La Corte Rabbinica a Gerusalemme

A Gerusalemme, Rav Bahbout di Venezia porta alla Knesset la questione ‘conversioni’

di Redazione
Lunedì 28 maggio il rabbino capo di Venezia Scialom Bahbout si è recato alla Knesset  per protestare contro il rifiuto del Rabbinato capo di riconoscere la sua corte rabbinica ortodossa e le sue conversioni all’ebraismo. Lo riporta il Times of Israel, che dedica alla vicenda un lungo articolo. In particolare, Bahbout contesta il rifiuto da parte dell’autorità religiosa statale della conversione ortodossa di una donna avvenuta sotto la sua tutela due anni fa.

La sua testimonianza è arrivata durante una riunione del comitato che ha visto anche il rabbinato capo annunciare di aver formulato linee guida ufficiali sul riconoscimento dei tribunali rabbinici all’estero, dopo aver consultato i gruppi ortodossi della diaspora, ma non ha rilasciato pubblicamente i criteri fino a quando non è stato ufficialmente approvato dal Rabbinato capo Consiglio.

Il rabbino capo di Venezia – nominato quattro anni fa nella città veneta dopo avere svolto lo stesso ruolo a Napoli e precedentemente av beit din al tribunale rabbinico di Roma -, ha dichiarato al Comitato per l’Immigrazione, l’Assorbimento e gli Affari della Diaspora di aver rianimato il defunto tribunale rabbinico veneziano con quella che ha definito una “decisione necessaria”, dopo aver appreso che gli ebrei locali non erano disposti a recarsi a Roma o a Milano per chiedere il divorzio religioso (ghet) o risolvere controversie finanziarie, e per rendere le conversioni all’ebraismo accessibili nella regione settentrionale dell’Italia.

L’autorità del corpo veneziano e dei suoi convertiti non è però stata riconosciuta dal Rabbinato Capo, come hanno fatto sapere le autorità religiose di stato israeliane durante l’accesa udienza parlamentare di lunedì.

Il motivo ufficiale per l’affronto, dato dal direttore generale del capo Rabbinato, Moshe Dagan, è il seguente: “Sebbene la statura religiosa di Bahbout non fosse in discussione, secondo le regole israeliane di Rabbinato, non si possono formare nuovi tribunali rabbinici quando ne esistono già di altri nelle vicinanze, vale a dire a Milano e Roma, rispettivamente a circa 300 e 600 chilometri di distanza”.

Secondo quanto riportato da Dagan, Bahbout aveva chiesto il permesso al rabbinato di Israele di formare un tribunale rabbinico a Venezia, ma fu respinto, proprio a causa della vicinanza con le autorità rabbiniche romane e milanesi, ha detto Dagan.

Dagan ha anche affermato che Bahbout ha infranto le regole quando formava il tribunale e accettava dei convertiti che erano stati allontanati dai tribunali rabbinici di Milano e Roma, anche se dovevano convertirsi nel tribunale più vicino a loro.

Dal canto suo, il rabbino capo veneziano ha detto che i suoi inviti al rabbino capo sefardita di Israele a visitare la vecchia comunità ebraica di centinaia di anni e ad osservare, da vicino, i suoi bisogni religiosi, sono sempre rimasti senza risposta. E il suo collega Margalit ha affermato che una recente lettera del capo rabbinato di Israele aveva nuovamente negato la loro richiesta di riconoscimento, citando le “vicine” autorità di Roma e Milano. Le sentenze e le conversazioni religiose di Bahbout furono accettate dalle autorità israeliane quando furono prese a Roma, ma non a Venezia, ha osservato Margalit.

Un affronto religioso o confusione burocratica?

Al centro della discussione di lunedì è stato il caso di una donna si  trasferita a Venezia da Napoli per convertirsi, dopo anni di studio, ma a cui in seguito è stato impedito di trasferirsi nello Stato di Israele.

