L’ebreo in bilico: un’interpretazione che scuote le coscienze

Libri

di Michael Soncin

Shoah, Antisemitismo e Antisionismo: urge una necessaria rilettura di termini e concetti

«È più facile scrivere un romanzo». Così si esprime Dario Calimani, presidente della Comunità Ebraica di Venezia, critico letterario, già Professore Ordinario di Letteratura inglese presso l’Università di Venezia, parlando a Bet Magazine del suo ultimo libro dove, partendo da accenni di carattere autobiografico, volge poi il timone verso tematiche difficili, quali la Shoah e la Memoria, come esse vengono discusse e – soprattutto – “rimproverate”. E quel “facile” risulta ben chiaro nel suo significato. Lui, un nipote della Shoah, ha vissuto sulla propria anima sin da bambino le atrocità del nazifascismo, riflesse nelle lacrime di sua madre Rita, nel padre Bruno, nel fratello Corrado. «Alla fine di un percorso culturale lungo una vita, ho sentito l’esigenza di ragionare nuovamente su quelli che sono i grandi dibattiti sull’ebraismo, rendendomi conto che siamo in bilico, non solo noi ebrei, ma tutto il mondo. Noi però abbiamo degli argomenti recenti e plurimi, che ci mettono ulteriormente in bilico, poiché non tutti hanno un problema come la Shoah con cui misurarsi da quando nascono, o il giornaliero problema dell’antisemitismo, un odio atavico che non si riesce a debellare. E poi c’è Israele, una patria che è la tua e al contempo non lo è, che ami e in cui non vivi, e su cui vieni interrogato e devi spesso prendere posizione, anche quando non vuoi, perché ti viene imposto».

Leggendo i suoi scritti si evince maggiormente che conoscere non è più sufficiente, non lo è mai stato, perché la società, anche quella che “sa”, è come se fosse anestetizzata, indifferente, assente di un’umana empatia, nel porsi nei panni dell’altro. Calimani, perciò, rompe la bolla di sapone in cui aleggiano gli indifferenti, gli inconsapevoli, scuotendo le coscienze, presentando dinnanzi a loro un messaggio atto a risvegliare le sensibilità dormienti. Non ci sono solo gli antisemiti consapevoli, ma vi è anche un mare sommerso di coloro che non sanno di esserlo, ed è su queste sottigliezze che il lettore dovrebbe soffermarsi maggiormente.

«Ma mi dica un’ultima cosa: se vi hanno perseguitato per tanto tempo, in ogni epoca, un motivo ci sarà pur stato?». È la terribile domanda fatta a Calimani da una regista della televisione, al termine di una visita guidata all’interno del quartiere ebraico di Venezia, dopo che le era stato spiegato un ventaglio di argomenti lungo i millenni: cosa fosse l’antigiudaismo cristiano, le false accuse di omicidio rituale, la cacciata dalla Spagna, i pogrom o la costruzione della figura del nemico nei momenti di crisi. A che cosa è servito spiegare? Praticamente a nulla.

Nel collage dei vari aneddoti c’è anche quello di una sua collega francesista, un’amica, politicamente molto a sinistra, che nel mezzo di una passeggiata afferma con altrettanta convinzione di non poter essere affatto antisemita, perché non lo riconosce come ebreo, «per lei, l’ebreo è un uomo come gli altri, indistinguibile dal resto dell’umanità».
E in questa passeggiata Calimani coglie «una velatissima e inconsapevole prospettiva antisemita», che nel testo spiega nel dettaglio. Evidentemente per molti la diversità è vista come un problema, e la si placa negando l’identità altrui, fino ad azzerarla, un dinamismo costitutivo anche dell’ideologia antisemita di matrice zarista e sovietica. Sarebbe davvero grave pensare che «il presupposto essenziale per il rispetto reciproco e la convivenza pacifica fra gli uomini è che essi siano tutti uguali», spiega Calimani.

La lista è lunga. C’è chi ha provato a scaricare sugli ebrei la responsabilità dell’Olocausto come lo storico Ernest Nolte; chi ha rimesso in scena ai giorni nostri direttamente dagli anni ‘30 il triste cliché del complotto giudaico, all’interno di un libro contenente una tesi aberrante sull’arte astratta; ancora chi come la Polonia non accetta le sue responsabilità per aver collaborato allo sterminio; chi a destra cita il comunismo per giustificare le azioni di Mussolini; ancora Israele, il classico capro espiatorio sul quale si sfoga il mascherato odio antiebraico, il mondo dell’intellighenzia col suo atteggiamento così distaccato, «troppo colto, troppo illuminato, che non può essere assolutamente sospettato di antisemitismo».
Sono veramente tanti i temi toccati, si potrebbe dire che nessuno degli ospiti invitati al banchetto sia stato dimenticato.

Dario Calimani, L’ebreo in bilico – I conti con la memoria fra Shoah e antisemitismo, Giuntina, pp. 153, € 14,00