Come nella Francia dell’Affaire Dreyfus, oggi gli ebrei tornano bersaglio di un odio inestinguibile. Che fare? Come resistere, nel segno della vita?

Taccuino

di Paolo Salom

[Voci dal lontano Occidente] Vorrei tornare sul nostro rapporto con il lontano Occidente, sulla diffusione e il ruolo dell’antisemitismo che negli ultimi due anni è cresciuto intorno a noi come un fungo atomico. Ora che la guerra scatenata dai tagliagole di Hamas sembra terminata, resta da capire perché siamo arrivati a questo punto, perché Israele (e gli ebrei della diaspora) si sono ritrovati bersaglio di un odio manifesto così pervicace da far tornare alla mente i periodi più bui della nostra Storia.

 

In particolare, gli immensi cortei che hanno attraversato le piazze d’Italia, gli slogan gridati da una folla in delirio, le dichiarazioni di esponenti politici e rappresentanti dei media mi hanno riportato alla mente la Francia di fine Ottocento, l’infame processo al capitano Dreyfus e tutte le infamie vomitate sugli ebrei in quell’occasione, le strade di Parigi percorse da moltitudini urlanti, i giornali (con l’eccezione de l’Aurore e la celebre invettiva “J’accuse…!”, di Émile Zola) ricolmi di articoli sulla “peste ebraica”.

Come sapete, l’illuminazione che portò Theodor Herzl a immaginare la costituzione di uno Stato degli ebrei nella loro patria storica fu una conseguenza di quell’episodio drammatico, l’invenzione di un tradimento inesistente con il corollario di insulti per l’intera “razza ebraica”. Ecco, la guerra provocata dall’attacco selvaggio e improvviso del 7 ottobre 2023 ha avuto un effetto secondario molto simile a quel precedente. Ma con una ricaduta ben più ampia e pericolosa. Intanto perché la reazione aggressiva non si è limitata a un Paese, anzi: tutto il lontano Occidente ne è stato ammorbato, dagli Stati Uniti all’Italia, passando per Francia, Gran Bretagna e Germania. E poi perché tutto questo odio contro di noi – aizzato da giornali e televisioni, da social media e passaparola – è proliferato nonostante quello che è accaduto 80 anni fa, quella Shoah (preceduta da decenni di discriminazioni crescenti) che aveva fatto proclamare, ai leader del lontano Occidente, un solenne “mai più“.

Ed eccolo il “mai più “: slogan quali “dal fiume al mare”, “fuori i sionisti da…(università, scuole: quello che volete)”, “una corda gratis per appendere i sionisti” e via di questo passo. Non è incredibile? Tutto questo è ancora più atroce se pensiamo che – esattamente come fu per Dreyfus – questo odio allo stato puro ha trovato il suo carburante nelle menzogne propagandistiche di Hamas, nei video costruiti appositamente per ingannare benpensanti e brava gente del lontano Occidente. La parola “Israele” è diventata tossica. Passeggiare con una kippah un atto di coraggio estremo.

Come ho già scritto più volte, non intendo affermare che la guerra non sia una cosa atroce: lo sappiamo tutti che è un atto terribile, crudele e portatore di lutti. Ma non è stato Israele a volerla. E soprattutto, Tsahal l’ha condotta con una moralità e un intento di ridurre al minimo le vittime civili come mai nessun esercito ha fatto in passato. E non ci riferiamo a eventi lontani: basti pensare a Afghanistan e Iraq, per non parlare di Siria o Ucraina. Detto questo, è arrivato il momento di chiedersi cosa ci facciamo qui. Herzl, di fronte all’abisso che si prospettava (lui non ha mai saputo quante anime è riuscito a salvare innescando la rinascita di Israele), ha immaginato il Risorgimento degli ebrei in Terra di Israele.

Noi, ora, di fronte a questo odio inestinguibile, che si ripresenterà puntuale alla prossima crisi scatenata con questo preciso intento dai nostri nemici, cosa possiamo immaginare per costruirci un futuro migliore? La Storia ci ha messo di fronte una nuova/antica sfida, per parafrasare di nuovo Herzl. Sta a noi trovare un percorso nel segno della vita. Am Israel chai.