Liliana Segre al Memoriale della Shoah. L’importanza e la consapevolezza di ricordare la tragedia ebraicaLiliana Segre, memoriale della Shoah,

Eventi

di Paolo Castellano

Domenica 2 febbraio si è svolto un incontro al Memoriale della Shoah di Milano, con Liliana Segre, per ricordare gli ebrei che il 30 gennaio del 1944 partirono dal Binario 21 della Stazione Centrale verso il campo di concentramento di Auschwitz. La serata è stata organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio, Fondazione Memoriale della Shoah e Comunità ebraica di Milano. Ad accogliere il numeroso pubblico, un coro che ha intonato alcuni canti ebraici. Molte le figure note e istituzionali presenti: Milo Hasbani (presidente della Comunità ebraica di Milano), Rav Alfonso Arbib (rabbino capo di Milano), Milena Santerini (neo-commissario nazionale contro l’antisemitismo), Renato Saccone (questore di Milano), Lamberto Bertolè (presidente del consiglio comunale di Milano), Roberto Cenati (presidente dell’ANPI di Milano),  Roberto Jarach (presidente del Memoriale della Shoah di Milano), Paolo Rumiz (giornalista e scrittore), Vinicio Caposela (musicista), Philippe Daverio (critico d’arte e conduttore televisivo).

A introdurre e condurre l’evento, lo storico Giorgio Del Zanna della Comunità di Sant’Egidio: «Come ogni anno la Comunità di Sant’Egidio rinnova questo appuntamento legato alla memoria del 30 gennaio 1944, quando Liliana Segre salì sui convogli destinati ad Auschwitz». Del Zanna si è poi scusato con quei cittadini che non sono riusciti ad entrare al Memoriale a causa dei posti esauriti in sala. «Questo popolo della memoria si raduna qui fedelmente da molti anni. Tutto è cominciato più di vent’anni fa, nel 1997, quando i  giovani studenti della Comunità di Sant’Egidio percepirono che la testimonianza di Liliana Segre invitava non solo a non dimenticare il passato ma anche a non essere indifferenti davanti  alle ingiustizie del presente».

Durante l’evento è intervenuto anche Roberto Jarach, presidente del Memoriale della Shoah, che ha esposto al pubblico alcuni dati: 42.600 visite nell’ultimo anno che diverranno 50.000 nel 2020. Jarach ha poi detto che entro l’anno verrà ultimata la biblioteca del Memoriale per consentire agli studiosi di approfondire le loro indagini storiche sulla Shoah. «Sono soddisfatto dell’operatività del Memoriale. Naturalmente sono anche soddisfatto per le numerose testimonianze che visitatori, anche internazionali, ci rilasciano tutte le volte. Ci danno un riconoscimento che ci sprona a fare sempre meglio; ma soprattutto devo ringraziare Liliana Segre».

Lottare contro il pregiudizio

Dopo l’introduzione del rappresentante della Comunità di Sant’Egidio, ha preso la parola Rav Alfonso Arbib, rabbino capo della comunità milanese: «Grazie per questa iniziativa, che ormai ci accompagna da più di vent’anni. Una volta il preside di una scuola ebraica importante, quella di Lione, mi ha raccontato che i suoi allievi avevano creato un percorso in cui si camminava ‘all’interno della storia’ del Novecento.  Quando finì, chiese ai suoi alunni come fare per non percorrere più quel percorso». Rav Arbib ha dunque invitato a conoscere e studiare i fatti del passato per comprendere meglio le sfide del presente.

«Il percorso dell’antisemitismo europeo è lunghissimo e ha avuto un picco enorme nel Novecento in Germania e in Austria. Dunque ci chiediamo cosa si debba fare per non ripercorre più quella strada. Credo che nessuno di noi abbia la risposta», ha specificato il rabbino capo, aggiungendo che l’antisemitismo di oggi diffonde ancora già noti stereotipi sugli ebrei, legati alla loro presunta “intelligenza, ricchezza, infedeltà e insensibilità”.

«Quest’idea dell’ebreo ‘crudele’ continua ad essere ripetuta. Poco tempo fa, in un importante giornale italiano, è comparso un articolo che parlava della religione ebraica come una religione ‘vendicativa’. Siamo al vecchissimo antigiudaismo cristiano che il cattolicesimo ha superato. Però rimane un’idea del genere. Rimane l’idea dell’indole vendicativa degli ebrei. Ieri, qui a Milano, c’è stata una manifestazione in cui si è detto che lo Stato di Israele è uno stato assassino e di criminali. Quest’idea è terribile in realtà perché quando si ha a che fare con degli assassini, a quel punto tutto è permesso,  tutto è giustificato». Rav Arbib ha dunque affermato come sia necessaria un’azione culturale che guardi non solo alla memoria della Shoah, ma che si soffermi anche sugli aspetti positivi dell’ebraismo, per eliminare i pregiudizi.

L’antisemitismo è ancora tra noi

Milena Santerini, nominata da poche settimane commissario nazionale per la lotta all’antisemitismo, ha ribadito che al giorno d’oggi serve impegnarsi di più contro l’odio anti-ebraico, frequentando luoghi come il Memoriale e ascoltando le parole dei testimoni della Shoah come Liliana Segre.