“Questa è una donna che osserva tutti i comandamenti, al 100 percento”, ha detto Bahbout. Un anno fa, dopo aver completato il processo, alla donna fu negato il permesso di immigrare nello stato ebraico con quello che i rabbini veneziani videro come un rifiuto della loro conversione religiosa da parte del Rabbinato, mentre l’Agenzia ebraica ribatteva che a monte c’era un ostacolo burocratico derivante da direttive interne del ministero dell’interno. La spiegazione data alla donna, disse Margalit, era che “la corte rabbinica che la convertì non fu riconosciuta. Punto”.

Ma un rappresentante dell’Agenzia ebraica ha dichiarato che la donna non era stata rifiutata per motivi di ebraicità, ma perché non aveva rispettato le linee guida interne del ministero degli Interni – approvate dai rappresentanti ortodossi, conservatori e riformatori – che richiedono che i nuovi convertiti rimangano per almeno nove mesi nella comunità dove sono stati convertiti. I documenti mostravano che ora viveva a Verona, rendendola inammissibile, ha detto l’Agenzia ebraica. Bahbout sostenne che viveva a Venezia, spingendo Yehuda Sharaf dell’Agenzia Ebraica a impegnarsi a rivisitare il caso se il rabbino capo di Venezia avesse presentato un documento sulla sua residenza.

Le linee guida del Rabbinato

Sempre lunedì, il capo del Rabbinato Dagan ha detto al gruppo che i criteri tanto attesi per il riconoscimento dei tribunali rabbinici all’estero sono stati finalizzati, anche con la consultazione di sei gruppi ortodossi all’estero, incluso il Consiglio rabbinico d’America e le organizzazioni europee. Si aspetta ora un voto finale da parte del Consiglio del rabbinato, a data da destinarsi.

Durante la riunione alla Knesset, però, Dagan non ha voluto rivelare gli standard fino a quando non si è svolto il voto rabbinico finale, nonostante le proteste dei parlamentari della Knesset che hanno fatto appello alla trasparenza.

Le linee guida riguardano solo i tribunali rabbinici all’estero, non specifici rabbini, ha sottolineato Dagan, mentre i criteri per i rabbini riconosciuti ai fini della conversione sono da avanzare separatamente.

Nel dicembre 2016, i due rabbini principali di Israele hanno nominato un comitato per definire le linee guida per il riconoscimento da parte del rabbinato sia dei tribunali rabbinici che dei rabbini, contattando cinque rabbini per il compito: Aharon Katz, Shlomo Shapira e Yitzhak Elmaliach, Yitzhak Ralbag e Yehuda Deri, anziano fratello di Aryeh Deri dello Shas.

Elmaliach ha prestato servizio nel tribunale che a luglio ha annullato una conversione eseguita dal rabbino di New York Haskel Lookstein, il rabbino che ha anche convertito Ivanka Trump, la figlia del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, prima di sposarsi.

Il Rabbinato aveva pubblicato una lista nel mese di aprile 2016 di oltre 100 rabbini dagli Stati Uniti e 19 altri paesi di cui accetta l’autorità sulle conversioni ebraiche, specificando però che la lista “non era esaustiva” e includeva semplicemente rabbini la cui autorità era stata accettata in passato. La lettera diceva anche che non c’era alcuna garanzia che i rabbini avrebbero ottenuto la fiducia anche in futuro.

“Il Rabbinato dominato da ultra-ortodossi non ha mai riconosciuto rabbini o conversioni non ortodossi e negli ultimi anni ha messo in discussione le credenziali di alcuni dei principali rabbini liberali ortodossi – scrive il Times of Israel -. Nel luglio 2017, ITIM ha pubblicato una “lista nera” interna di Rabbinato di circa 160 rabbini, provenienti da 24 paesi, compresi gli Stati Uniti e il Canada, tra cui diversi eminenti leader americani ortodossi, di cui il capo Rabbinato non si fida per confermare l’identità ebraica degli immigrati. Rabbini erano sulla lista. Il capo Rabbinato in seguito disse che la lista era stata fraintesa e non era una lista nera”.