di Stefania Ilaria Milani
Renoir, Rodin, Courbet, Matisse, Canaletto, Chagall, Dix, Picasso, e non solo: 1406 dipinti che costituiscono una collezione stimata oltre 1 miliardo di euro, tristemente denominata il “tesoro di Hitler”, sono oggi esposti al Museo d’Arte di Berna, a cui sono andate in eredità dopo la morte del suo ultimo proprietario, Cornelius Gurlitt, deceduto il 6 maggio scorso all’età di 81 anni. Parte delle opere – al momento sembra almeno 458 – fu sequestrata dai nazisti a famiglie ebree, mentre molte altre ai musei dei paesi europei occupati dalla Wehrmacht e dalle WaffenSS. Il lascito, che il legale di Gurlitt, Christoph Edel, comunicò il giorno dopo la morte del suo assistito, era giunto come un fulmine a ciel sereno: «mercoledì 7 Maggio siamo stati informati dagli avvocati che il Kunstmuseum eredita tutte le opere del collezionista tedesco – aveva affermato il direttore del Museo d’Arte Matthias Frehner. Non avevamo mai avuto contatti con lui. Si tratta evidentemente di un regalo eccezionale e generoso, ma anche di una grande sfida per noi».
Un tesoro inestimabile accumulato durante la Shoah Cornelius aveva ereditato i quasi 1500 dipinti in questione dal padre, Hildebrand Gurlitt, gallerista tedesco classe 1895, che si autodefiniva ‘un mezzosangue che non ha mai collaborato con il regime’, ma che invece accettò di buon grado, durante la guerra, l’infame proposta rivoltagli dal ministro Göbbels: “tu trovami in giro per l’Europa i maggiori lavori dell’arte ‘degenerata’, sequestrali, vendili, guadagnaci parecchio e tienine una parte da destinare al museo che il Führer intende istituire a Linz; in cambio, noi chiuderemo un occhio sul fatto che la madre di tuo padre fosse ebrea”. Ovviamente così fece. E nel febbraio del 1945, a ridosso del bombardamento di Dresda, Hildebrand nascose il bottino in un castello nel sud della Germania e da lì nell’appartamento di Monaco in cui la moglie Helene andò a vivere con il figlio Cornelius nel 1961. A 29 anni, in seguito all’incidente stradale che provocò la morte del padre, il giovane Gurlitt si trovava in possesso, legittimo o meno che fosse, del celeberrimo “Tesoro Nazi”: il grande patrimonio segreto di opere d’arte rimasto ignoto sino al 2012, quando i poliziotti della dogana, insospettiti dai nove mila euro in contanti che gli avevano trovato addosso due anni prima su un treno di ritorno dalla Svizzera, fecero irruzione nell’alloggio di Monaco in cui ancora dimorava. «Non me l’aspettavo, ora i quadri mi mancano terribilmente – aveva dichiarato a un settimanale nazionale subito dopo il blitz -. La gente, quando li guarda, vede soltanto soldi. Mentre io ho vissuto con loro, fin da quando giocavo tra i dipinti da bambino. Sono la cosa che ho amato di più in vita mia». Una vita solo con i suoi quadri Nei 100 metri quadrati al quinto piano di un palazzo vicino al Giardino Inglese, nel cuore dello Schwabing (ricco quartiere residenziale di Monaco), Cornelius visse 81 anni senza assicurazione medica, un numero di previdenza sociale né una pensione. Senza aver mai lavorato, senza sussidi. Al di fuori di un mondo che non comprese e che comunque conobbe solo tramite quello che ne lesse all’interno dei libri della sua biblioteca. L’ultima volta che assistette a uno spettacolo in televisione risale al 1963. Niente internet. Niente computer, non gli servì, scriveva a macchina. Nessun matrimonio all’orizzonte, se non quello quasi religioso con le opere che gli abitavano in casa. Non usava parlare con nessuno. Non gli interessava niente, niente fuorché morire con i suoi quadri – malgrado, va ricordato, la Germania nel 1998 si era ’impegnata con l’Accordo di Washington ad aiutare gli eredi ebrei a ritrovare le loro proprietà depredate dai nazisti. Non voleva, in nessun caso, compagnia. Non comprò altri pezzi, tuttavia: ogni tanto, ne vendette legalmente qualcuno per motivi di sussistenza o per pagare le terapie necessarie al suo disturbo cardiaco. La sua vita, la vita di un vecchietto a prima vista sereno e comune, corrispondeva a una missione ben precisa: limitarsi a salvare ciò che quel padre, teneramente (e ingiustamente) ricordato nelle vesti di un glorioso eroe moderno, gli lasciò. Missione fallita. «Questo Stato da cui non ho mai voluto niente e con cui non ho intenzione di parlare» gli portò via nel 2012 Renoir, Rodin, Courbet, Matisse, Canaletto, Chagall, Dix, Picasso, sopravvissuti alla pazzia crudele del Reich. Cornelius Gurlitt è stato un uomo che non esiste. Ora c’è soltanto l’arte, in visita dal mercoledì alla domenica ore 10-17.