All’Accademia di Brera una tavola rotonda sulla Memoria e la proiezione del docu-film “Kinderblock”

Eventi

di Ilaria Ester Ramazzotti

Come perpetuare la memoria della Shoah attraverso una modalità di comunicazione che non sia ripetitiva e che possa essere accolta dalla nostra società liquida come uno spunto di riflessione? E ancora: dopo vent’anni di dibattito, che tipo di approccio è oggi necessario per non svuotare il Giorno della Memoria del suo significato? Come rinnovarne lo spirito adesso che il testimone, inevitabilmente, sta passando dai sopravvissuti a coloro che non hanno un ricordo diretto di quegli avvenimenti? Queste le domande e i temi che hanno dato il via alla tavola rotonda proposta dall’Accademia di Belle Arti di Brera lo scorso 31 gennaio, nell’ambito dell’evento Yesterday Now, al Centro Brera Critica Sociale a Milano, con l’organizzazione della professoressa Barbara Nahmad e con la collaborazione del professor Stefano Pizzi e di Stefano Carluccio.

Al dibattito, moderato da Barbara Nahmad, hanno partecipato l’onorevole Emanuele Fiano, figlio del sopravvissuto ad Auschwitz Nedo Fiano, Stefano Levi Della Torre, saggista e docente al Politecnico di Milano, Elena Loewenthal, scrittrice e traduttrice e Ruggero Gabbai, regista cinematografico. Alla conclusione della tavola rotonda, la seconda parte dell’evento è stata dedicata alla presentazione e proiezione del docufilm “Kinderblock. L’ultimo inganno” di Ruggero Gabbai e Marcello Pezzetti.

“Oggi analizzeremo lo stato di salute del Giorno della Memoria a vent’anni dalla sua istituzione” ha introdotto Barbara Nachmad. Nell’aprire il dialogo sulle possibili risposte agli interrogativi che hanno animato l’incontro, “ci viene in aiuto il libro di Elena Loewenthal Contro il Giorno della Memoria del 2014”. Come è successo, a proposito della sua istituzione, che dalla storia dell’Europa si è finiti a parlare solo del popolo ebraico? “Questo mio libro è nato da un disagio crescente, non sono contro il Giorno tout cour: mi si chiamava a parlare di storia e cultura ebraica, a volte persino di cucina ebraica, nel Giorno della Memoria. Questa ricorrenza stava diventando un atto di omaggio agli ebrei che in qualche modo poneva distanze. Io sono disposta a celebrare questa giornata come italiana e come europea, ma non come ebrea. Quella è storia europea, è quella che ho subito ed è il contrario di ciò che avrebbe dovuto essere. Noi ebrei, negli anni della Shoah, siamo stati la negazione della storia. Come riconoscere un passato che voleva annientarci? È stata una storia europea, non ebraica”. “La memoria di per sé non è morale, non è un vaccino – ha aggiunto -. Ricordare è necessario, ma la memoria va interpretata per esercitare l’etica, visto che sul passato bisogna riflettere”.

“David Bidussa in ‘L’ultimo testimone’ – ha citato Emanuele Fiano -, dice che la memoria non è un accadimento, ma è un atto che si compie tra vivi al fine di costruire una coscienza pubblica. A 75 anni dall’apertura del cancello di Auschwitz, noi abbiamo bisogno di quella pubblica coscienza per l’oggi. La memoria come testimonianza di per sé non serve a vaccinarci. Oggi la violenza fra essere umani non è stata debellata. Rivediamo quella radice millenaria dell’odio contro l’altro nutrita dalla voglia di additare come nemico chi sta al di là dal proprio confine, un confine eretto per la difesa del sé. Il nazionalismo è tuttora una risposta al proprio disagio, alla propria paura e rabbia”.

“Il problema della memoria è legato all’obbligo di descrivere la verità – ha proseguito -. Diceva Hannah Arendt che il suddito ideale di un regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’individuo per cui la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso, non esiste più”. Obiettivo del Giorno della Memoria deve allora essere quello di comunicare “ciò che è successo per opera di esseri umani, e che pertanto può accadere di nuovo”.

Sui modi di comunicazione, vista la mancanza di parole di fronte all’indicibile del quale “mio padre non parlava mai a noi bambini, devo dire che sono state le fotografie parlare di più: immagini scioccanti – ha sottolineato Fiano -, e poi anche racconti e i libri”. “In futuro ci sarà una parte della società che non sarà figlia di europei, di occidentali, ma verranno da storie molto diverse. Allora avremo il compito di raccontare storie molto complicate e di congiungerle, anche se non ci saranno più i testimoni”.

“L’idea di memoria deve andare nel verso della ricerca della verità – ha sottolineato anche Stefano Levi Della Torre -. Qual è l’insegnamento di Auschwitz”? Un insegnamento che deve essere universale, senza che qualcuno si senta semplice spettatore dei fatti accaduti o estraneo alla storia, che presto non sarà più solo la storia europea e degli europei. “Un grande problema del Giorno della Memoria è come rivolgersi anche a chi non è originariamente europeo. Bisogna allora cercare le vie per elaborare l’insegnamento di Auschwitz, ma anche l’universalità di questo insegnamento”. “Anche l’impegno a parlare degli ebrei va elaborato. Il nazismo e fascismo parlavano degli ebrei come del nemico assoluto. Il genocidio viene infatti dall’idea di estirpare un male assoluto”.

