di Dalia Fano, responsabile JOB
Il lavoro autonomo viene spesso idealizzato come una via di scampo, un modo per liberarsi da ciò che non funziona. Ma togliersi il capo di torno non basta: come si passa dall’impulsività alla concretezza di un business plan?
“Voglio mollare tutto”: fuga o scelta consapevole?
“Voglio mollare tutto.”
Un pensiero ricorrente, soprattutto quando ci troviamo sotto pressione, in un ambiente che ci va stretto o quando intuiamo che dentro di noi ci sono risorse inespresse. È un pensiero potente, che può accendere desiderio, coraggio, ma anche reazioni impulsive.
Spesso è proprio in quei momenti che inizia a farsi largo l’idea del lavoro autonomo, come unica via di uscita da un contesto percepito come limitante, soffocante, frustrante.
Lo slancio del cambiamento.
Nel tempo della disillusione lavorativa e dell’idealizzazione dell’autonomia, sempre più persone immaginano la via del lavoro indipendente come soluzione definitiva: “Basta capi, basta orari, voglio fare da me.”
Ma siamo davvero di fronte a una scelta libera e consapevole? Stiamo davvero scegliendo, o stiamo solo reagendo?
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La sottile differenza tra fuga e scelta
Nel nostro immaginario, il lavoro autonomo è spesso associato alla libertà: nessun capo, orari flessibili, possibilità di seguire le proprie inclinazioni. Tutto questo può essere vero.
Ma può anche essere un’illusione, se quella scelta nasce dalla fatica più che dalla motivazione, dalla frustrazione più che dalla progettualità.
Chi lascia il lavoro dipendente per mettersi in proprio, a volte lo fa sull’onda di un impulso: un bisogno urgente di sollievo, più che un piano chiaro.
Ed è qui che si gioca una differenza fondamentale:
Sto andando verso qualcosa o sto solo cercando di allontanarmi da ciò che mi fa male?
Spesso, la risposta è: entrambe le cose. E va bene così, a patto di rendersene conto.
La trappola della reattività
La reattività è quella risposta automatica, rapida, istintiva che mettiamo in atto di fronte a un disagio.
Nel lavoro, si traduce in frasi come:
• “Non ce la faccio più, devo cambiare.”
• “Questo non fa per me.”
• “Voglio lavorare senza un capo.”
Sono reazioni comprensibili. Ma come ci ricorda la psicologa Rachel Schechter (The Guardian, 2021):
“A lot of the pressures people feel come from their own beliefs – about making mistakes, for example, or not being seen as good enough. ”
Non è solo il contesto esterno a generare malessere. Spesso sono le nostre convinzioni più profonde: paura di non essere all’altezza, aspettative irrealistiche, bisogni emotivi inascoltati.
Questo schema può emergere anche in altri ambiti — relazioni, famiglia, gestione del tempo, denaro. Reagiamo in automatico, mossi dall’urgenza di andarcene. Ma poi arrivano dubbi e rimpianti.
Non abbiamo scelto davvero — abbiamo solo cercato sollievo.
Quando questo schema si ripete, rischia di guidare anche decisioni importanti, come quella di lasciare un lavoro.
Se c’è fretta, è più probabile che si tratti di una fuga.
Se immaginiamo solo un “altrove” indistinto, forse serve una pausa, non un salto nel vuoto.
Il lavoro autonomo è un’altra complessità.
Chi sceglie la strada freelance o imprenditoriale, si ritrova in un contesto in cui:
• libertà da costruire, non è garantita;
• solitudine decisionale è costante;
• assenza di confini tra tempi di vita e lavoro;
• mancanza di tutele, se non create attivamente.
Serve struttura interna, disciplina, consapevolezza, determinazione.
E chi agisce per reazione, spesso non ha ancora quegli strumenti: rischia così di ricreare le stesse dinamiche che voleva lasciarsi alle spalle — solo con altri nomi.
Perché non tutte le spinte al cambiamento ci guidano verso soluzioni durature o coerenti con chi siamo, soprattutto se agiamo in fretta o sotto pressione.
Facciamo un esempio:
“Non ce la faccio più, mollo tutto e mi metto in proprio.”
Se questa decisione nasce solo dalla fatica del momento (senza un piano, senza analisi, senza aver considerato le proprie risorse), rischia di portarci in un’altra situazione difficile: più incerta, più stressante, più solitaria. E dopo un po’, potremmo sentirci frustrati come prima — o anche di più.
