Le relatrici dell'evento 'Donne nella Shoah'

Al Palazzo della Regione un incontro per ricordare le donne nella Shoah

Eventi

di Nathan Greppi
Sebbene quasi tutti abbiano studiato la Shoah e sappiano quanto sia importante ricordarla, pochi sanno quale il ruolo delle donne in questo tragico evento: storie di vittime ed eroine, di internate e partigiane, spesso dimenticate. Di questo e molto altro si è parlato giovedì 8 marzo, in occasione della Festa della Donna, all’incontro Punti di luce: Le Donne nella Shoah, tenutosi al Palazzo della Regione Lombardia.

L’incontro, organizzato dall’Istituto Yad Vashem e dall’Associazione Figli della Shoah, era indirizzato soprattutto agli insegnanti delle scuole superiori, poiché nel corso dell’evento è stata firmata una Dichiarazione Comune al fine di promuovere seminari e corsi di formazione sull’Ebraismo e l’Olocausto, sia in Lombardia che in Israele.

La prima a parlare delle relatrici (tutte e 4 donne) è stata Iael Nidam Orvieto, direttrice dell’Istituto di Ricerca dello Yad Vashem, la quale si è chiesta “Perché parlare di donne nel contesto della Shoah?” Ha proseguito spiegando che “L’interesse specifico per le donne non è recente, già lo storico Emanuel Ringelbrum, internato nel Ghetto di Varsavia, parlò dell’eroismo della donna ebrea’. Fece progetti di intervista dentro il ghetto nel ’41-’42. Vi sono storiche e sociologhe che pensano che la donna ebrea correva un doppio pericolo, in quanto ebrea e in quanto donna.”

In seguito ha spiegato che per capire meglio l’argomento occorre guardare i ruoli culturali e sociali delle donne ebree, all’epoca molto diversi a seconda dei luoghi: “In Polonia c’è una prima fase di violenza in cui gli uomini vengono uccisi per strada, perché considerati più pericolosi. Nella seconda fase, quella delle deportazioni, è il contrario, poiché la donna, soprattutto se incinta, non ha speranze se non di finire nelle camere a gas o come ‘cavia’ per esperimenti pseudoscientifici. Alcuni vissero con il senso di colpa poiché affidarono i figli alle nonne che però furono deportate, e chi emigrava erano spesso uomini giovani, perché si pensava che correvano più rischi. Le donne invece sono sempre per strada e a mandare avanti la famiglia.” Ha aggiunto che le donne erano quelle “che danno la speranza quando il marito viene licenziato o emigra. La donna diventa il sostegno unico della famiglia.”

Nell’Europa Orientale ciò era ancora più radicale: qui, infatti, molti uomini ebrei mantenevano uno stile di vita tradizionale, studiavano nelle yeshivot e parlavano solo l’Yiddish anziché la lingua del posto; le donne al contrario studiavano in scuole normali, e parlando il polacco riuscivano a fuggire dal ghetto e a nascondersi più facilmente, anche per il fatto di non essere circoncise. Spesso esse facevano la staffetta tra i ghetti, portando cibo e armi ai partigiani. La Orvieto ha spiegato anche che quelle che restavano costituivano delle unità surrogate di famiglie, poiché i parenti erano morti o dispersi.

Dopo di lei ha preso la parola Roberta Ascarelli, Presidente dell’Istituto Italiano di Studi Germanici: “Vorrei affrontare il problema da un altro punto di vista,” ha spiegato. “La battaglia dell’identità, raccontare l’io, lottare per un futuro diverso della donna nella società.”  Parte citando Se questo è un uomo di Primo Levi, e facendo notare un dettaglio particolare: nelle parti dedicate alle donne egli non usa verbi, le donne non sono legate all’azione nel suo racconto, sono solo coloro che subiscono privazioni. Tuttavia, secondo la Ascarelli quello di Primo Levi non è un punto di vista maschilista, semplicemente pensava che all’uomo fosse imposta l’azione e alla donna la privazione fisica. “La memorialistica femminile è impedita da molte cose. La donna era molto condizionata dal sospetto nei suoi confronti, vi era una morale privata e familiare da salvaguardare.”

