di Marina Gersony
La casa degli anziani della Comunità Milanese. Tenerezza, rispetto, tecnologia: ecco la ricetta per una vecchiaia degna di essere vissuta, nella struttura Arzaga, una vera casa. Per dare più vita ai giorni, non solo giorni alla vita…
C’è un momento in cui il tempo cambia direzione. Non corre più verso mete lontane, traguardi da raggiungere, appuntamenti da fissare. Comincia a raccogliere il passato, a custodirlo con cura, a rallentare il passo. È il tempo della vecchiaia. E oggi, in una società che invecchia sempre di più, quel tempo ci riguarda tutti. Ogni famiglia, prima o poi, si trova a fare i conti con la fragilità dei propri anziani. Con i loro occhi che cercano presenza, le mani che hanno lavorato una vita intera, la memoria che si sfuma come una fotografia lasciata al sole. In quel momento serve un luogo che sia più di una struttura sanitaria. Serve una casa. Ed è questo che si respira entrando nella Residenza RSA Arzaga della Comunità Ebraica di Milano (https://www.rsaarzaga.com/): l’aria di una casa vera, calda, viva. Un angolo di mondo in cui la vecchiaia non è attesa, ma un tempo denso e pieno di senso.
«Non la chiamerei RSA», ci tiene a precisare il Dottor Luciano Cesare Bassani, assessore RSA. «È un termine asettico, freddo. Qui ci sono persone con una storia, un vissuto, che hanno contribuito a rendere questa struttura un’eccellenza. Da bambino accompagnavo mio padre in via Jommelli, dove lavorava in quella che allora era la casa di riposo. Erano gli anni ’60. È lì che ho capito il capitale che c’è dietro ogni anziano: un mondo di sapienza che troppo spesso oggi ignoriamo. E che meritano un luogo dove si sentano a casa. Non un cronicario in attesa di morire, ma uno spazio in cui il tempo che resta sia vissuto, intensamente».
Quella memoria intima, osserva il medico, oggi si traduce in una visione chiara e urgente. «Tra dieci anni, gli anziani rappresenteranno oltre il 25% della popolazione. Vivranno più a lungo, ma con più patologie. Non possiamo più considerare la vecchiaia un tema secondario: è una priorità sociale, culturale e politica», sottolinea il dottore, fisiatra che ricopre anche un incarico istituzionale, e che spesso interviene personalmente anche sul piano medico. «Faccio infiltrazioni, curo, ascolto. Cerco di essere presente in modo concreto». Ma la Residenza Arzaga non è solo cura. È anche innovazione, capacità di adattarsi ai tempi. «Grazie alla collaborazione con Israele e alla mia esperienza da vicepresidente dell’AMDA – dove mi ero già attivato per portare defibrillatori nelle sinagoghe – mi sono poi occupato dell’acquisto di apparecchiature fisioterapiche, deambulatori e sedie doccia. Ma guardiamo avanti, puntiamo sull’innovazione». In questa stessa direzione si colloca uno degli obiettivi più ambiziosi: «Stiamo lavorando a una tecnologia unica: un sensore ottico intelligente, integrato con un sistema di intelligenza artificiale, capace di rilevare in tempo reale i parametri vitali degli ospiti. Ogni volta che un residente necessita attenzione, il sistema invia notifiche su smartphone o tablet agli operatori, consentendo interventi tempestivi e mirati. E conclude: «È una rivoluzione silenziosa che alleggerisce il carico sul personale, senza mai sostituire la componente umana, ma rafforzandola. Purtroppo mancano i fondi per estenderla. Speriamo che la politica e le istituzioni colgano il valore di questi progetti».
Un cuore pulsante dietro ogni porta
La Residenza è un luogo dove ogni dettaglio è pensato per offrire dignità, calore e continuità di vita. A raccontarlo è Daniela Giustiniani, direttrice gestionale dalla lunga esperienza, con uno sguardo appassionato e concreto: «Il nostro punto di forza è la personalizzazione. Ogni ospite viene accolto nella sua unicità. Un’équipe multidisciplinare lavora per garantire serenità, ascolto e rispetto profondo della persona. Non è solo assistenza: è costruire legami, quotidianità, normalità. Curiamo corpo, mente e anima». La Residenza, spiega Giustiniani, è profondamente legata alla tradizione ebraica: propone un’alimentazione kasher, momenti di preghiera e la celebrazione delle festività. Gli ospiti di fede ebraica possono partecipare alle funzioni dello Shabbat e ad attività culturali legate allo studio dell’ebraismo, in collaborazione con l’Ufficio Rabbinico. L’osservanza della kasherut è affidata alla stretta supervisione del Rabbino Capo. Ma la Residenza è anche un centro culturale vivo, aperto al territorio, con eventi, incontri intergenerazionali con le scuole e una rete attiva di volontari. «Tra i nostri ospiti c’è anche Goti Bauer, 101 anni, sopravvissuta alla Shoah. La sua presenza è un dono, una testimonianza preziosa della Memoria – racconta la direttrice -. Oggi, purtroppo, il vuoto intergenerazionale è uno dei nodi più dolorosi della contemporaneità: i ragazzi faticano a riconoscere il valore degli anziani. Sono schiacciati da mille pressioni – studio, lavoro, ricerca dell’autonomia – e immersi in una cultura che premia produttività, velocità, apparenza».
