Pranzo di famiglia di Alessandra Farkas

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Pranzo di famiglia della giornalista Alessandra Farkas corrispondente del Corriere della Sera a New York è un libro intimista, profondo che ci porta in un viaggio parallelo, due strade dolorose ma anche piene di vita che finiscono per ricongiungersi grazie al filo della memoria. La prima è un ultimo pranzo di famiglia nel sud della Francia, un simbolico omaggio al padre malato negli ultimi giorni di vita. Un incontro particolare di una famiglia allargata dove l’amore, le contraddizioni, le gelosie si mescolano ai ricordi di momenti felici.

Il secondo sentiero in cui ci porta l’autrice è quello della memoria, la volontà di ripercorrere la storia del padre senza tralasciare nessun dettaglio anche quelli più dolorosi e crudeli per raccontare l’esperienza traumatica di una generazione vittima delle persecuzioni naziste in Hungeria.
Un viaggio a ritroso in cui Alessandra Farkas riannoda i fili della memoria per capire fino in fondo il vissuto del padre. Paolo Farkas è stato profondamente traumatizzato dalla violenza antisemita subita dalla sua famiglia, (il padre morirà ad Auschwitz,la madre sarà massacrata per strada e il suo cadavere buttato nel Danubio). Sarà tormentato dai sensi di colpa per non essere stato capace di salvare sua madre.
Il passato è troppo doloroso e per riuscire a vivere si ricorre alla rimozione. Anche ai propri figli si nasconde la propria origine. Ma quando Alessandra Farkas compie 11 anni il padre decide di parlare, di svelare le origini ebraiche e la tragica storia della famiglia Wolfnmer Farkas un’influente dinastia mitteleuropea di editori che nonostante la loro influenza negli ambienti politici ungheresi non si salverà.
A 15 anni, Paolo Farkas riesce a fuggire insieme al fratello Charlie e dopo molte vicissitudini e molta povertà approdano nell’Italia del dopo guerra dove riusciranno a ricostruire la propria vita.

In modo crudo Alessandra Farkas ripercorrere il crescere delle persecuzioni in Ungheria, l’antisemitismo nelle scuole medie, nei licei fino a quando nel 1944 gli ebrei furono costretti a girare per la città con la stella gialla cucita sui capotti. Pranzo di Famiglia è un libro che fa riflettere, che scava nel passato raccontando a volte con grande crudezza un ritratto di famiglia geniale e pieno di contraddizioni. Nel suo libro Alessandra Farkas recupera la propria storia, ricuce le testimonianze per potere riallacciare i fili delle memoria per sé ma anche per le nuove generazioni.

A 11 anni hai scoperto le tue origini e il tragico passato della tua famiglia paterna. Come ha cambiato la tua vita questa scoperta? come l’ha influenzata?

Oltre ad essere un fulmine a ciel sereno, la scoperta ha profondamente cambiato la mia vita, il mio modo di rapportarmi agli altri e a me stessa. Già sapevo di essere diversa dai miei compagni di scuola alle elementari di Monte Olimpino, a Como, perché il mio cognome era diverso da tutti gli altri -All’improvviso ho capito che dietro la mia diversità c’era un passato sanguinoso, tragico e di persecuzioni che rendeva la mia stessa esistenza in un certo senso uno sbaglio. O un miracolo. Mi sono sentita vulnerabile e piuttosto impaurita per il mio futuro. La mia paura della morte risale a quel periodo.

Hai dedicato questo libro a Giorgia e Simon, perché sappiano da dove vengono. Rispetto alla generazione di tuo padre che non voleva parlare perché troppo ferita cosa è cambiato nella tua. C’è un bisogno di raccontare, di riscoprire le propria storia,di dare continuità fra passato e futuro?

Il libro l’ho dedicato proprio ai miei figli perché possano ricavarne un insegnamento sul perpetuare la nostra identità e la nostra memoria affinché essa possa rappresentare un monito per il futuro.
A suo modo anche mio padre, laico e credo ateo, ha lasciato una sofferta testimonianza artistica della sua esperienza: una bellissima serie di disegni che ha fatto alla fine della sua vita. Ci sono delle anime nude e scheletriche dallo sguardo atterrito, circondate da un filo spinato. Papà è riuscito ad immortalare in quelle immagini l’orrore e la grandezza mostruosa della Shoah.
Anche nelle opere di mio nonno c’era l’anticipazione della tragedia. Il tragico destino della Mitteleuropa, un mondo che si stava dissolvendo. C’era un grande senso di profezia nella sua arte.

Cosa ti ha spinto a scrivere questo libro?

Da anni pensavo di scrivere un libro sulla mia famiglia. Avevo raccolto nel corso degli anni il materiale. In Ungheria esistono molti libri sui miei nonni paterni. Poi nel ’95 ho fatto una lunga intervista a mio padre, ed è stata la prima testimonianza completa della storia della sua famiglia. Quando nel 2001 si è ammalato di tumore sono andata da lui nella sua tenuta del sud della Francia. Ricordo ancora il nostro incontro nel suo splendido giardino. “Papà, io scriverò un libro su di te che immortalerà la tua memoria”. Divorato dalla malattia non riusciva neanche a parlare, ma colsi nel suo sguardo un segno di approvazione, e credo che ne fu felice. Ho voluto mantenere la promessa.

Vieni da una famiglia di ebrei laici,come vivi la tua ebraicità, come la trasmetti?

Tutta la mia vita è stata una ricerca delle radici ebraiche perdute. Ho riscoperto la mia appartenenza in America, dove finalmente mi sento parte di una comunità e sono iscritta ad un tempio. Resto profondamente laica, come sono stata fin da piccolissima, ma mi piace osservare i rituali della religione che i miei genitori per paura – e forse vergogna – hanno sempre evitato e faccio annualmente delle donazioni alla mia sinagoga e alla comunità ebraica. Mi piace cucinare le specialità della cucina ebraica ungherese e romana che ho imparato dai miei genitori (l’unico insegnamento di cultura ebraica che mi hanno trasmesso). I miei amici sono ebrei, cattolici, protestanti e buddisti e la migliore amica di mia figlia è musulmana. Credo nella tolleranza e se i miei figli sposassero un non ebreo non me ne farei affatto un cruccio.