Il viaggio studio in Israele: un progetto della Scuola ebraica

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Realizzato grazie alla Fondazione per la Scuola il viaggio studio in Israele.

Dopo tanti anni, siamo riusciti a riproporre agli allievi della Seconda Superiore l’esperienza di un viaggio studio in Israele. Yemin Orde, il villaggio sulle pendici del Carmel che era stato individuato da Laura Calabi quando aveva organizzato il precedente progetto, portato avanti per tanti anni da Davide Nizza, come preside della Scuola ebraica di Milano, è stato sostituito dalla Havat Ha-Noar Htzioni, che sorge nel cuore di Gerusalemme, ma lo spirito che aveva portato a quell’iniziativa è rimasto uguale: permettere agli allievi della scuola di trascorrere in Israele, insieme ai loro compagni e insegnanti, un’esperienza di approfondimento delle proprie radici e di contatto con una realtà multiforme e sempre in movimento come quella israeliana.
Sono felice di essere riuscita a riprendere questa importantissima iniziativa, grazie anche al contributo della Fondazione per la Scuola e sono sicura che l’esperienza di quest’anno si ripeterà e diventerà uno dei momenti significativi della vita di chi frequenta la nostra scuola.
Per noi insegnanti accompagnatori (Manuela Deneb Mauri ed io) è stato un modo di interagire con gli allievi in condizioni diverse da quelle, molto codificate, della scuola; i ragazzi si sono comportati bene, hanno apprezzato ciò che è stato proposto, hanno praticamente tutti tratto beneficio dall’esperienza in tutti i campi (maggiore facilità nell’esposizione in ebraico, approfondimento del senso di appartenenza e di identità, maturazione nei rapporti con i compagni e con le istituzioni). Ma più delle mie parole, credo siano significative quelle dei genitori, dei colleghi e dei ragazzi stessi.
Ester Kopciowski

I ragazzi: Questo viaggio si è rivelato un gran successo. Mi aspettavo soprattutto di maturare sotto alcuni aspetti che so di non avere ancora del tutto sviluppato, di imparare a parlare più fluentemente l’ebraico finora sperimentato solo durante le interrogazioni a scuola. Di questi due obiettivi, è stata soprattutto la lingua ebraica a darmi maggior soddisfazione; per quanto riguarda il maturare, non so bene, forse cercavo qualcosa che non poteva essere migliorato come speravo.
Di questo soggiorno ci sono stati alcuni aspetti che mi hanno colpito in modo particolare, soprattutto lo stile di vita che conducono i ragazzi al villaggio Goldstein a Gerusalemme. Hanno una vita indipendente: sono in stanza con altri amici, la mattina e il pomeriggio studiano, hanno un capogruppo che li controlla e spesso capita di dover svolgere dei turni di cucina, oppure innaffiare le piante, spazzare la strada, lavare le stanze. Noi in qualche modo abbiamo sperimentato questo stile di vita.
Il rapporto con i miei compagni, pur essendo già molto forte, conoscendoci quasi tutti dai tempi dell’asilo, si è rafforzato, essendoci estraniati per un periodo dalla quotidianità scolastica e collaborando in un luogo completamente diverso dalla scuola. Ho rivalutato molte persone sulle quali avevo un pregiudizio e ho scoperto alcuni lati negativi di alcune delle persone a me più care.
Sono d’accordo riguardo ad un eventuale ritorno in Israele da parte delle future classi seconde, perché è davvero un’esperienza che difficilmente ricapiterà, visitare il Paese da un altro punto di vista rispetto a quello delle vacanze, mare spiaggia e discoteca in agosto.

I genitori: Fin dall’inizio, quando ancora si parlava di una possibilità di mandare i ragazzi in viaggio di istruzione in Israele, mi è sembrata un’occasione da non perdere. Alessandro mi è sembrato contentissimo del viaggio. L’ho trovato anche un po’ cambiato, adesso mi chiede se deve sparecchiare e mi ringrazia per ogni cosa.
Questo viaggio è stato molto importante dal punto di vista educativo e di crescita dei ragazzi e ha aiutato anche noi genitori a vederli in maniera diversa, riconoscendo loro quasi una maggiore fiducia e indipendenza, visto che tutto si è svolto per il meglio e senza incidenti o particolari problemi. Hanno visto un Israele che non conoscevano, hanno imparato tanto sulla storia del Paese, sulla sua cultura e sulle sue reali problematiche. Hanno inoltre dimostrato di saper collaborare tra di loro e di volersi bene, di avere uno spirito di gruppo.

Gli insegnanti: Per quanto i ragazzi abbiano avuto poche lezioni di lingua e grammatica ebraica, quasi tutte le attività sono state svolte in lingua ebraica e tradotte all’interno del gruppo dai ragazzi di madre lingua. Questa impostazione ha creato una serie di effetti “collaterali” positivi. Innanzi tutto ha fatto capire a chi non parla l’ebraico in casa e che non lo sente mai al di fuori della scuola, che la lingua ebraica è una lingua viva.
Questo concetto non sempre è così chiaro ai ragazzi che non hanno legami con parenti che vivono in Israele. Il secondo “miracolo” che ho trovato, è che i ragazzi si sono come “sbloccati” e non si vergognano più di parlare in ebraico, anche se sanno che probabilmente sbaglieranno la morfologia o altro all’interno della frase. Hanno acquistato sicurezza nell’espressione orale perché hanno capito che solo tentando posso essere sentiti e capiti.