di Fiona Diwan
Macerie di silenzi che portano dolore. Oggetti scaraventati nel presente e venuti da un passato sepolto, a volte vertiginoso e pieno di buio. “Non si può recuperare una persona… ma se si riesce a restituirle un po’ di ciò che le è stato sottratto… niente è completamente perduto”, scrive Gaelle Nohant (52 anni, francese, all’attivo cinque romanzi e numerosi premi letterari, tra cui il prestigioso primo Premio Adelina della Pergola dell’Adei Wizo). Giocattoli, ciondoli, cose, oggetti perduti appartenuti a persone scomparse; ricercatori che tentano di restituire una voce alle vite spezzate nei lager nazisti. C’è un filo invisibile nel bel romanzo di Gaelle Nohant L’archivio dei destini che lega un passato terribile alla nostra epoca dove il dovere della Memoria impone di agire per evitare che quelle storie scivolino negli sgabuzzini della storia.
Siamo nella cittadina di Bad Arolsen, nel cuore di tenebra della Germania, ex roccaforte e incubatrice delle SS e oggi custode del più grande archivio al mondo sulla deportazione nazista, ventisei chilometri di scaffali, cinquanta milioni di fascicoli, mappe, disegni, grafici, quaderni, liste (anche la celebre Schindler’s list), effetti personali, fotografie, un immenso centro di documentazione, informazione e ricerca sulla persecuzione nazista in Germania e nelle regioni occupate contenente circa 30 milioni di documenti dei campi di concentramento e schede di persone deportate.
Nell’inverno 2020 Gaelle Nohant scopre per caso l’esistenza dell’International Tracing Service a Bad Arolsen, creato dagli Alleati dopo la guerra, in cui gli archivisti conducevano indagini per far luce sulle vittime del nazismo, in base alle richieste dei loro familiari; in particolare la colpisce la missione “Stolen Memory”, che mirava a restituire ai loro discendenti gli oggetti appartenuti ai deportati e recuperati in alcuni lager. Uno stupefacente soggetto letterario. Attraverso questi umili oggetti, piccoli “testamenti simbolici” si può far luce sulla vita delle persone scomparse e far loro ritrovare un posto fra noi, scrive Nohant: “per riparare un legame spezzato dal nazismo” ma anche per interrogarci sulla trasmissione di un passato doloroso. Strutturato come un giallo, il romanzo è una matrioska di storie dentro altre storie.
Ispirata alla figura reale di Nathalie Letierce-Liebig, coordinatrice del dipartimento di ricerca degli Archivi di Arolsen, anche la protagonista del romanzo, Irène, è francese, un vero topo d’archivio, un segugio e una detective in pectore che segue indizi, tracce e soprattutto il suo fiuto: “qualche volta cercando i morti, troviamo i vivi”, dice. “Forse ci sono dei figli, dei nipoti. Immagina che significato avrebbe per loro ricevere quegli oggetti venuti da tanto lontano? Oggi, nella loro vita. Come un testamento…”.
Un romanzo che intreccia con sentieri paralleli il passato col presente: Nohant racconta non solo storie di coraggio e solidarietà ma anche le responsabilità e il ruolo che ciascuno scelse in quella tragedia e di conseguenza il peso sui discendenti di coloro che si resero complici dello sterminio, i collaborazionisti oppure chi agì in modo attivo nei confronti dei deportati. Nohant si pone una domanda cruciale: come mantenere viva la memoria dello sterminio nazista e renderla attiva per le nuove generazioni? Una preoccupazione condivisa oggi da molti. Liliana Segre del resto non continua a ripetere che, morto l’ultimo testimone, la Shoah, tra qualche decennio, non occuperà che una sola riga in un breve capitolo di un libro di storia? «Ecco perché è importante trovare delle forme contemporanee per far vivere questa vicenda, permettendogli di illuminare il nostro presente», dichiara Nohant. Perché L’archivio dei destini è un romanzo sugli esseri umani ma anche sulla memoria collettiva d’Europa. Appassionante e avvincente come un giallo, toccante e ricco di stimoli, pieno di dettagli ignoti: un vero page-turner book.
Gaelle Nohant, L’archivio dei destini, traduzione Luigi M. Sponzilli, Neri Pozza, pp. 332, 20,00 euro