BookCity. Libri e mondo ebraico, tante storie da raccontare

Libri

di Roberto Zadik

bookcityDalle sofferenze degli ebrei persiani di Mashad, alla vita spesso travagliata dei coloni israeliani, fino al massacro degli armeni per arrivare al pensiero ebraico, durante l’iniziativa “Mondi sommersi” che si è tenuta presso il Tempio Maggiore di via Guastalla come conclusione della stimolante fiera culturale “Bookcity” sono state affrontate varie tematiche, tutte di spessore e piene di spunti di riflessione e di discussione.

Organizzata da Bookcity Milano, dalla Comunità ebraica, dall’assessorato alla Cultura e dalla Casa editrice Giuntina, l’iniziativa ha coinvolto personalità di spicco della cultura e del giornalismo, affrontando zone d’ombra della storia recente, come i coloni israeliani e del Novecento come il genocidio del popolo armeno o risalenti alla metà del 19esimo secolo, dal 1839 in poi, come le persecuzioni antiebraiche della Persia sciita attraverso i libri pubblicati recentemente. In conclusione di serata è stato invece ampiamente trattato il pensiero ebraico, vista la sede dell’evento in Sinagoga e le sue caratteristiche alcune già note e altre invece meno conosciute. Come ha detto l’assessore alla Cultura comunitario Davide Romano nella sua introduzione “Per questa quarta edizione di Bookcity” abbiamo scelto questo tema dei Mondi sommersi partendo da quello che la storia insegna e chi non ha coscienza storica è destinato a commettere gravi errori. Basti vedere ciò che sta accadendo in Ungheria coi migranti che diversamente Paesi come la Germania non ha mai fatto i conti con la Shoah. Misurarsi col proprio passato è fondamentale e questo avviene attraverso i libri e la conoscenza dell’altro. I libri sono come i mattoni sui quali si costruisce la civiltà e quando mancano queste fondamenta le nostre basi crollano”. “Per questo motivo” ha continuato Romano “è importante leggere, superare i pregiudizi e approfondire anche e soprattutto vicende poco conosciute o dimenticate per capire quanto accade oggi attraverso le vicende e le tragedie del passato”.

Successivamente ha preso la parola Shulim Vogelmann della casa editrice Giuntina, traduttore e direttore della sua collana “israeliana” di volumi,  che ha sottolineato: “viviamo in un mondo sempre più estremista dove la violenza è imperante e tante storie sono state ingiustamente sepolte per troppi anni ma nessuna vicenda è secondaria e abbiamo scelto per questa giornata quattro storie importanti e tralasciate per dimostrarlo.”

Coperta il grande nascondimento3A cominciare il tutto, sono stati il giornalista Oscar Giannino e lo storico Daniel Fishman autore del libro Il grande nascondimento, che hanno trattato della situazione ebraica a Mashad. Fishman ha da subito approfondito il contesto in cui vissero gli ebrei “nell’ottocento, Mashad, era una città molto importante per l’Islam guidata dal rigoroso conservatorismo degli Sciiti e molto religiosa. Dal 1839 partì una tremenda persecuzione antiebraica dove gli ebrei dovevano scegliere se convertirsi o morire e la loro situazione divenne davvero preoccupante ed essi cominciarono due secoli di marranesimo nascondendosi e vivendo all’esterno come musulmani e in casa come ebrei. Tutto questo avvenne con incredibili sotterfugi e dolorosi compromessi. Andavano a fare il pellegrinaggio alla Mecca e poi in Israele al muro del pianto, cambiarono nomi e cognomi, e unire le due religioni non era certo facile perché sia ebraismo che islam sono pieni di regole. Gli ebrei persiani per molti anni non vollero nè ebbero la possibilità di parlare di questo vivendo nella paura e nel pericolo costantemente”.

