La storia di Tullia

Libri

Dialogo tra nonna e nipote sull’ebraismo. Il libro è sicuramente anche questo, ma è anche qualcosa di diverso e di più. È la storia della vita di una ebrea milanese di nascita, ma davvero “cittadina del mondo”, la storia del suo impegno civile rigorosamente laico e pienamente ebraico. E attraverso le vicende personali e i ricordi di colei che è stata la prima donna a diventare presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, è quasi un secolo di storia italiana che si dipana sotto i nostri occhi. Guardati dal punto di vista della minoranza ebraica, ma proprio per questo, in maniera tale da riflettere pienamente tutte le particolarità e le caratteristiche di tutta la storia italiana.

Tullia Zevi è nata a Milano da una famiglia della buone borghesia ebraica, studia filosofia e frequenta il Conservatorio. Ha un padre che è un avvocato affermato ed un antifascista dichiarato, di ispirazione laica e repubblicana. Queste convinzioni saranno anche quelle di sua figlia e la porteranno a militare nell’antifascismo liberal-socialista e al Partito d’Azione.
A diciotto anni è in vacanza in Svizzera con la famiglia, quando in Italia vengono promulgate le leggi razziali. Questo significa, per la famiglia, l’esilio, prima a Parigi, e poi, quando anche in Francia cominciano a soffiare i venti di guerra, negli Stati Uniti, a New York.
Sono estremamente interessanti le pagine in cui Tullia Calabi (che proprio qui nel 1940 sposerà Bruno Zevi) racconta sia l’attività antifascista, i contatti con personaggi illustri dell’emigrazione italiana, da Garosci a Valiani, fino alla amicizia che la legherà per anni con Amelia Rosselli, sia vicende più personali. Infatti inizia a suonare in maniera professionale, e le capita di incontrare Leonard Bernstein e Frank Sinatra (il quale le rivolgerà delle avances piuttosto rozze tramite un omaccione della sua scorta).

Ed a New York inizia anche la professione che poi sarà la sua per molti anni, portandola a raccontare alcuni tra i momenti più significativi del dopoguerra, quella di giornalista.
Ed è come inviata di una agenzia di stampa “religiosa” (Religious New Service) che viene inviata seguire il processo di Norimberga, il momento in cui il mondo prende davvero coscienza di cosa sia stata la Shoah. E confessa che: “…delle cose viste e sentite a Norimberga non mi sono mai più potuta liberare”.

E la stessa agenzia giornalistica, quando Tullia Zevi rientra in Italia nel 1946, le chiede di occuparsi delle minoranze religiose presenti in Italia: ebrei, protestanti “storici”, evangelicals. Questo incarico le permette di approfondire la sua conoscenza in particolare dei valdesi, creando un rapporto di stima che riaffiora altre volte nel libro, in particolare durante gli anni della presidenza dell’Unione.

“Durante gli anni del mio esilio, a seguito delle leggi razziali, ero diventata particolarmente sensibile ai problemi e i destini delle minoranze. Come donna, come ebrea, come giornalista ho sempre pensato di impegnarmi non solo contro i tanti stereotipi antisemiti, ma per l’accettazione di tutte le diversità” scrive a questo proposito. E scopre anche che nell’Italia della ricostruzione ci sono fenomeni di intolleranza da parte di una chiesa cattolica che sta riassestando le sue posizioni. E lei ne scrive, suscitando “un certo rumore”.
Negli anni Sessanta Tullia Zevi inizia a collaborare con il quotidiano israeliano Ma’ariv. Non essendo israeliana può andare anche nei Paesi arabi ed intervistare i loro leader, da Nasser a Hussein di Giordania, dal re Hassan del Marocco a Bourguiba.
Ma, cosa curiosa esordisce sulle colonne del giornale israeliano come corrispondente per il processo Eichmann a Gerusalemme.

Diventata presidente dell’UCEI, sarà Tullia Zevi a portare a conclusione le trattative con lo Stato italiano per la firma dell’Intesa, che dal 1987 regola i rapporti tra Stato italiano e Comunità ebraiche.
Ed è gustoso l’aneddoto che ella racconta, quando, non soddisfatta di come si stava redigendo il testo dell’Intesa, interpella il giurista valdese che era stato l’artefice dell’Intesa sottoscritta dalla sua chiesa, e, con grande riserbo, si reca alcuni giorni a Torre Pellice per rivedere insieme a lui il testo.

Nel 1986 Tullia Zevi sarà una protagonista della storica visita del papa Giovanni Paolo II al ghetto e alla sinagoga di Roma, un momento senza precedenti e che segnò in modo evidente il nuovo corso dei rapporti tra Vaticano e mondo ebraico. La Chiesa Cattolica stava cambiando modo di guardare e di rapportarsi all’ebraismo, e quella visita segnò un punto di non ritorno.
Basti pensare che il ghetto di Roma fu istituito nel 1555 con la bolla papale “Cum nimis absurdum”, “Nulla di più assurdo” … che pensare alla convivenza di ebrei e cristiani con pari diritti…!

Nelle pagine di questo libro ritorna spesso la memoria, delle tradizioni di Israele, ma anche della Shoah. E ritorna la convinzione che : “Noi ebrei sopravissuti alla Shoah abbiamo dovuto imparare a coesistere con questa ferita. Ma la ferita si riapre ad ogni sollecitazione. Ci sono cose nella vita che non vanno dimenticate e non per un desiderio di vendetta, ma perché la conoscenza del passato è l’unico antidoto per la tutela dei diritti umani. E nuovi campi di concentramento possono tornare a esistere dovunque se i diritti di tutte le minoranze non trovano un terreno fertile sul quale attecchire”.
“E gli ebrei ricoprono lo scomodo ruolo di cartina al tornasole e coscienza critica della democrazia”.

Nel libro vi è molto altro ancora, il rapporto con la tradizione ebraica, con la fede, il ruolo delle donne nella società, il rapporto di questa nonna straordinaria con la giovane nipote, tutto sempre visto dalla prospettiva di un profondo radicamento nella propria ebraicità e da un grande senso di laicità nel rapporto con la società, perché, come dice una citazione di A. Koestler, che Tullia Zevi riporta: “L’ebreo è come una versione condensata dell’umanità”.

Tullia Zevi, con Nathania Zevi – Ti racconto la mia storia, Rizzoli – pp. 145 –
euro 16,50