Storia di Giulio e Jasmine, dalle carceri libiche di Gheddafi alla libertà

Libri

di Fiona Diwan

«Dopo un silenzio durato 50 anni penso che di quei giorni e di quei fatti debba restarne almeno una traccia. Un viaggio nell’abisso… ma a lieto fine». Così parla Raffaele Genah, giornalista, per molti anni vicedirettore del Tg1, ex capo della sede Rai per il Medio Oriente, oggi collaboratore de Il Messaggero, autore del romanzo Notturno Libico – La persecuzione degli ebrei di Libia, la battaglia di un uomo, il coraggio di una donna, vincitore del primo premio “Libro per ragazzi” della 25° edizione del Premio letterario Adelina Della Pergola Adei Wizo. Nato anch’egli a Tripoli nel 1954, non a caso Genah ha voluto raccontare l’odissea traumatica vissuta da Giulio e Jasmine Hassan nella Libia tra il 1967 e i primi anni Settanta.

Scritto in modo avvincente, con uno stile secco e brillante, il libro è un tentativo di non disperdere la memoria, di conservarla, generazione dopo generazione come sottolinea la citazione in apertura del libro, dal Talmud: “Quando insegni a tuo figlio, insegni al figlio di tuo figlio”.

Il romanzo ha il grande merito di gettare luce su un periodo poco noto al lettore italiano, raccontando una vicenda autentica ascoltata dalla viva voce di chi l’ha vissuta, da protagonisti che sono ancora oggi qui, testimoni davanti a noi. Genah è stato abilissimo nel ricostruire il clima di caccia all’ebreo scatenato dal panarabismo di Gamal Abdel Nasser e gli avvenimenti della presa del potere del colonnello Gheddafi, ma anche gli eventi della fuga precipitosa della famiglia Hassan e poi del rapimento e della lunga detenzione nelle prigioni libiche di Giulio Hassan all’età di 27 anni: la descrizione della vita nel carcere e dei rapporti con i secondini e con gli altri detenuti sono forse tra le pagine più forti del libro insieme alle peripezie vissute da Jasmine per ottenere la liberazione del marito. Non c’erano accuse reali contro di lui, non c’era stato nessun processo, non risultava nessuna motivazione all’arresto e incarcerazione se non una generica accusa (ovviamente infondata) di spionaggio per Israele. Quando Jasmine si accorge che suo marito rischia di venire dimenticato tra le mura del carcere di Porta Benito, andrà nelle gambe del diavolo pur di smuovere le acque e di attirare l’attenzione. Ce la farà. Sarà grazie a lei che dopo quattro anni e mezzo di cella, abusi e violenze, Giulio Hassan riuscirà a rivedere i figli, la moglie e la libertà.

Non a caso, Raffaele Genah sceglie di ricostruire l’intera vicenda dando voce a entrambi i protagonisti, Giulio e Jasmine, alternandone le voci, le emozioni, le paure, un capitolo per ciascuno.

Anche qui, c’è il tentativo di tenere vivo un lascito, di riparare il dolore e dare conto di tragici avvenimenti storici pochissimo noti in Italia.

Ma la narrativa può davvero farsi carico di una forma di riparazione? Forse sì. Il romanzo “restituisce la concitazione di quei giorni. La caccia all’uomo e gli assalti casa per casa, i tumulti, i saccheggi, la corsa alla conquista di un documento per poter salire su un aereo e il nuovo esodo di una intera comunità verso la libertà”, spiega Genah. Una galleria di personaggi, trame oscure, intrighi, soggetti che si muovono e si perdono tra le ombre, e poi il Mukhabarat, la polizia segreta libica, il Mossad, la Guerra del Kippur, un via vai di ambasciatori, capi tribù, nobildonne, ministri e militari… In un teatro della memoria dove c’è posto per tutti. Commovente, intenso, prezioso.

Raffaele Genah, Notturno libico, Solferino, pp. 184, 16,50 euro

 

Foto in alto: Giulio e Jasmine Hassan, Raffaele Genah, Susanna Sciaky