Nuove idee e obiettivi per la crescita della “casa comune” di tutti gli ebrei

di Ester Moscati

Alex Kerner, nuovo shaliach del Keren Hayesod a Milano,  si presenta alla Comunità e racconta i progetti per il sostegno della popolazione più fragile di Israele e per rafforzare i legami e la cooperazione con la Diaspora

È nato in Argentina, ha fatto l’alyià a 16 anni, ha studiato storia e relazioni internazionali all’Università ebraica di Gerusalemme per conseguire poi Master e Dottorato a Tel Aviv. È Alex Kerner, nuovo shaliach del Keren Hayesod a Milano.
Lo abbiamo incontrato.

Che cosa significava per te, da nuovo immigrato, Israele? Come ti sei inserito nel nuovo Paese?
Ho costruito la mia casa in Israele non solo come risultato di un grande processo storico che penso sia inevitabile, ma come esito dell’educazione che ho ricevuto a casa. Mia nonna, insieme ad altre donne della comunità ebraica di Buenos Aires, la città dove sono nato, erano tra quelle che hanno cucito la prima bandiera israeliana che sventolava sull’Ambasciata israeliana nella capitale dell’Argentina. I miei genitori erano tra i donatori del Keren Hayesod negli anni ‘60, mi hanno mandato al Bnei Akiva… Quello che io ho scelto è stato di realizzare l’ideale sionista e fare l’alyià. Quando avevo 14 anni, chiesi ai miei genitori di emigrare in Israele. Sorrisero e mi dissero qualcosa del tipo “ne parliamo tra due anni”. Suppongo che fossero sicuri che in due anni avrei dimenticato tutto. Ma due anni dopo, andai di nuovo e chiesi di fare l’alyià. Acconsentirono, non solo per la mia insistenza, ma anche per la situazione politica in Argentina. Erano i tempi della dittatura militare, che nella sua lotta contro le forze di sinistra non era esente da discorsi e atti antisemiti. Così mi sono ritrovato su un aereo, nel 1978, da solo, senza i miei genitori. Non è stato facile, devo ammetterlo. Un bambino viziato si ritrova improvvisamente lontano dai genitori e dal conforto in cui è cresciuto, e deve preoccuparsi di lavare i suoi vestiti, stirare, andare dal medico da solo, abitare in una piccola stanza con altri tre ragazzi, stare ogni Shabbat da qualcun altro.
Dopo essermi diplomato alle superiori, poiché non ero ancora un cittadino israeliano, sono andato all’università e ho studiato relazioni internazionali e storia. Questi temi mi hanno sempre affascinato e, fortunatamente, alla fine dei miei studi, mi sono arruolato e ho prestato servizio nel Corpo d’intelligence come ufficiale, occupandomi di alcuni aspetti della politica internazionale.
Il sequel è stato inaspettato. Sono stato avvicinato dall’ufficio del primo ministro e mi hanno offerto un ruolo affascinante che riguardava la sicurezza dello Stato. Non ho esitato un secondo e ho accettato, e così mi sono ritrovato a lavorare per lo Stato di Israele per più di venti anni. Sono andato in pensione a una età relativamente giovane. Ma fare un lavoro quasi tutta la vita per Israele è una specie di malattia… e quando qualche mese fa mi hanno chiesto di venire in Italia come shaliach del Keren Hayesod, non sono riuscito a dire di no…
Inizia ora la tua esperienza in Italia. Quali sono le tue aspettative?
Ho grandi aspettative per la mia missione. Ho conosciuto le comunità ebraiche in Italia, in particolare quelle di Milano, Roma, Torino, Venezia e Trieste, e sono ben consapevole dell’intenso sentimento sionista nel cuore degli uomini e delle donne della comunità. So che si tratta di comunità che hanno un impegno incondizionato nei confronti di Israele e vedo il mio ruolo nel fare tutto il possibile per continuare a coltivare tale sentimento. Nonostante le differenze, i rapporti tra Israele e le comunità della Diaspora sono intensi. Li vedo come parti diverse della stessa famiglia. Possono esserci anche critiche, a volte aspre. Uno degli argomenti che sento spesso è che oggi Israele è un Paese forte. Pertanto, affermano alcuni, non è necessario agire in modo filantropico al Keren Hayesod. Il governo israeliano è quello che dovrebbe colmare le lacune sociali e rafforzare la periferia in Israele. Al contrario, mi dicono, ci si può aspettare che Israele sia quello che assiste le comunità ebraiche nella Diaspora che stanno affrontando difficoltà economiche, antisemitismo, crescita della destra nazionalista. Alcuni aggiungono anche che la politica del governo israeliano si sta allontanando dai valori comuni che in passato hanno caratterizzato le relazioni di Israele con la Diaspora e che la politica del governo israeliano sta – indirettamente – incidendo sulla sicurezza delle comunità della Diaspora.