Non perché il lavoro autonomo sia sbagliato, ma perché non ci siamo chiesti con chiarezza:
• Cosa voglio davvero costruire?
• Che bisogni sto cercando di soddisfare?
• Cosa mi serve per affrontare davvero questo cambiamento, dentro e fuori?
Se queste spinte diventano più chiare, possiamo:
• distinguere un impulso momentaneo da un desiderio autentico,
• evitare scelte reattive,
• dare concretezza ai nostri passi (es. esplorare opportunità, fare un business plan, parlarne con qualcuno, e provarci per gradi),
• scegliere, invece che scappare.
In breve:
Più ci ascoltiamo con lucidità, più aumentano le possibilità che quel cambiamento ci porti davvero qualcosa di buono.
Una pratica di self-coaching: consapevolezza prima dell’azione
Abbiamo visto che non sempre una decisione nasce da un’unica motivazione chiara.
Spesso è un mix di fattori diversi: la voglia di cambiare, la stanchezza per una situazione che si trascina, il desiderio di esprimere meglio chi siamo, o di avere più autonomia nel modo in cui lavoriamo. Anche una spinta mista è legittima. L’importante è riconoscerla.
È normale. E va bene così.
Non serve giudicare queste spinte, né aspettare di avere tutto perfettamente chiaro. Ma è utile fermarsi un attimo e osservarle, per capire da dove arrivano e dove potrebbero portarci.
Ecco un semplice esercizio di self-coaching per fare chiarezza e orientare con più lucidità i prossimi passi:
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🔍 1. Esplora la componente di fuga
• Cosa voglio lasciarmi alle spalle?
• Cosa mi pesa?
• Che parte di me si sente ignorata in questo momento?
• La mia insoddisfazione riguarda solo il lavoro o si riflette anche in altri ambiti della mia vita?
• Ho già agito così in passato? Cosa è successo dopo?
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🌱 2. Esplora la componente di scelta
• Cosa mi attira, mi accende nel cambiamento?
• Che possibilità nuove vedo in me?
• Come mi vorrei vedere tra cinque anni? E tra tre, due anni, e tra sei mesi?
• Qual è il prossimo passo da compiere, e quello successivo?
• Ho un piano d’azione?
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⚖️ 3. Trova l’equilibrio
• In percentuale, quanto del mio desiderio è “via da” e quanto è “verso”?
• Cosa succede se non faccio nulla per ora? Cosa cambia se rimando?
• Posso trasformare questa spinta in un progetto, anche piccolo?
• Qual è il prossimo passo?
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✨ Nota bene:
La fuga non è un errore. È spesso la prima forma di sopravvivenza.
Ma da sola non basta. Solo se diventa consapevole, può trasformarsi in direzione e azione.
💡 Se noti che la reattività si manifesta anche in altri ambiti, può essere utile allenare una presenza più stabile. Strumenti come la pratica della mindfulness possono aiutarti a osservare pensieri e reazioni senza esserne travolto.
E se senti che la fatica è troppa, puoi chiedere aiuto.
Parlarne con una persona fidata, un professionista, un coach, un counselor, uno psicologo — o rivolgerti a noi di JOB — può alleggerire la pressione e riaprire uno spazio di pensiero.
Sarà più facile, poi, decidere un passo alla volta e dare forma a un nuovo scenario.
Dall’ascolto alla direzione
Chiarirsi le idee sull’approdo possibile — qualunque esso sia — permette di trasformare l’energia del disagio in direzione.
Cambiare non significa necessariamente mettersi in proprio.
Potrebbe significare cercare un nuovo impiego da dipendente, ma con caratteristiche più allineate ai nostri valori e attitudini.
Oppure, sì: potrebbe esserci il desiderio concreto di costruire qualcosa di proprio.
In questo caso:
• fare chiarezza sull’idea imprenditoriale,
• sviluppare un business plan,
• raccogliere informazioni,
• confrontarsi con chi ha già fatto quel passo
• e magari iniziare gradualmente, mentre si è ancora assunti,
può dare più solidità e serenità alla transizione.
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In sintesi
Non c’è una risposta giusta per tutti.
Il lavoro autonomo non è la soluzione universale, così come non lo è il lavoro dipendente.
L’importante è riconoscere se ci stiamo muovendo per desiderio o per fuga, per costruire o per scappare.
A volte le due cose convivono.
Ma più ne siamo consapevoli, più la nostra scelta sarà autentica.
Immagine in alto: Copyright: 2015 CC BY-NC-SA 3.0 BR Guilherme Santos