I Ribelli, un progetto fotografico che racconta la vita dei più deboli torna più attuale che mai

di David Zebuloni
Oltre alla crisi sanitaria mondiale generata dal Covid-19, una crisi economica altrettanto devastante sembrerebbe aver messo in ginocchio numerosi Stati colpiti dal virus. Accade così che le piazze israeliane si riempiono di manifestanti, piccoli e grandi imprenditori accusano serie difficoltà ad arrivare a fine mese e centinaia di imprese dichiarano fallimento. Il virus spietato non guarda in faccia nessuno, ma il governo Netanyahu-Gantz garantisce di avere a cuore la causa e di fare ogni sforzo possibile per sostenere i cittadini israeliani in difficoltà.

In preda a un apparente caos totale, l’ambizioso progetto fotografico sui piccoli imprenditori che lottano per sopravvivere realizzato da Assi Haim nel 2011 torna ad essere più attuale che mai e ricomincia a circolare sui media israeliani, ben 9 anni dopo dalla sua realizzazione.

“Tutto nasce dalla mia curiosità di scoprire quelle piccole imprese fondate degli anni 60′ o 70′ e sopravvissute all’avvento delle grandi imprese e delle multinazionali nel mercato nazionale”, aveva spiegato Haim in un’intervista rilasciata a ynet. “Purtroppo non ne esistono ancora molti, con il tempo vanno estinguendosi, ma ogni volta che ne trovo uno chiedo al proprietario di raccontarmi la sua storia. Potrei stare lì seduto ad ascoltare per ore.”  

Il progetto prese il nome di Ribelli e mostrò per la prima volta i volti di quei piccoli imprenditori invisibili, che qualche decennio prima avevano combattuto per contribuire all’esistenza dello Stato di Israele, e che qualche decennio dopo si erano ritrovati a dover combattere per la loro stessa esistenza. La loro lotta alla sopravvivenza consisteva e consiste ancora oggi nel doversi ingegnare per rimanere rilevanti, nonostante la vasta concorrenza.  

Ed ecco il motivo per cui il fotografo israeliano ha definito i suoi eroi dei “ribelli”. Nonostante il sistema al quale siano stati costretti, questi hanno continuato imperterriti a credere nella loro attività. Hanno continuato ad aprire il negozio nonostante la clientela fosse in costante discesa, certi che non vi fosse fallimento più grande di non aver lottato fino all’ultimo.

Tra gli intervistati di Assi Haim c’era il proprietario della caffetteria Zosha, di 84 anni, che raccontava di aver gestito in passato un team di dieci persone, tra i quali chef e camerieri, per poi ritrovarsi a lavorare da solo. La mattina preparava le pietanze e nel pomeriggio le serviva ai tavoli. Miriam Givon, di 80 anni, continuava ad aspettare seduta dietro il bancone di legno della sua drogheria, anche quando i clienti smisero di arrivare. Ricordava a memoria i migliaia di articoli dell’inventario, insieme ai loro prezzi. Menashe invece ereditò la sartoria del padre e continuò ad aprire il negozio in nome della passione che nutriva per la sua professione. Ai passanti ripeteva sorridendo che lo scopo della vita non era essere ricchi, ma più semplicemente trarre piacere da ciò che si fa.