L’intervento di Liliana Segre

In seguito è salita sul palco un ospite molto attesa: Liliana Segre, Presidente dell’Associazione Figli della Shoah e nominata senatrice a vita a gennaio. La Segre ha rilasciato un breve ma toccante discorso in cui ha parlato della sua esperienza a Birkenau, dove venne internata: “Sono stata una ragazzina, giovanissima,” ha detto. Ha spiegato che all’inizio, quando arrivarono le Leggi Razziali, non capiva cosa stava succedendo perché aveva solo 8 anni, “poi man mano che le cose sono peggiorate, che sono stata una richiedente asilo, che sono stata una clandestina sulle montagne, che sono stata arrestata, che sono stata in prigione, non avevo ancora capito perché ero piccola, perché ero stupida, non avevano capito tante altre persone, che cosa fosse e che cosa avrei visto con i miei occhi. Ma quando sono entrata nel lager femminile di Birkenau, […] sono entrata in questo mondo preparato per noi a tavolino. Lo sterminio organizzato, il male altrui, come da quando ho letto Primo Levi ho fatto mio questo pensiero: ‘Nello stupore per il male altrui.’ È uno stupore che non ti abbandona, perché non riesci a credere a quello che vedi. Sei entrata nel mondo creato a tavolino per distruggere un popolo, colpevole d’esser nato.”

Parlando delle donne nel lager, ha citato sempre Primo Levi chiedendosi “Come si fa a descrivere la donna nuda, rapata, tatuata, rasata che deve stare nuda davanti alla selezione dei soldati in divisa, davanti a quel medico che aveva fatto, si, il Giuramento di Ippocrate, che era Mengele, o altri come lui. Come sta la donna? E com’era il mio rapporto con gli altri? Io ero terrorizzata dai distacchi. Quando avevo lasciato alla stazione la mano di mio papà, e man mano che i giorni passavano, e che capivo a fatica dove ero arrivata, senza capire perché, non volevo essere amica di nessuno, non volevo amare e non volevo essere amata, non accettavo più distacchi. E questo qualche volta mi succede ancor adesso quando sono vecchia, perché già solo una partenza per le vacanze, quando devo salutare qualcuno che per tre mesi non vedrò, io dico sempre ‘no, no, non salutiamoci,’ i distacchi sono rimasti distacchi. E quando ti tolgono anche questo, diventi quella lupa affamata che quando è ora di dormire dormi vestita, perché le tue compagne potrebbero toglierti i vestiti, e diventi qualche volta quella che i tuoi assassini vogliono che tu diventi: un numero. E l’amicizia diventa una bene così prezioso che pochi se lo possono permettere.”

Il valore delle Testimonianze femminili

Infine, dopo una breve pausa, ha preso la parola l’ultima relatrice, Birte Hewera, responsabile del Sud Europa per il Centro Studi dello Yad Vashem, la quale ha mostrato varie diapositive e video per spiegare l’importanza delle testimonianze: “Vorrei partire da un dato di fatto,” ha detto, “siamo tutti d’accordo sul fatto che oggi  c’è quella che potremmo chiamare ‘una crisi delle testimonianze’, non ci sono più molte persone intorno a noi che possono raccontarci cosa voleva dire essere ebrei nella Shoah. Dobbiamo chiederci ‘come facciamo a tenere in vita la memoria della Shoah quando non c’è nessuno che possa raccontarcelo?” Subito dopo ha illustrato vari sistemi: oltre a far leggere i libri e le lettere, molte testimonianze sono state digitalizzate sotto forma di video e registrazioni. “Se lavoriamo con questi formati digitali, servono competenze nell’interagire con esse oltre a capire il rapporto tra la forma e il contenuto.”

Il dibattito sulla donna non è terminato con l’incontro: infatti, l’8 marzo è stata inaugurata sull’argomento una mostra al Memoriale della Shoah di Milano, che durerà fino al 28 marzo.