La mia risposta è semplice, e lo spiego tramite un esempio: ho due figli. Non siamo sempre d’accordo su tutto. Ma non mi viene mai in mente di negare il mio impegno come genitore nei loro confronti. Le critiche ci possono essere. Chiunque sostenga, contribuisca, sia partner nella costruzione di Israele ha diritto di criticarlo, se questa critica viene portata con l’intenzione di migliorare. “Chi risparmia la sua frusta, odia i suoi figli”, dicevano i nostri saggi. Ma la critica è legittima a condizione che sia accompagnata da un reale coinvolgimento nel prendere parte alla costruzione della società israeliana nelle aree in cui purtroppo il governo israeliano non è in grado di intervenire a causa di altre priorità. Lo Stato di Israele non appartiene agli israeliani. Appartiene a ogni ebreo ed ebrea qualunque sia il suo luogo di residenza. Alla fine, questa è anche la vostra casa.
Come la Comunità italiana può aiutare nella sua attività il Keren Hayesod? Aprendo le porte, aprendo il cuore e investendo nel futuro dello Stato di Israele, che è in definitiva la casa di tutti gli ebrei.
Israele, attraverso l’Agenzia ebraica, investe milioni di dollari e un numero enorme di shlichim non solo per incoraggiare l’alyià, ma anche per sostenere la Diaspora nei settori della sicurezza, educazione e rafforzamento dell’identità ebraica.
Quali progetti impegneranno il Keren Hayesod a Milano nei prossimi mesi? Quali sviluppi avrà, in particolare, il progetto di educazione digitale Net@?
Ci concentriamo sulla raccolta di fondi a beneficio dell’assorbimento dell’immigrazione. A differenza di altri enti filantropici, il Keren Hayesod ha una visione più ampia dei bisogni reali e concreti della parte più debole e più bisognosa della società israeliana. Vogliamo mantenere la capacità di incanalare i fondi nel modo più flessibile e veloce verso i centri più fragili della società. Presentiamo ai nostri donatori una varietà di progetti il cui scopo comune è ridurre le lacune sociali in Israele e rafforzare le fasce più deboli della società. Il principio non è quello di dare pesce, ma una rete: fornire gli strumenti in modo che possano aiutare se stessi e non dipendere da altro supporto governativo. Abbiamo alcuni progetti favolosi: l’assistenza specifica fatta su misura per i nuovi immigrati con un background tecnologico, per integrarli con l’ambiente e il mercato ad alta tecnologia in Israele. Villaggi della gioventù, dove giovani di famiglie a rischio sono educati in una atmosfera protetta. Gli ex studenti dei villaggi, che ricevono ampio sostegno dai donatori di Keren Hayesod, si integrano, servono nell’IDF e diventano elementi positivi della società, piuttosto che diventare un peso per essa. Abbiamo anche progetti di significato morale e storico. Il progetto “Amigour” fornisce agli anziani sopravvissuti alla Shoah una vita dignitosa, un posto dove vivere con onore accompagnati da un servizio sociale e medico; il progetto “ALEH” sostenuto dalla Women’s division del Keren Hayesod di Milano, aiuta i bambini con gravi disabilità cognitive e allevia le difficoltà oggettive che affrontano.
Il progetto clou delle attività del Keren Hayesod durante il mandato di Andrea Jarach come Presidente e dello shaliach che mi ha preceduto, Carmel Luzzatti, è stato senza dubbio l’adozione del progetto Net@, e il suo arrivo nella scuola ebraica a Milano. È una attività senza precedenti di “esportazione” di un progetto del KH, con l’intenzione di trasformarlo in una piattaforma di raccolta fondi, che non solo supporterà i membri del progetto in Israele, ma porterà il messaggio della “Start-up nation”. Net@ è in corso per il secondo anno presso la Scuola ebraica di Milano e si sta espandendo alla Scuola ebraica di Torino e a due scuole non ebraiche a Milano e a Torino.
Accanto all’aspetto professionale del progetto, Net@ serve a migliorare l’immagine di Israele e a costruire ponti tra la comunità ebraica locale e la società generale.