L’acqua della vita

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Inaugurato il nuovo mikvè di via Guastalla.

L’occasione era importante, l’inaugurazione del mikvè presso il Tempio centrale di via Guastalla, completamente rinnovato, dopo tanti anni di progetti e lavori; ma neppure le ottime organizzatrici si aspettavano una tale affluenza di pubblico femminile. In più di trecento hanno infatti risposto all’invito dell’Ufficio rabbinico e hanno così, la sera del 5 febbraio, visitato il nuovo mikvè, raffinato e funzionale, in cui l’osservanza della mitzvà sarà compiuta con tutto il comfort, la privacy e la tranquillità che questo momento spirituale richiede. Nella sala della vasca Lizzy Piha rispondeva, con grande simpatia e competenza, alle domande curiose e un po’ imbarazzate delle signore che chiedevano spiegazioni halakiche, ma anche pratiche, sulle motivazioni e le condizioni per l’uso del mikvè. Poi un sontuoso buffet, preparato da Afshin Kaboli con la sua Pimento delicatering, ha accolto le ospiti nella Sala Jarach; è qui la convivialità ha preparato gli animi alle lezioni che, nella sala del Tempio, per una volta interamente occupato dalle donne, si sono susseguite per più di due ore.
Dopo che Nicoletta Salom, in rappresentanza delle organizzatrici, ha rivolto saluti e ringraziamenti alle persone e alle istituzioni che hanno reso possibili i lavori, fra tutte la famiglia Sabbadini che, con la sua generosa offerta, ha contribuito alla realizzazione del mikvè dedicandolo ai propri cari, rav Arbib ha introdotto gli shiurim, confessando la difficoltà di comprendere il significato dei concetti di “purità” e “impurità” legati al precetto del mikvè. Anche i più grandi Chachamim si sono chiesti come mai la condizione di “impurità” sia legata a momenti particolarmente felici e sacri della vita ebraica come il matrimonio e il parto.

Nella tradizione ebraica la mitzvà del mikvè è considerata una dei chukkìm cioè le mitzvòt di cui non ci è stato rivelato il significato, ma i rabbanim ritengono che ci sia un riferimento all’acqua primordiale, l’acqua della creazione; dal mikvè si esce completamente rinnovati, come una persona nuova.
Rav Arbib ha ricordato che il mikvè è legato alla santità della famiglia ebraica, che secondo le parole dei Maestri è l’unico Santuario, Beth HaMikdash, a non essere mai stato distrutto.
Un altro concetto che si lega all’impurità è quello dell’imperfezione, che secondo i nostri Maestri è condizione per l’educazione: solo che sa di essere imperfetto, quindi perfettibile, può educare un bambino, altrettanto imperfetto e perfettibile, altrimenti l’educazione non avrebbe senso. Così la madre ebrea, prima morà dei suoi figli, attraverso il mikvè prende coscienza della propria impurità, imperfezione e perfettibilità.
La parola e il luogo sono stati, dopo l’introduzione del rabbino capo, interamente lasciati alle donne e così abbiamo ascoltato dalla voce di Bessy Garelik, Vera Cohenca e Anna Colombo lezioni che hanno fatto riferimento alla Kabbalà, allo Shulchan Aruch, alla Torà in modo originale e profondo. Le lezioni sono state intervallate da suggestive canzoni in yiddish, cantate da Miriam Camerini, che si è accompagnata con la chitarra, Giovanna Neiger e Leslie Franco; protagonista la donna, una ragazza che dialoga con la mamma sul desiderio di avere uno sposo, la danza del matrimonio, la ninna nanna per un bambino.

Bessy Garelik ha parlato di quanto possa essere romantica la halachà, entrando intimamente nei rapporti tra uomini e donne; il sesso, cui si è nella società laica abituati a pensare in termini spesso edonistici se non proprio volgari, assume nell’ebraismo il valore di momento centrale di santità della famiglia. “Dall’unione delle labbra in un bacio nascono gli angeli”, ha detto, “dall’unione dei corpi nascono le anime, che portano le scintille del divino nel mondo”. La Kabbalà parla poi del mondo messianico, nel quale la donna sarà la corona dell’uomo e, ha puntualizzato con un pizzico di orgoglio femminino la morà Garelik, “la corona sta più in alto”.

Vera Cohenca ha presentato una animazione in Power Point (sì, si può parlare di Torà anche con gli strumenti più moderni!); la relazione doveva essere tenuta da Levana Tuito, che è dovuta partire improvvisamente per Israele per problemi di salute del padre: alla sua guarigione Vera ha dedicato la lezione.
Ha ricordato come per la creazione dell’uomo sia stata usata la terra, mentre la donna è stata tratta dalla costola dell’uomo, materiale più elevato: per questo la donna è portatrice di una fede e di una spiritualità più alta, che la esime dall’obbligo di molte mitzvot. Ma la donna ha il privilegio di fare una volta al mese la mitvzà del mikvé la cui acqua, che deve essere di fonte o piovana, rappresenta il legame con la sfera superiore del divino e, come la Torà, scende all’umanità per santificarla.

La lezione conclusiva, di Anna Colombo, ha preso spunto dal fatto che il 5 febbraio era Rosh Chodesh Adar, il capo mese di Adar in cui cade Purìm e i Maestri hanno insegnato che: Mishenichnàs Adàr marbìm besimchà, “da quando inizia il mese di Adàr si deve aumentare la gioia”. La lezione è stata quindi imperniata sulla Simkhà, e in particolare sul rapporto che vi è tra la gioia di Purìm e la simkhàt hanissuìn, quella per il matrimonio; e sul tema della famiglia come radice della continuità del popolo ebraico.
“La lingua ebraica” ha spiegato la morà Anna, “o meglio, il lashòn hakòdesh, la lingua della Torà, ci aiuta spesso ad entrare nella profondità dei concetti. Ed è da un vocabolo che vorrei partire: dalla parola Kallà, che significa ‘sposa’ ma anche ‘nuora’. Un padre e un figlio possono dunque riferirsi alla medesima donna con lo stesso appellativo affettuoso: Kallatì. Il termine deriva da un vocabolo forse più noto: Kol, ‘tutto’. Kallà significa dunque ‘colei che ti completa’ e Kallatì, la ‘mia completezza’. Un padre non è completo finché non vede il proprio figlio pronto a portare nel futuro la famiglia che egli ha iniziato, e un figlio non è completo finché non trova la sua compagna, quella parte di sé che gli manca fin dal primo giorno della sua vita”. E ancora: “Nel momento in cui la sposa si immerge nell’acqua del mikvè, si immerge simbolicamente nella Torà millenaria, entra nella storia di Israele. In quel momento assume il compito di portare la sua famiglia e il popolo ebraico nel futuro”.