Il genocidio degli armeni in Turchia, nel 1915, fu il paradigma della Shoah: un modello per la Germania degli anni Trenta

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di Ugo Volli

[Scintille. Letture e rilettura] Spesso a chi difende le posizioni ebraiche nello spazio pubblico dei giornali e della rete accade di dover rifiutare le banalizzazioni che accostano il genocidio subito dal popolo ebraico a tantissime altre storie di morte e crudeltà, dai crimini dei colonialisti e degli schiavisti alle stragi prodotte dalle guerre e perfino a quelle delle epidemie. L’unicità della Shoah non è un articolo di fede, ma un dato di fatto: non è mai accaduto nella storia dell’umanità un progetto volontario e programmato di distruggere un popolo intero fino all’ultimo uomo, donna o bambino, estendendo la caccia ben al di là dei propri confini, senza badare ad altro (religione, posizione politica e sociale, ecc.) per la selezione delle vittime se non alla loro provenienza etnica.

Ma la Shoah  ha precedenti in imprese politiche criminali per certi versi analoghe. L’esempio più importante è il genocidio subito dagli armeni fra il 1915 e il 1919 per opera del governo dei “Giovani Turchi” (con una premessa sanguinosa già negli anni Novanta dell’Ottocento, decisa dal sultano Abdul Hamid II). Il progetto perseguito e anche in certi casi dichiarato dai governanti ottomani era di liquidare il popolo armeno, al fine di rendere omogeneo religiosamente ed etnicamente l’impero ottomano.

 

Non si trattava per loro di eliminare la “razza” dando la caccia a ogni singolo armeno (molte donne furono assegnate agli harem o cedute come schiave sessuali a uomini turchi, parecchi bambini furono convertiti all’Islam e messi negli orfanotrofi, perché si assimilassero) ma “solo” di distruggere la cultura e la vita degli armeni. Di fatto furono uccisi più dei due terzi degli armeni che vivevano nell’Impero, ben oltre un milione di persone. Tutto ciò è noto, ormai largamente condiviso e ben descritto nei libri di storia del periodo.

 

Quel che è meno noto è il rapporto fra Genocidio armeno e Shoah, raccontato nei particolari da un libro importante di Stefan Ihrig, che dirige il centro di studi germanici ed europei dell’Università di Haifa: Giustificare il genocidio – La Germania, gli Armeni e gli Ebrei da Bismark a Hitler, appena pubblicato dall’editore Guerini. Dai tempi di Bismark la Germania fu alleata dei Turchi, per decenni ha minimizzato e giustificato le stragi del 1890 e il genocidio del 1915 e degli anni successivi. Quel che pochi sanno è che in quegli anni vi erano 25.000 militari tedeschi nell’esercito ottomano, alcuni in posizione di altissimo comando, certamente corresponsabili delle stragi. Il mondo politico e anche religioso e l’opinione pubblica erano informati e lo furono molto largamente dopo la guerra. La maggior parte delle posizioni espressa dalla stampa e dai politici prima cercò di negare il genocidio, poi di fronte ai fatti che emergevano lo giustificò come una scelta opportuna e necessaria, perché gli armeni erano “come gli ebrei”, una “razza inferiore” che sfruttava economicamente i turchi e aveva cercato di tradirli in guerra.

I turchi avevano fatto bene, pensava la maggior parte dell’opinione pubblica, a sterminare quei “super-ebrei”. Così Kemal Atatürk aveva potuto resistere all’Intesa e costruire uno stato forte. Insomma per tutti gli anni Venti e poi fino al nazismo al potere, il genocidio armeno fu descritto come il modello di successo di quel che anche la Germania doveva fare. Quello di Ihrig è un libro molto serio e documentatissimo, che rintraccia non solo nel genocidio armeno ma nelle reazioni tedesche di fronte a esso la matrice della Shoah e del consenso che essa ebbe nella società tedesca.