Protesta degli studenti pro-palestinesi al Senato dell'Università di Torino a marzo 2024

L’odio per gli ebrei e Israele: una macchia che si estende nel mondo della cultura

Libri

Nella foto: Protesta degli studenti pro-palestinesi al Senato dell’Università di Torino a marzo 2024 contro il rinnovamento  della collaborazione con le università israeliane

di Esterina Dana
“I traumi per loro natura sono impressioni soverchianti … [e] imprecise. Necessitano di elaborazione, di riflessione ma, ancor prima, di un inventario dei fatti per essere compresi, documentati, trasformati in storia e in azione collettiva”. È quanto afferma Ugo Volli nella prefazione al nuovo libro di Nathan Greppi La cultura dell’odio. Media, università e artisti contro Israele (uscito il 18 aprile per I Tipi di Lindau), riferendosi alla strage del 7 ottobre 2023 perpetrata dai terroristi di Hamas in Israele e allo sgomento delle comunità ebraiche di fronte alla spudorata deflagrazione dell’odio per gli ebrei, latente per lungo tempo.

Il libro di Greppi – stimato collaboratore di Mosaico e Bet Magazine – raccoglie una ricca e variegata produzione documentaria di esternazioni, elucubrazioni e comportamenti che fanno capo ai pregiudizi antisemiti più biechi, sebbene ritoccati con un maquillage più moderno. Indagando meticolosamente nell’anarchia comunicativa dominante, l’autore ordina le manifestazioni di ostilità verbale e non verbale in capitoli che attendono al mondo del giornalismo, dei social network, dell’istruzione e della cultura (letteratura, arte, musica, cinema, teatro), conniventi le politiche di sinistra.

Sebbene frammentarie, tali esternazioni risultano tanto più sorprendenti, quanto più inaspettate per la loro sdoganata virulenza, laddove formule linguistiche tossiche si sono insinuate nel dibattito pubblico, nelle manifestazioni di piazza, nelle scuole e nelle Università italiane, europee e statunitensi fino a sovvertire la realtà dei fatti.

Da questa vasta ricerca documentaria emerge una pletora di circostanze, episodi, personaggi e parole, in cui nessuno risulta immune dal diffuso sentimento di odio nei confronti di Israele e degli ebrei.

Se inizialmente, a ridosso del pogrom del 7 ottobre, l’accusa dominante è diretta allo Stato ebraico “sionista” e “colonialista”, cosa che, per contro, vuole giustificare l’azione di Hamas come atto di Resistenza, in seguito, l’antisionismo si rivela apertamente come antisemitismo. Sorprende come ampie fasce dell’opinione pubblica occidentale aderiscano con entusiasmo alla lotta contro Israele accusato di “genocidio”, “assimilandolo a un’entità oppressiva, mentre lo Stato ebraico e il suo esercito vengono demonizzati”. L’odio non viene solo ostentato, ma si diffonde a livello globale con modalità coordinate e spesso sostenute da intellettuali, media e istituzioni, influenzati anche da finanziamenti stranieri. Attraverso la “nazificazione” di Israele viene rovesciato il rapporto vittime-carnefici defraudando gli ebrei della tragedia della Shoah; con l’accusa di complottismo, si identificano gli ebrei come una pericolosa lobby massonica; si ricorre all’ipocrisia e al doppiopesismo nel valutare i danni della guerra di Gaza e non solo; si giunge infine alla negazione degli stupri di Hamas. In una chiave postsionista Israele viene colpevolizzato non solo per le sue politiche, ma anche per ciò che rappresenta: un paese occidentale, libero, prospero e capace di difendersi.