Non si deve tuttavia fare l’errore di esporre quei fenomeni storici come se fossero stati un’opposizione fra due fazioni, nazisti ed ebrei. Va insegnato “in modo universale come può nascere l’idea di un nemico assoluto e altresì va insegnato come è accaduto che gli ebrei siano stati eletti a essere sempre il nemico”. “Per creare il nemico assoluto bisogna fantasticare che sia molto potente – ha spiegato -, perché il nemico assoluto implica la paura”. Pensiamo per esempio ai Protocolli dei savi di Sion, all’idea degli ebrei come sobillatori dei subbugli del mondo. “L’insegnamento di Auschwitz è quindi sul come si inaugura l’idea di nemico assoluto”, sottolinea Levi Della Torre, aggiungendo che, parallelamente, nel nazismo e nel fascismo c’era il meccanismo della propria vittimizzazione di fronte al nemico assoluto: c’era l’idea di esserne perseguitati e quindi l’idea di dover sterminare questo nemico. Anche oggi, “nei populismi di destra in Europa c’è una vittimizzazione di sé”.

Dall’altro lato, il processo che porta al genocidio richiede anche la creazione di una idea del nemico come ‘disgustoso’ e quindi ‘eliminabile’. Primo Levi in ‘I sommersi e i salvati’ parla della ‘violenza inutile’ inflitta ai prigionieri del lager, ma anche dell’uso di una ‘violenza utile’, del bisogno dei nazisti di “rendere repellenti le loro vittime per far sì che la gente non si identificasse umanamente con loro”. “La paura istiga la strage – ha evidenziato -, mentre l’umiliazione della vittima, il renderla miserabile, è lo strumento per poterla eliminare” senza suscitare reazioni. Acrobazia del Giorno della Memoria è così anche quella di spiegare l’universalità di certi meccanismi, di come in contesti diversi si possa sempre creare il “nemico assoluto”.

A partire dal percorso iniziato con il docufilm Memoria, uscito nel 1997, Ruggero Gabbai ha poi introdotto la proiezione di Kinderblock. “È stato un tragitto piuttosto lungo visto che Memoria è stato pensato nel 1995 – spiega il regista -. Abbiamo intervistato circa cento ex deportati, molti dei quali non avevano mai parlato prima della loro esperienza, in anni in cui era ancora Primo Levi, lo scrittore per eccellenza della Shoah, ha potare il fardello del testimone per eccellenza”. “Per me la memoria è sempre stata il racconto dei testimoni – evidenzia -, che è altresì una modalità di lavoro molto ebraica, perché il racconto è l’unica cosa che ti attacca alla storia”. Se dei testimoni raccontano ciò che hanno visto e vissuto, e questo “viene anche ripetuto da altri testimoni, abbiamo un conferma sia dal lato scientifico e storico che morale”.

Kinderblock è stato un film difficile da realizzare, sotto tanti punti di vista. Si parla di quello che accadeva ai bambini di Auschwitz, ai pochi che entravano vivi, perché generalmente i bambini venivano subito mandati alle camere a gas. Abbiamo due testimoni d’eccellenza, Tati e Andra Bucci, che ricordano il cugino Sergio De Simone. In questo film anche il topos ha la sua importanza: da Napoli si arriva a Fiume, poi alla Risiera di san Sabba, poi tragicamente ad Auschwitz per finire ad Amburgo”. “È un film che ci fa capire dove porta la malvagità umana, non di mostri, ma di normali esseri umani”.

“Il Giorno della Memoria serve, ma noi ebrei non dobbiamo cascare nel tranello della musealizzazione e della retorica – ha aggiunto -. Il Giorno parla a noi oggi, discendenti dei sopravvissuti e soprattutto ai giovani che dovranno fare scelte importanti”.

 

Il documentario “Kinderblock. L’ultimo inganno”

Il documentario Kinderblock, proiettato in anteprima all’Orfeo lo scorso del 21 gennaio (qui il trailer), con la regia di Ruggero Gabbai e di cui è autore lo storico Marcello Pezzetti, è stato prodotto dalla Fondazione Museo della Shoah in collaborazione con Rai Cinema e con la Goren Monti Ferrari Foundation. Narra la storia di Sergio De Simone, nato a Napoli, e delle due cugine, Andra e Tatiana Bucci.

La tragedia dei bambini nella realtà del campo di concentramento di Auschwitz viene trasmessa attraverso le testimonianze di sopravvissuti che all’epoca erano bambini. I loro ricordi, vividi e al contempo frammentari, sono le tessere di un mosaico complesso e doloroso che fa emergere con forza narrativa le atrocità dei campi di sterminio, quali la sperimentazione medica sui bambini condotta dal dottor Mengele, l’Angelo della Morte.

Un susseguirsi di eventi porta il piccolo Sergio a quel fatidico passo avanti che rappresenta l’ultimo inganno: nell’illusione di ritrovare la propria madre, Sergio va incontro alla più atroce delle sperimentazioni e infine alla morte, insieme ad altri 19 bambini in uno scantinato della scuola di Bullenhuser Damm ad Amburgo.