«Sono stata nominata da poche settimane coordinatrice nazionale per la lotta contro l’antisemitismo. Io credo che continuerò a fare quello che ho sempre fatto. Naturalmente con più forza, con più energia e soprattutto rappresentando il governo italiano. Questo mi dà certamente una grande dignità, una grande forza. Oggi l’antisemitismo ha tante forme. C’è l’antisemitismo che nasce dall’antico anti-giudaismo cristiano e quello che oggi si trova nel cattolicesimo tradizionalista, nemico di Papa Francesco e nemico del Concilio. C’è poi quello di stampo tradizionale e quello della destra, che ancora fa riferimento ai motivi ‘razziali’. C’è quello di matrice islamica e poi c’è quello ‘culturale’ che non si vergogna di fare battute e di ripetere antichi pregiudizi su Internet». La Santerini ha dunque invitato a vigilare e a non discutere quale di queste forme di antisemitismo sia la più grave. Sono tutte gravi e le dobbiamo combattere. «Io credo che la memoria, come abbiamo visto in questi giorni, in questi mesi, in questi anni, serva al nostro scopo, anche grazie al contributo di Liliana Segre».

Come funziona la Memoria

Lo scrittore triestino Paolo Rumiz ha inoltre riflettuto sul tema della Shoah e sui paragoni riguardo ad Auschwitz. «Vorrei dire soprattutto che il viaggio ad Auschwitz è importantissimo. Ho visto dei ragazzi che sono tornati da lì sentendosi completamente diversi da ciò che erano all’andata. È come un grande viaggio iniziatico che da quel momento li fa entrare nell’età adulta e li rende differenti, a livello quasi di incomunicabilità con i loro compagni di classe che non sono andati. Vorrei dire ai ragazzi che sono tornati da questo viaggio che tutto ciò rischia di essere inutile se poi noi non abbiamo la forza, il coraggio, le armi retoriche, le parole giuste per rispondere a coloro che urlano le ragioni del nazismo nei treni, nelle strade e negli autobus».

La testimonianza di Liliana Segre

Le celebrazioni in ricordo delle vittime della Shoah deportate ad Auschwitz dal Binario 21 di Milano si sono concluse con la testimonianza della sopravvissuta alla Shoah e senatrice a vita Liliana Segre. Quest’ultima ha ringraziato i presenti e gli organizzatori. Ha inoltre affermato di sentirsi più sola nell’attività del Ricordo dopo la scomparsa di “due persone molto importanti” come Piero Terracina e Franco Schoenheit. La senatrice ha poi ripercorso alcuni episodi della sua deportazione verso i campi di concentramento nazisti, alla giovane età di 13 anni. In particolare la prigionia nel carcere di San Vittore a Milano.

«Ero nata in via San Vittore e avevo vissuto sempre da quelle parti di Milano. Nelle vie vicine ero andata in bicicletta e vedevo da fuori, così come adesso, il muro basso della prigione senza mai pensare a chi stava dentro a quelle carceri. Ero una ragazzina sciocca qualsiasi, che girando per le aiuole di Piazza Aquileia non si interessava di che cosa c’era lì dentro». La Segre ha raccontato poi di quando venne incarcerata dentro a quelle mura e la situazione si ribaltò: era lei che osservava le persone girare in libertà per le strade di Milano.

«Noi non avevamo il diritto di uscire, se non a un orario fisso. Mi ricordo che si poteva farlo nel pomeriggio. Sennò si stava sempre dentro alla cella che non era chiusa, ma non si poteva uscire. Io mi ricordo le guardie italiane che portavano una volta al giorno dei bidoni con una specie di rancio molto brodoso, con delle verdure che galleggiavano. Le guardie avevano il terrore di parlare con noi. Tutti avevano il desiderio di conoscere cosa stava succedendo là fuori. Sicuramente anche i secondini facevano una vita da carcere», ha affermato la Segre, ricordando però anche le buone azioni della guardia Andrea Schivo a cui è stata recentemente dedicata una pietra d’inciampo.

Poi venne il giorno della deportazione. Era il 30 gennaio del 1944. Gli ebrei milanesi vennero ammassati sui vagoni di un treno come “vitelli per il macello”. La sopravvissuta alla Shoah ha raccontato che i preparativi per la partenza furono drammatici. Non si conosceva la destinazione di quel viaggio. «C’era un silenzio fortissimo. Il silenzio era quasi insopportabile e attanagliava tutti i pezzi del tuo corpo. Bisognava prepararsi per un’ignota destinazione e prendere un treno». Quando le milizie nazifasciste obbligarono gli ebrei a lasciare il carcere milanese, dalle celle si alzarono grida di compassione e di pietà. Erano i carcerati. «Loro furono uomini capaci di pietà. Questa parola pietà che io cerco sempre di insegnare ai ragazzi quando vado a parlare nelle scuole, è una parola sconosciuta che non si usa e che non è di moda. C’è chi riceve questa pietà, ma ancor più arricchisce chi la prova verso un altro. E questi detenuti furono per me indimenticabili. Fuori dalle loro celle non avevano niente, eppure ci riservarono benedizioni di incoraggiamento».

La senatrice ha poi voluto concludere la sua testimonianza celebrando l’attività di Primo Levi nel tramandare gli orrori di Auschwitz, campo di sterminio nazista in Polonia dove venne imprigionata anche Liliana Segre. «Il mio maestro ideale, Primo Levi, ha descritto la liberazione di Auschwitz in un modo eccezionale ne La Tregua attraverso quattro soldati russi a cavallo che arrivarono al campo che era già senza i nazisti, in un momento in cui non c’era più niente da liberare. Tuttavia i soldati hanno scoperto, aprendo quel cancello, un abominio che nessuno conosceva o che faceva finta di non conoscere. Da quel momento è diventato pubblico, nonostante ci sia ancora oggi qualcuno che lo nega».

(Photo Credit: Alberto Ciullini)