Il clima antisemita si è realizzato grazie ad una intensa campagna di propaganda estesa a livello internazionale tramite svariate  forme mediatiche, esaltate dall’azione di accademici e intellettuali. Greppi dimostra come testate giornalistiche anche di rilievo, pecchino di evidente parzialità nella valutazione dei fatti. Nel testo sono accusate di contribuire attivamente a diffondere una narrazione distorta degli eventi in Medio Oriente, privilegiando una lettura semplificata e spesso faziosa o omissiva. Greppi ne smaschera le tecniche di disinformazione e manipolazione linguistica che contribuiscono a presentare Israele come l’unico responsabile del conflitto, occultando o relativizzando le atrocità commesse da Hamas e da altri gruppi terroristici. Alla campagna diffamatoria dello Stato di Israele, fanno eco dichiarazioni e prese di posizione individuali e boicottaggi a diverso titolo; molte delle gravi situazioni denunciate nel libro risultano surreali. L’autore le documenta sistematicamente con un sostanzioso apparato di note a piè di pagina.

Centrale nell’opera è il capitolo dedicato al ruolo dell’istruzione, in particolare delle università italiane e straniere in ostaggio di rettori, docenti e studenti votati alla causa antisionista  e promotori di sabotaggi culturali e non solo; numerosi sono gli esempi ad personam. Con un’analisi capillare Nathan Greppi dimostra come in molti ambienti accademici si siano diffuse narrazioni ideologiche scollegate dai fatti storici e spesso apertamente ostili a Israele. Attraverso citazioni e analisi di interventi di docenti e noti intellettuali, l’autore svela come la retorica antisionista sia diventata una sorta di ideologia che, in alcuni casi, sfocia apertamente in toni negazionisti o revisionisti, come nel caso delle dichiarazioni che minimizzano la Shoah o ne mettono in dubbio aspetti fondamentali. Dalla vasta mole di documenti, articoli, dichiarazioni e testimonianze, emerge una dinamica inquietante: l’odio  contro Israele viene sempre più spesso giustificato, banalizzato o addirittura promosso da settori influenti della società civile e culturale, italiani e internazionali, sfumando i confini tra dissenso legittimo e propaganda antisemita.

Le indagini di Greppi spaziano anche nell’ambito della cultura e dello spettacolo dove negli ultimi tempi si è diffuso il crescente astio verso Israele, spesso espresso attraverso il sostegno al movimento BDS da parte di artisti e intellettuali, inclusi alcuni ebrei di Hollywood. Fenomeni simili si riscontrano nella musica, nella letteratura e nel fumetto, dove si registrano rifiuti di esibirsi o pubblicare in Israele, e rappresentazioni che sfociano in antisemitismo, specie nelle vignette satiriche. Tuttavia, esistono anche artisti che si oppongono al boicottaggio e all’odio contro Israele.

Dal rigore informativo di Greppi emerge la constatazione di una deriva etica, morale e educativa preoccupante e la denuncia di un’epoca dai principi confusi, in cui la memoria storica è stata sopraffatta da narrazioni distorte, ideologie estremiste e una comunicazione polarizzata. Tuttavia, l’opera non si limita alla denuncia, bensì costituisce uno strumento per orientarsi e per comprendere la gravità di un linguaggio mistificato e mistificante che domina nel vuoto culturale che ci circonda, il quale lascia spazio all’indottrinamento nelle aule scolastiche e universitarie foriere dei quadri sociali del futuro.

La forza del libro, dall’impianto critico encomiabile, sta nella sua solida struttura argomentativa e nell’invito a riflettere  sul  perché l’antisemitismo, lungi dall’essere scomparso, continui a minacciare la convivenza civile, travestito da impegno politico o da critica sociale.

Il volume si completa con l’introduzione di Ugo Volli, Le ragioni di un trauma e le sue conseguenze e le interviste a Stefano Gatti, L’odio tra vecchi e nuovi media, da «L’Unità» a TikTok; a Gadi Luzzatto Voghera, Odio antiebraico e odio antisraeliano; a Claudio Vercelli, Evoluzioni moderne di un male antico.

 

Nathan Greppi La cultura dell’odio. Media, università e artisti contro Israele, prefazione di Ugo Volli, Lindau, 2025, 24.00 €