Dal 1979 la Persia di un tempo divenne l’Iran di oggi e coi regimi totalitari partirono grandi moltitudini di ebrei di Mashad verso l’Europa, Israele e gli Stati Uniti d’America ma coltivando sempre le loro tradizioni e facendosi chiamare Mashadi anche se nati all’estero da generazioni come segno di legame con la loro antica città.
Giannino ha, poi, messo in luce il fatto che questo libro è stato tradotto dall’inglese ed è uscito per la prima volta nel nostro Paese e l’unicità di questo testo analizzando le differenze fra l’antisemitismo islamico e quello cristiano a livello storico e sociale. “E’ la prima volta che questa vicenda” ha detto il giornalista “viene raccontata in Italia. Si tratta di un’opera fondamentale e tradotta dall’inglese che sviluppa una storia di marranesimo che in Europa  e in Italia conosciamo molto bene. Prima del 1839 le persecuzioni antiebraiche in Europa sono state molto peggiori e quella avvenuta in Persia a metà del diciannovesimo secolo ha preso come modello i massacri del Vecchio Continente e l’Inquisizione Spagnola del 1492 anno che molta gente associa solamente alla Scoperta delle Americhe. ” Sottolineando come in molti casi il cristianesimo e la Chiesa in tempi antichi furono molto peggio dell’Islam verso gli ebrei e come “noi europei siamo sempre pronti a condannare gli altri ergendoci a modello di cultura e progresso” Giannino ha specificato che” in Medio Oriente e in Egitto gli ebrei raggiunsero posizioni importanti attraverso il commercio e il lavoro, cosa che nel nostro Occidente non avvenne per molti secoli”. Nel suo discorso, il giornalista, ha sottolineato che “la stessa storia degli ebrei di Mashad si trova nella Meghillat Ester dove gli ebrei dopo la decisione del Re Assuero di ucciderli hanno dovuto nascondersi e il nome stesso della regina Esther protagonista della storia assieme allo zio Mordechai significa nascondimento”.

Assaf Gavron, autore de La collina
Assaf Gavron, autore de La collina

Cambiando argomento e in tema di libri, voltando pagina, si è passati a un altro tema delicato e poco trattato come la situazione dei coloni in Israele, oggetto del libro “La collina” dello scrittore Assaf Gavron. L’approfondimento è stato tenuto da Shulim Vogelman, invece di David Parenzo previsto per l’evento ma “bloccato a casa da una influenza” come ha spiegato e durante la sua relazione Vogelman ha illustrato la trama del libro per poi raccontare del suo periodo in Israele e della difficile condizione di chi “vive nei container in territori isolati scegliendo questo stile di vita per vari motivi, per coltivare la terra, per risparmiare o per sfuggire alla vita confortevole e borghese delle grandi città”. “Gavron” ha spiegato Vogelmann “è un bravo scrittore della sinistra israeliana e appartiene al partito socialista del Meretz e nonostante di Israele sia stato scritto tutto quello che si poteva scrivere è riuscito a trovare una storia originale ma purtroppo molto politica e oggetto di varie contestazioni quando abbiamo presentato il libro al Festival di Mantova.” Ma di cosa parla il libro? “Il testo narra la vicenda di due fratelli, uno religioso, Gabi e l’altro Roni totalmente lontano dalla religione che lavora nella finanza in America ma perde tutto quello che ha ed è costretto a tornare in Israele nascondendosi in un insediamento”. Un intreccio accattivante che rappresenta “nei due protagonisti, l’anima laica e quella religiosa di Israele e la colonia rappresenta una zona serena ma separata dal resto dello Stato ebraico. Spesso molte colonie vengono costituite senza il consenso del Governo da cittadini che si raggruppano nei container protetti dall’esercito e questo crea numerosi problemi politici e amministrativi”. Approfondendo questo tema, Vogelmann ha raccontato dei suoi sei anni passati nello Stato ebraico quando negli anni universitari ha ben conosciuto la realtà di quel Paese piccolissimo e splendido “grande come metà della Toscana, dove la gente vive come in una bolla non conoscendo la condizione delle colonie e separati completamente dal mondo arabo come in un qualsiasi Paese europeo. Una condizione paradossale che è una delle tante contraddizioni tipiche di Israele e il libro di Gavron descrive marginalmente gli arabi, cosa per la quale è stato criticato, concentrandosi sulla vita dei coloni con uno stile coinvolgente e un testo molto appassionante e che mi ha arricchito perché grazie ad esso ho appreso molte cose che non conoscevo prima”.
Gli ultimi due interventi si sono concentrati sul massacro degli armeni del 1915 e il libro “Pro Armenia della scrittrice Antonia Arslan autrice de “La masseria delle allodole” dal quale i fratelli Taviani hanno tratto l’omonimo film e il nuovo libro di Rav Roberto Della RoccaCon lo sguardo alla Luna” che intervistato dalla direttrice del Teatro Franco Parenti, Andreè Ruth Shammah ha sviluppato alcune tematiche del pensiero ebraiche collegate al testo.

