di origine ceca arrivato in Francia all’età di 5 anni quando la Germania nazista annesse la Boemia-Moravia, si capisce la fragilità e la forza dell’identità ebraica: fragilità, se si pensa che il giovane Pavel Friedländer diventato Paul Ferland nel contesto cattolico dove fu nascosto, fu per un periodo un cattolico fervente, animato dalla vocazione sacerdotale; forza, nella misura in cui il suo direttore spirituale, al quale aveva parlato del suo desiderio di diventare prete, lo dissuade da questo progetto. Poi lo convince a riprendere coscienza della sua ebraicità quando gli rivela la sorte dei 6 milioni di ebrei assassinati, fra i quali i suoi genitori. Così, nel 1946, si fa adottare da una famiglia ebraica osservante e nel 1947 entra nel Betar e arriva in Israele nel giugno del 1948 a bordo della famosa nave Altalena. Inizia allora una nuova vita sotto il nome di Shaul (Saul), il nome portato dall’apostolo Paolo prima della sua conversione sul cammino di Damasco. Palesemente la disparità delle circostanze (l’Europa occupata dalla Germania nazista è diversa dallo Stato Pontificio nel 1858) era sufficiente da poter influire in maniera diversa sul corso del destino: Edgardo Mortara rimase legato alla Chiesa mentre Pavel/Shaul Friedländer ritrovò la propria identità e il senso del suo destino nello Stato di Israele appena fondato. Fu precisamente l’esistenza di questo Stato e delle organizzazioni che ne permisero la nascita a far sì che il caso Friedländer non fosse una riproduzione del caso Mortara.

 

Foto in alto: Saul Friedländer