di Anna Balestrieri
Nato dopo il 7 ottobre come gruppo famigliare su Whatsapp, da 15 membri è passato a 700. Fondato dal giovane Samuel Capelluto, punta a dare notizie, da fonti verificate, che interessano a chi vive fuori da Israele ma si sente parte di essa.
A soli venticinque anni, con l’entusiasmo contagioso di chi crede davvero nella forza dell’informazione, Samuel Capelluto ha dato vita a Israele Global News, un gruppo su WhatsApp che dà informazioni in italiano sull’attualità israeliana.
Milanese di nascita ma da dieci anni immerso nella realtà israeliana, parla un italiano fluente già punteggiato di sfumature di ebraico, come il suo sguardo aperto sul mondo.

Parlaci innanzitutto di te.
Sono nato a Milano da genitori italiani. Ho frequentato la scuola Merkos e, successivamente, un anno di liceo Soderini, nella scuola ebraica. A quindici anni ho deciso di fare aliyah da solo, aderendo al progetto Na’ale, un’iniziativa israeliana rivolta agli adolescenti ebrei della diaspora. Na’ale offre un programma completo: dalla scuola superiore con esami di Bagrut, all’Ulpan per imparare l’ebraico, fino al sostegno educativo ed emotivo tramite madrichim, psicologi, famiglie affidatarie e rabbanim.
Nel programma ci sono diversi gruppi linguistici: russo, inglese, francese, spagnolo. Io sono stato inserito nel gruppo inglese, pur non parlando né l’inglese né l’ebraico – il mio livello era davvero basilare. Gli altri ragazzi italiani sono andati in una scuola a Hod Hasharon; io sono stato l’unico a scegliere una yeshiva. Mi sono trovato completamente da solo, spaesato. Ricordo ancora il primo giorno in Israele: volevo solo tornare indietro. Mi sembrava di aver fatto la più grande sciocchezza della mia vita. Ma i miei genitori, che hanno sempre creduto in me, mi hanno detto: “Resta almeno fino a Hanukkah, fai un tentativo.” E così è stato.
Sono rimasto. Ho finito il liceo, ho superato gli esami di maturità (Bagrut), e poi sono diventato anche madrich per alcuni mesi, accompagnando i nuovi studenti. Successivamente mi sono arruolato nelle forze armate israeliane, entrando nell’unità di fanteria Givati. Ho servito come combattente per tre anni, fino a diventare sergente. Dopo il congedo ho fatto diversi lavori – sicurezza, cameriere – come spesso succede a chi finisce il servizio militare. Poi ho iniziato a lavorare come educatore e mi sono iscritto all’università Ben Gurion di Beer Sheva, dove studio Scienze Politiche. Per un periodo ho anche lavorato per i24news, un canale israeliano di informazione internazionale.
Dov’eri il 7 ottobre?
Dovevo iniziare a studiare il 15 ottobre 2023, ma la storia ha preso un’altra direzione. Quel sabato ero a casa della mia ragazza, vicino ad Ashdod. Ci siamo svegliati con le sirene, e inizialmente non ci siamo allarmati: in quella zona succede, purtroppo. Ma poi ho visto i primi video da Sderot, con terroristi armati per strada. Pensavo fosse un montaggio, un fake. Era surreale, come guardare un film catastrofico. Alle 8 o 9 scrivo a mio padre: “Papà, siamo in guerra.” Alle 11 vengo richiamato come riservista. Tutti i miei piani saltano: il trasloco a Beer Sheva, l’università, tutto.
I primi due mesi sono stati a Sderot. Lì, in piccoli team, abbiamo dovuto entrare in ogni casa dei quartieri assegnati: era una missione di controllo totale. Poi, da dicembre a marzo, sono stato operativo dentro Gaza combattendo lì per 3 mesi.
A marzo sono tornato per un breve periodo in Italia, a trovare i miei genitori. Quando ho acceso il telegiornale, ho visto una narrazione totalmente diversa rispetto a ciò che avevo vissuto. Ho chiesto a mio padre dove si informasse. Mi ha parlato di Ynet e del Jerusalem Post, ma ha ammesso che la lingua è un ostacolo. Ho pensato: io sono qui, conosco le lingue, ho lavorato in un canale di news, so scrivere… perché non raccontare io stesso, direttamente, cosa accade in Israele?
Così è nato il gruppo WhatsApp. All’inizio eravamo in 15, la mia famiglia. Ho detto: “Provo per due settimane, vediamo come va.” Adesso siamo più di 700.
Che tipo di notizie scegli di dare?
Cerco di dare quelle notizie che interessano davvero a chi vive fuori da Israele ma si sente parte di essa. Non pubblico tutto, scelgo. Voglio che chi legge senta di essere aggiornato senza sentirsi sommerso.
Ovviamente, in questo periodo si parla molto di guerra, attentati, ostaggi. Ma so anche quanto sia importante inserire notizie positive quando ci sono. E poi cerco di dare anche le notizie politiche: anche se ricevono meno interazione, credo sia doveroso raccontare anche quelle. Israele oggi è attraversata da profonde divisioni: ignorarle significherebbe raccontare solo una parte della verità.
Come scegli le fonti?
L’esperienza a i24news mi ha insegnato la disciplina dell’attesa. Una notizia si può bucare, ma non si può sbagliare. Seguo solo fonti ufficiali: portavoce IDF, Ynet, Times of Israel, giornalisti accreditati come Amit Segal o Yaron Abraham. Se leggo su Telegram che la BBC ha detto qualcosa, vado a cercarlo direttamente sul sito della BBC. Se lo dice il Wall Street Journal, ma non trovo conferma, lo cito come “secondo il WSJ”.
Evito di scrivere anche solo “pare che Sinwar sia morto”, se non c’è una fonte chiara. In un contesto come quello attuale, sbagliare una notizia ha un costo altissimo. Cerco di dare tutto il tempo reale ma solo dopo essermi accertato della fonte e della realtà della notizia.
Che orizzonti ti dai per il futuro?
Mi piace molto quello che sto facendo, e vedo che è utile. Il gruppo continua a crescere. Superati i 700 membri, sto valutando se passare a un canale WhatsApp, anche se molti dei miei lettori sono persone anziane e il formato gruppo è per loro più familiare. Sto pensando anche di aprire più gruppi paralleli.
Ho anche qualche aneddoto simpatico: ogni tanto, per esempio, qualche anziano confonde l’emoji del pianto con quella del ridere – e sotto una notizia tristissima mi ritrovo faccine che ridono a crepapelle… tutto questo mi fa riflettere su quanto sia importante conoscere il proprio pubblico.
Il mio sogno? Che chiunque, in Italia, voglia sapere cosa succede in Israele, sappia che può aprire il mio gruppo e trovarlo lì. In tempo reale. Con onestà.
Hai idea di chi possa farti concorrenza?
Non lo so. Non penso troppo alla concorrenza. So che qualcuno copia e incolla le mie notizie, a volte anche senza citarmi, e va bene. Se una notizia è utile e gira, mi fa piacere. Ovviamente mi piacerebbe che si citasse la fonte, ma l’importante è che l’informazione arrivi. Sono partito in modo umile, e voglio restare così.
A Samuel non possiamo che augurare il meglio, e soprattutto di riuscire, nonostante i frequenti e impegnativi richiami come riservista, a continuare a informarci con la consueta puntualità e passione che rendono unico il suo lavoro.
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