Coperta Pro Armenia3Cominciando dalla Arslan, la donna in questo libro esprime una speciale gratitudine verso gli ebrei che erano in Anatolia e in Turchia nelle ambasciate americane e videro  e supportarono gli armeni durante l’eccidio spietato da parte dei Turchi, dell’Impero Ottomano aiutati dai soldati e dal Governo Tedesco e austriaco che ai tempi erano alleati con gli Ottomani. I soldati e le autorità tedesche trent’anni prima degli orrori della Shoah si macchiarono di un genocidio ai danni di un popolo “mite e intelligente come gli armeni” come ha ricordato l’autrice. “Questo libro” ha detto la Arslan “non è un memoir ma un romanzo che descrive tutta la sofferenza del mio popolo e la collaborazione spietata della Germania. Solamente gli ebrei, come Henry Morgenthau, Daniel Mandelstam e l’agronomo Alex Aaronson  compresero il nostro dolore perché come noi hanno subito delle persecuzioni e da sempre sono stati osteggiati, perseguitati e oltraggiati”. Il testo raccoglie tutte le testimonianze di queste persone e fornisce un quadro esaustivo e dolorosamente attuale di una vicenda tenuta sotto silenzio per troppi anni nell’indifferenza dell’Europa e nell’oblio. “Siamo stati perseguitati, massacrati, gli uomini sono stati uccisi separatamente dalle donne che in molti casi venivano rapite e poi violentate ed è stata una tragedia terribile, consumatasi in 3 anni dal 1913 al 1916” ha ricordato la donna. “Poi gli armeni si sono sparsi nel mondo e grazie alla collaborazione degli Stati Uniti e degli ebrei americani negli Usa e in Francia ci sono grosse comunità armene anche se parlare di questo argomento non è stato facile e anche per il film La masseria delle allodole, i due registi, i fratelli Taviani hanno avuto diversi problemi.” La Arslan ha rievocato le difficoltà affrontate dai due cineasti che erano stati ricattati dal governo turco che non voleva ammettere questo massacro e boicottati continuamente ma queste due persone hanno tenacemente lottato e alla fine ce l’hanno fatta. L’Italia si è comportata bene in questa vicenda ma diversi Paesi volevano ostacolare l’opera”. Parlando della propria vita la donna ha sottolineato che “la mia famiglia veniva dall’Anatolia e mio nonno emigrò a Venezia dove avviò una brillante carriera diventando chirurgo senza l’aiuto del padre con cui non andava d’accordo. Mia zia invece non si integrò mai, parlava l’italiano con accento armeno e aveva dimenticato la nostra lingua era una donna sconvolta da quanto il mio popolo aveva passato e non riusciva a superare questo trauma”.
Roberto-Della-Rocca-Con-lo-sguardo-alla-luna-COVERA concludere la lunga serie di discussioni il nuovo libro di Rav Della Rocca “Con lo sguardo alla Luna-percorsi di pensiero ebraico” presentato al pubblico della Sinagoga verso le 18.30  assieme a Andreè Ruth Shammah. La regista e direttrice del Teatro Parenti l’ha definito “un testo molto intenso e scritto bene” per poi citare e commentare assieme a Della Rocca alcuni punti salienti del testo. Cos’è il Santuario che ci portiamo dentro? Come si potrebbe definire l’ebraismo e quali sono gli elementi che contraddistinguono? Come mai la Luna e non il Sole sono tanto importanti per la nostra tradizione? Rispondendo alle stimolanti domande della Shammah il Rav ha evidenziato alcune questioni molto importanti. “Siamo