Chiude in bellezza l’XI Festivaletteratura di Mantova,

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Chiude in bellezza l’XI Festival letteratura di Mantova, oltre 60mila presenze in 5 giorni, con il fascino di una splendida città d’arte come sfondo e l’emozione di incontrare per le vie del centro o ai tavolini del caffè, i protagonisti della letteratura del terzo millennio, di solito così difficili da avvicinare.

Difficile è infatti non solo avvicinare ma anche raggiungere David Grossman al Bosco Fontana, il parco naturale alla periferia di Mantova in cui lo scrittore ha scelto di incontrare i propri lettori in una passeggiata conclusasi alla Palazzina Gonzaga dove, alternando ebraico e italiano, ha letto alcuni brani di una delle sue opere più toccanti, Che tu sia per me il coltello, ed ha rivelato come camminare e osservare il mondo sia uno dei segreti della sua scrittura.

Altro personaggio rivelatore, e attorniato dalla folla, del Festival è l’ebreo americano Jonathan Ames, il cui perfetto mix tra genio e follia gli è valso il paragone con il grande Bukowsky. Show man, fotomodello per gioco, pugile dilettante, reporter attratto dal lato oscuro dell’esistenza, lo scrittore, dopo l’esordio italiano con il romanzo autobiografico Veloce come la notte, ha affrontato il pubblico reduce da oltre un’ora di coda con un’intervista/duello svolta dal conduttore radiofonico Massimo Cirri.

Il conflitto arabo/occidentale compare nel romanzo vagamente autobiografico di Mohsin Hamid Il fondamentalista riluttante, in cui Changez, giovane pakistano, analista finanziario innamorato e in carriera a New York, vede cadere i propri sogni colpiti dai sogni americani di vendetta contro l’11 settembre. Il tragico evento ha trasformato Changez in un pericoloso fondamentalista, che nel romanzo narra la sua storia ad un americano incontrato a Lahore così come Hamid ha narrato il proprio conflitto di identità a Gad Lerner.

Affascinante il ritratto di Primo Levi delineato nei diversi incontri di “Scuola Levi”, in cui l’intellettuale italiano raffigurato da diversi “docenti”, da Marco Belpoliti, a Davide Ferrario, a David Bidussa, a Stefano Levi della Torre, ha rivelato i suoi lati più inediti di chimico, razionale, epicureo, laico e quasi miscredente, ma soprattutto di magnifico narratore.

L’appuntamento con Festivaletteratura è per il 2008, dal 3 al 7 settembre.

La sofferenza di Dio – Incontro
con Stefano Levi Della Torre e Paolo De Benedetti


Un pubblico silenzioso e assorto ha affollato il Chiostro del Museo Diocesano durante l’incontro con Paolo De Benedetti, docente di giudaismo, e Stefano Levi Della Torre, artista e scrittore, che in un profondo, acuto e talvolta ironico e divertente saggio a due voci hanno affrontato la magnificenza della figura di Dio mettendone in risalto, ancor prima dell’onnipotenza e della indiscutibile supremazia, la debolezza e la fragilità.

L’immagine di un Dio tormentato, lacerato dal dubbio e dalla sofferenza potrebbe apparire paradossale e quasi dissacrante, ma in realtà racchiude in sé una delle massime espressioni di trascendenza, quella “voce di silenzio sottile” con cui Dio si manifesta ad Elia, un’immagine di grandezza sublime, malinconica e quieta, paragonabile, in senso letterario, al profondo concetto dell’Infinito leopardiano.

Infatti, il Dio consapevole e capace di assumere le proprie responsabilità, di riconoscere le proprie debolezze, di scendere a patti con l’uomo su un tema forte come la distruzione di Sodoma e Gomorra, dichiarandosi pronto ad evitarla in base alla percentuale di cittadini “giusti” che vi possano essere presenti, un Dio così distante da ogni concezione religiosa che pretende una divinità trionfante e facile a trovare un colpevole a sua discolpa, possiede una forza straordinaria, manifestata proprio attraverso la scelta di assumere su di sé la sofferenza umana, senza ricorrere allo stratagemma della tentazione diabolica o della supremazia divina.

In questa visione insolita e di non facile comprensione, Dio si stacca da ogni stereotipo storico e ideologico: non possiede la brama di conquista delle divintà pagane, cui veniva attribuita la responsabilità della vittoria o della sconfitta militare, non condivide lo spirito di sacrificio del Cristo crocifisso, non colpevolizza l’uomo con un destino soggetto al meccanismo di causa/effetto, come vorrebbe il Dio giudice dell’ebraismo.

Ed è questa piena consapevolezza dell’errore a costituire la grandezza di Dio, creatore unico ma non perfetto al primo colpo, stupito delle sue stesse doti e talvolta incerto sulle scelte, capace anche, giunto al settimo giorno, di ritirarsi dal suo “lavoro” di creatore nella quiete dello Shabbat, lasciando che il mondo prosegua da solo la sua strada.

E così, questo Dio così simile a noi, questo Dio che ha visto Auschwitz, che conosce lo sguardo di ogni essere vivente tormentato dalla sofferenza, riesce ancora, al di là di ogni limite imposto dai dogmi e dalle ideologie, ad affascinarci e a conquistarci.