Quel sapere lento, profondo, esperienziale che appartiene agli anziani rischia così di perdersi. Eppure, qualcosa si può ancora fare. La Residenza Arzaga ha attivato collaborazioni con scuole, associazioni giovanili e famiglie. «Qui si creano scambi, racconti, legami – aggiunge Giustiniani -. Le generazioni si incontrano, ed è in questi incontri che rinasce la speranza». Un’attenzione particolare, infine, è rivolta al personale di assistenza, a partire da ASA e OSS – le figure fondamentali per la cura quotidiana: «Sono le mani, il cuore e la memoria della nostra RSA. Vestono gli ospiti secondo i loro gusti e tradizioni, ne rispettano le abitudini, ascoltano le loro storie e si prendono cura di ciascuno con delicatezza, come fosse unico al mondo».
Preparare l’arrivo, accogliere la vita
«Accogliere un anziano non è solo registrare una nuova presenza», dichiara a sua volta Lucia Zecca, educatrice professionale, che insieme al collega Matteo Fioravanti si occupa della socializzazione e dell’inserimento. «Noi ci prendiamo cura della persona e della sua famiglia. Perché quando arriva qui, spesso c’è dietro una storia difficile, un percorso faticoso, un carico emotivo enorme. I famigliari sono spesso molto stressati. Il nostro lavoro è creare un ponte tra il vecchio mondo e il nuovo, rendere l’ingresso meno traumatico possibile, più umano. Tutto il personale conosce il carattere di ogni anziano, dal centralinista al manager negli uffici. E la presenza dei volontari, sempre presenti, è il filo invisibile che tiene insieme ogni giornata». Lucia parla di un lavoro delicato, fatto di ascolto, empatia, ma anche di attività concrete: letture, ortoterapia, danzaterapia, pittura su stoffa, stimolazione cognitiva, giochi di gruppo, musicoterapia, concerti, conversazioni culturali e religiose, laboratori teatrali, cucina, giardinaggio, uscite individuali e di piccolo gruppo. Non ultimo il giardino, lo Healing Garden, uno dei pochi spazi verdi terapeutici presenti in strutture per anziani in Italia, appositamente progettato per promuovere e migliorare il benessere fisico, mentale e sociale dei residenti e dei visitatori.
Salute, dignità, ascolto
Fondamentale è il lavoro della direzione sanitaria, nelle mani esperte di Flavio Galli, direttore sanitario: «Il nostro obiettivo è mantenere il più possibile l’autonomia fisica e cognitiva. Il servizio fisioterapico è molto attivo: ogni giorno gli anziani partecipano con entusiasmo, perché capiscono che si tratta di restare vivi nel corpo e nella mente».
Ma Flavio apre anche uno sguardo più ampio, toccando temi difficili con coraggio e rispetto: «La demenza, i disturbi comportamentali, gli stati d’ansia… qui non vengono negati, ma accolti. Ciò che conta è legittimare ogni emozione, non reprimerla. E sulla contenzione qui lavoriamo per evitarla, con strategie ambientali, comportamentali e di equipe. Il dolore, fisico o psichico, viene trattato con terapia mirata, farmacologica, fisioterapica e psicologica.
Anche il fine vita viene affrontato con delicatezza, tramite cure palliative avanzate. Ogni persona ha diritto a morire con dignità, senza paura».
Gli spazi del benessere
Anche l’ambiente fa la sua parte, e lo sa bene Piero Ticozzi, responsabile tecnico: «Ogni stanza è personalizzata: permettiamo di portare oggetti cari, quadri, poltrone, fotografie. Alcuni preferiscono un arredamento elegante, altri più semplice. L’importante è che si sentano a casa». La struttura ha lavanderia e sartoria interne, un occhio attento all’igiene, alla sicurezza degli impianti, ai dettagli. «Non è solo estetica: è rispetto – sottolinea Ticozzi –. Tecnologia e umanità convivono in armonia».
Lucio, il gatto che ascolta i concerti
E infine c’è Lucio, un piccolo, silenzioso abitante che spunta tra una carrozzina e un tavolino. Lo ha raccontato la poetessa Vivian Lamarque sul Corriere della Sera: «Spunta una zampetta di gatto, poi un musetto, poi una coda. Nessuno sa da dove sia arrivato. Ma è stato subito adottato. Guarda gli ospiti con rispetto, si ferma durante i concerti, si sdraia al sole tra erba e fiori. È un frammento di bellezza che riempie il cuore». E davvero, in un mondo che spesso teme la vecchiaia e la confina in angoli bui, questa residenza è luce. È possibilità. È ascolto.
Il futuro da costruire insieme
L’invecchiamento della popolazione, particolarmente in Italia, non è più un tema da rimandare. È un’urgenza che ci chiama a ridefinire valori, priorità, politiche. E, come sottolinea Bassani, «è tempo di smettere di pensare che i nostri anziani siano un peso. Sono una ricchezza, un patrimonio vivente. E meritano tempo, rispetto, bellezza. Un giorno, mentre una signora anziana suonava Yerushalayim Shel Zahav nelle sale della residenza Arzaga, mi è tornata in mente mia madre. Mi sono fermato. E mi sono commosso. In quei gesti c’è tutto il senso di questo luogo: un tempo che non si consuma, ma si trasforma in presenza».
In un’Italia che invecchia, la Residenza Arzaga è un bell’esempio. Un modello da raccontare. Ricco di emozioni e suggestioni. Un esempio da seguire.