Una lanterna magica per capire la modernità

Arte

di Daniele Liberanome

È un periodo di vero tripudio per le istituzioni culturali israeliane: dopo la risistemazione del Museo di Israele a Gerusalemme -notevolmente ingrandito e impreziosito-, a Tel Aviv è stata inaugurata il mese scorso la nuova ala del Museo di Arte Contemporanea, il padiglione Amir, firmato dall’architetto Preston Scott Cohen: una costruzione visionaria, destinata a dettare la linea in fatto di costruzioni museali, 18.500 mq dedicati all’arte israeliana e a mostre temporanee, come quella grandiosa dedicata a Anselm Kiefer, forse tra i più grandi artisti di oggi. Un “museo che non dorme mai”, un Non-Stop Museum, perfetto per una Non-Stop City come Tel Aviv. La controrisposta da Gerusalemme non si è fatta attendere.

Fino al 30 aprile, rimarrà aperta Magic Lantern: un’esposizione che, presentando recenti acquisizioni di opere di artisti contemporanei, israeliani e internazionali, dimostra come la collezione permanente del Museo di Israele continui a crescere. Una mostra questa che sembra tagliata apposta sulla nostra realtà di milanesi e di ebrei, uno spaccato del nostro mondo preso e spostato di peso a Gerusalemme.

Dovremmo cominciare con l’osservare l’opera Per Speculum, se non altro perché l’autore, Adrian Paci, già una star, vive da anni a Milano anche se è originario dell’Albania. Talento precoce, profondo amante di Leonardo e dell’arte pre-ottocentesca, ha dovuto fare i conti con la guerra e con l’immigrazione clandestina, rimanendone fortemente influenzato. In un suo video, Centro di Permanenza Temporanea, alcuni ragazzi -dai volti segnati-, si avviano uno dopo l’altro verso la scaletta di un aereo, la salgono con attenzione, e poi scoprono che non porta a nessun aereo, e che loro rimangono a terra, mentre attorno è tutto un atterrare e partire. Paci esprime così il grido degli immigrati, a Milano e non solo, contro la reale impossibilità di tornare nei propri Paesi di origine e contro le enormi difficoltà di inserimento in Paesi come l’Italia, ricchi di possibilità difficili da afferrare. Per Speculum, inserito nella mostra di Tel Aviv, è un video dall’impatto meno immediato, più intellettuale. Gli attori sono bambini, che prima rompono un vetro perfettamente ovale in cui era riflessa la loro immagine, e poi, saliti su un albero, ne utilizzano i frammenti per riflettere parte di se stessi e per dirigere la luce verso lo spettatore. L’opera si rifà a una frase dal sapore messianico che Paolo di Tarso indirizzò ai Corinzi: “ora vediamo in uno specchio, in modo confuso; ma allora vedremo faccia a faccia”. Paci, ateo convinto, vuole così invitare a una piena autocoscienza individuale, a liberarsi da dogmi e da vincoli esterni; indica che bisognerebbe farsi primi attori della propria vita, casomai basandosi sulle tradizioni (l’albero, una metafora della genealogia), e, in ogni caso, sulle proprie forze, abbandonando bambagia e vita tranquilla.

Da non perdere è anche il video di Maya Zack Living Room (“salotto”, oppure “stanza vivente”), molto ben inserito in una mostra dedicata alla Lanterna Magica, ossia al primo strumento di proiezione di immagini che l’uomo abbia costruito. Inventato nel XVI secolo, è costituito da un vetro concavo, che raccoglie la luce di candele (oggi si potrebbero usare le lampadine), e la indirizza verso un unico foro sul quale venivano appoggiati vetri dipinti, che così diventavano delle rudimentali diapositive. Venne usato prima da illusionisti per creare dei fantasmi, ma poi anche da artisti. Maya Zack, con l’aiuto del più avanzato sistema di illusione ottica a disposizione -un computer che ricrea immagini 3D di grande dimensione-, ricrea in bianco e nero un tipico appartamento di una famiglia ebraica nella Berlino degli anni Trenta. Nel sottofondo si sente la voce di Manfred Nomberg, che scappò da quella città nel 1938 conservando vivo il ricordo della sua casa, di tutti gli arredi e gli oggetti. Nel video, mentre Nomberg racconta la sua storia, l’appartamento si anima, gli oggetti si spostano, cadono, vengono risistemati, finché cadono nella confusione più totale. Tutto ciò senza che si veda mai un attore. L’opera di Zack nasce dalla visita dell’artista in Slovacchia, nella casa in cui era cresciuta sua nonna e che trovò in uno stato desolante. Quel che la colpì immensamente -come per molti altri visitatori dei Paesi in cui i nazisti organizzarono le loro stragi, o in altri da cui gli ebrei furono scacciati con la forza-, è il vuoto, l’assenza di ogni vita dove prima l’attività era frenetica. La Zack ha voluto ricostruire quel mondo, utilizzando il meglio della tecnologia, ma l’ha lasciato Juden rein, senza uomini, che i nostri nemici hanno eliminato oppure messo al bando.

Altra presenza quasi italiana in Magic Lantern e al Museo di Israele è quella della brava  Anila Rubiku, anche lei albanese, diventata ormai milanese. La sua Casa Italiana-Superleggera è una riuscita metafora del mondo in cui viviamo. In una stanza buia, la Rubiku sistema la struttura di una casa molto tradizionale (due piani, tetto a tegole, finestre con persiane…), ricostruita in metallo leggero; è completamente chiusa, ma dall’interno esce una luce, calda e accogliente. Sembra la casetta del Mulino Bianco, della famiglia perfetta nel Bel Paese, splendida per chi la vede da lontano, specie se proviene da un luogo infelice; ma è tutta apparenza, perché nella casa non si può entrare, perché è una finzione fragilissima, che può volar via da un momento all’altro. In questi mesi, quel che esprime con poesia la Rubiku è sotto gli occhi di tutti.

La nostra parte ebraica, di convivenza e di utilizzo positivo della memoria, verrà invece stimolata dal lavoro di Luis Camnitzer, fuggito nel 1937 dalla Germania e da allora formalmente residente in Uruguay; in effetti è un giramondo perché espone o ha esposto in grandi musei, dal Moma al Met agli Uffizi di Firenze e molti altri. Le sue opere sono di solito non facili a leggersi, ma non in questo caso: si tratta della fotografia di una persona di mezza età, distesa per terra -un ammasso confuso sullo sfondo-, che guarda pensosa verso l’alto. Sulla sua faccia dei modellini in plastica, le tracce visibili del suo passato: una piccola casa, alberi, animali. Insomma il mondo che fu. Ma questa è la posizione ideale per guardare in alto, senza limitazioni, verso l’immensità del cielo.