orfani del Santuario distrutto e viviamo in esilio e tutta la nostra vita e la nostra storia sono uno sforzo per mettere assieme le macerie e costruire il tempio dentro di noi. La festa di Channukkà con le sue luce ricorda questa lotta contro l’oscurità e il buio che avviene ogni giorno”. Nel suo intervento, la Shammah e Della Rocca, hanno ricordato l’importanza di un ebraismo vivo e teso all’applicazione delle mitzvot, a rifuggire qualsiasi tentativo di “monumentalizzazione e di istituzionalizzazione come in un Museo” ha detto Della Rocca “per questo dobbiamo recuperare la tradizione orale e la discussione e sfuggire i luoghi comuni e le definizioni preconfezionate che in quest’epoca dominano.” “L’ebraismo” ha detto il Rav “è la cultura del pluralismo, della diversità e se siamo tutti uguali e la pensiamo tutti allo stesso modo siamo finiti. Dobbiamo far capire a noi stessi e agli altri che noi ebrei non siamo degli astronauti ma viviamo in questo mondo e siamo vivi e vegeti sfuggendo al conformismo, alla massificazione e a questa assenza di emozioni dove cerchiamo troppo spesso il consenso del mondo esterno rischiando di snaturarci”. Citando la parasta di Lech Lechà e il personaggio fondamentale di Abramo, il Rav, ha enfatizzato l’importanza di “staccarsi dai preconcetti e la difficoltà ad abbandonare le nostre abitudini, la nostra casa “è molto difficile lasciare quello che siamo, l’Italia e Milano” e questo come ha ricordato la Shammah “sembra un castigo ma è una rigenerazione”. “Dobbiamo costruire la Torah dentro di noi ogni giorno.” ha ricordato Della Rocca “del resto il Talmud dice che quando ogni bambino ebreo è nella pancia della madre impara tutta la Torah. Ma abbiamo tutti un segno sopra il labbro che secondo il testo talmudico è una bacchettata che un angelo ci da quando nasciamo. Così dimentichiamo tutto ed è necessario ricominciare da zero e studiare”.  Tante sono state le tematiche dell’intervento, dai significati del digiuno del Tishabeav, “un giorno luttuoso che si associa a numerosi significati e disgrazie accadute al popolo ebraico il 9 di Av. Una di queste, oltre alla distruzione di Gerusalemme e del Secondo Tempio, è quando quel giorno gli esploratori tornarono dalla Terra di Israele e ne parlarono male gettando in depressione la comunità. Tutto il popolo pianse e Dio disse che li avrebbe fatti piangere per motivi seri invece che per questo. Poi la maldicenza su Israele degli esploratori è il paradigma della calunnia e della maldicenza”. In ultima analisi sono state approfondite anche l’importanza della Luna, che, secondo Della Rocca “a differenza del Sole si rinnova costantemente, come la tradizione ebraica ed è sempre in evoluzione e al tempo stesso  costantemente fedele a sè stessa” e del libro che “dopo varie reticenze sulla pubblicazione,  intende dare un messaggio trasversale sia per gli ebrei che per i non ebrei puntando molto sullo studio che non deve essere accademico o intellettuale ma condurre all’azione e all’applicazione dei precetti basilari per la sopravvivenza dell’ebraismo.” Presenti all’evento diversi esponenti della Comunità, dal presidente Besso, al vice assessore alla Cultura, Gadi Schoenheit al Rabbino Capo, Rav Arbib che Della Rocca ha ringraziato “essendo stato non solo compagno di giochi di infanzia a Roma ma mio maestro”.