La doppia vita di Miriam, che visse tra due mondi

Libri

di Marina Gersony

Majgull Axelsson
Majgull Axelsson

Credevamo si sapere tutto sull’Olocausto, credevamo che le testimonianze, i saggi, i romanzi, le poesie, i racconti e perfino i fumetti avessero sviscerato e analizzato in ogni dettaglio il genocidio perpetrato dalla Germania nazista nei confronti degli ebrei d’Europa e di tutte le categorie ritenute “indesiderabili”. Eppure il dolore e la tragedia non si esauriscono nella pur vasta ed esaustiva letteratura concentrazionaria che continua a rivelare fatti e situazioni inimmaginabili. Come il recente romanzo Io non mi chiamo Miriam della scrittrice e drammaturga svedese Majgull Axelsson, che oltre a sorprendere per la rara sensibilità e la notevole empatia con cui affronta uno dei capitoli più dolenti della storia d’Europa, ci fa sprofondare nella tragica realtà vissuta da un’altra etnia di Untermenschen, i rom, i sub-umani di cui le vicende drammatiche sono state probabilmente meno indagate e che si intrecciano inesorabilmente con quelle del popolo ebraico.
Come la storia di Malika, una ragazzina rom nata in un insediamento zingaro in Baviera, prelevata dai nazisti insieme al fratellino e a una giovane cugina. Dopo varie vicissitudini la giovane finisce in un gruppo di ebree durante il viaggio da Auschwitz a Ravensbrück e con sgomento scopre che ci sono ebrei che disprezzano i rom, anche se al tempo stesso immagina, sbagliandosi, di avere come ebrea più possibilità di sopravvivenza. Quando si troverà di fronte al cadavere di una donna ebrea, non ci pensa due volte a sfilarle il vestito e indossarlo di nascosto per assumerne l’identità. È una scelta istintiva, tutta sua, dettata dal terrore. Da quel momento sarà Miriam Goldberg.
La storia di Miriam, pur essendo immaginata e costruita dall’autrice sulla base di una puntuale documentazione, si rivela più che versosimile grazie alle emozioni che riescono a scuotere e toccare il lettore nel profondo. Autentici nel romanzo sono alcuni personaggi sinistri come Mengele, il famigerato dottore che uccide dopo indicibili torture il fratellino rom di Miriam con le sue perverse sperimentazioni “in nome della scienza”; come autentica è la turpe e ripugnante vigilatrice dei campi, la sadica Kapò Irma che nulla più possiede di umano.
Le pagine scorrono, con i pensieri di Miriam che si susseguono in un rigore interiore necessario per non perdere l’equilibrio mentale. I pensieri vanno domati, dosati e cacciati per non sprofondare in un inferno emotivo. I lager sono anche occasioni di sporadiche scintille di straordinaria umanità, come i legami che si stabiliscono via via con le amiche ebree, una in particolare, unite da un comune destino; amicizie fondamentali per non trasformarsi in Muselmänner, i prigionieri-zombi dall’unico desiderio di essere cancellati per sempre dalla faccia della terra.

Io non mi chiamo miriam-mediaMiriam non rivelerà mai a nessuno la sua vera identità di rom, neppure quando sopravvive alle nefandezze di Auschwitz e di Ravensbrück. Una volta libera, sola, abbandonata a se stessa e con un futuro tutto da inventare in un luogo a lei estraneo, decide di mentire, di mantenere la sua rubata identità ebraica anche dopo l’accoglienza calorosa nella Svezia del dopoguerra, dove tuttavia i rom, o tattare, sono ancora ferocemente perseguitati e considerati feccia della società. La sua nuova vita sarà all’insegna di una finta armonia: nei giorni, mesi e anni che verranno dovrà rimuovere, soppesare, fingere e soprattutto stare all’erta, senza mai potersi fidare di nessuno e cercando di convivere con un passato da cancellare. Dopo essersi creata una famiglia tutta sua e uno status sociale rispettabile, verrà il momento in cui il peso della menzogna diventa insostenibile: Miriam si sente una traditrice, ha tradito il suo popolo e la sua lingua, una vergogna intima che la opprime. Di fronte al bracciale con il nome inciso che le regala la famiglia ignara in occasione del suo ottantacinquesimo compleanno, le sfuggirà la verità tenuta nascosta per settant’anni: «Io non mi chiamo Miriam», sussurra questa elegante signora anziana svedese che decide di rivelare alla giovane nipote la sua vera identità. Del resto, come confida Miriam alla ragazza, «non si può dire tutto! Non se si è della razza sbagliata e si ha vissuto sulla propria pelle l’intero secolo».

 

Majgull Axelsson, Io non mi chiamo Miriam,
Iperborea editore, traduzione Laura Cangemi,
pp 576, 19,50 euro